Del: 14 Dicembre 2021 Di: Chiara Del Corno Commenti: 0

Il tema della sostenibilità è ormai diventato imprescindibile nelle nostre vite. L’urgenza di una maggiore attenzione verso l’ambiente nelle scelte di tutti i giorni, dagli acquisti alle piccole azioni quotidiane, si sta facendo sempre più pregnante e il tentativo di costruirsi una propria “sensibilità ambientale” è quello che stanno sperimentando sempre più consumatori. Di qui, negli ultimi anni le aziende hanno avuto tutto l’interesse a impegnarsi in una dimensione ambientale e sociale sempre più consapevole, integrandola nel loro business.

O, perlomeno, hanno recepito tutta l’importanza della costruzione dell’immagine dell’azienda volta in tal senso. 

Per “greenwashing” si intende quella strategia di comunicazione che mira a comporre ingannevolmente un’immagine di azienda green e sostenibile, appropriandosi indebitamente di un’apparenza di eco-sostenibilità principalmente volta ad accaparrarsi il favore dei consumatori. 

Il termine è un neologismo che è composto da “green”, verde, colore intuitivamente associato all’ecologia e all’ambiente, e “washing”, “lavaggio”, che ammicca al termine “whitewashing” che significa “imbiancare” e per estensione anche “nascondere, coprire”. Il greenwashing si configurerebbe, quindi, come la pratica sempre più diffusa del “tingersi di verde” da parte di aziende che spesso e volentieri fanno passare le più normali attività come sostenibili, per ottenere uno specifico ritorno di immagine e, di qui, soprattutto di profitto. Sul medesimo meccanismo del greenwashing abbiamo altri fenomeni simili, che sfruttano parimenti questioni sensibili a livello sociale o di opinione pubblica per trarne vantaggio economico: si pensi al “pinkwashing”, l’appropriazione indebita del tema dell’emancipazione femminile, o il “raimbow washing”, l’aderenza di facciata alla lotta LGBTQ+.   

Il termine è stato usato per la prima volta nel 1986 dall’ambientalista statunitense Jay Westerweld nell’analizzare la pratica delle catene alberghiere di sensibilizzare gli ospiti sull’impatto ambientale positivo della riduzione dell’uso degli asciugamani, quando, in realtà, essa si rivelava come una sollecitudine volta ad un risparmio unicamente economico da parte degli hotel stessi. 

Il greenwashing fa leva sul fatto che i consumatori sono propensi ad acquistare ad un prezzo maggiore un prodotto dichiaratamente eco-friendly, appagandosi dalla consapevolezza di avere fatto una “buona azione” per la tutela dell’ambiente e ben vedendo di spendere anche qualcosa in più rispetto ad alternative che non si manifestano parimenti ecologiche. Di qui è presto fatto il meccanismo da parte delle aziende di sfruttare economicamente questo tentativo di costruzione di una coscienza ambientale nei consumatori. Fioccano immagini di nature, pubblicità in cui si enfatizza marcatamente il colore verde o in cui in verde magari sono le scritte o il logo di un marchio, ma che a livello di dati concreti dicono ben poco. I packaging tendono ad essere verdi o marroni e sono sempre più frequenti terminologie vaghe che bollano i prodotti come “naturale”, “amico dell’ambiente”, “eco”, che sono svincolate da un significato univoco e preciso e non rendono esplicitamente conto dell’impatto ambientale.

Una delle conseguenze più immediate è che si viene a creare una possibile sfiducia nel consumatore che, nel tentativo di rendersi più attento e consapevole negli acquisti, si trova circondato da loghi o packaging verdi che ammiccano ad un presunto sostegno della causa ambientale, ma che di fatto implicano un impegno non chiaro o nullo nella tutela dell’ambiente. Dunque, si verifica anche un minor risalto delle aziende che puntano e investono concretamente nel campo, che sono sempre più oscurate da una fiumana di brand dal roboante marketing eco-friendly. 

La consapevolezza dell’importanza di un cammino verso un’economia più sostenibile, sempre più interiorizzata negli ultimi anni, dà atto al fatto che è fondamentale che le aziende si mostrino affiliate alla causa ambientale. Questo dimostra la crescente necessità di accortezza e responsabilità da parte del consumatore nell’orientarsi nell’universo di scelte di prodotti in un campo di marketing e comunicazione “green” dove ancora vi è molto da definire. 

Chiara Del Corno
Studio Lettere, ma non saprei scegliere il mio libro preferito, adoro i bei film e fosse per me in sottofondo avrei sempre musica. Se sono a zonzo, mi trovate sempre in bicicletta, amo scrivere perché mi rende curiosa e amo curiosare perché poi mi fa venire voglia di scrivere.

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