Del: 11 Dicembre 2021 Di: Daniele Di Bella Commenti: 0
I virus e la vita. Intervista a Patrick Forterre

I virus sono esseri viventi? La specie umana esisterebbe se non si fossero sviluppati i virus? Ponendosi queste domande, il professore Patrick Forterre, insieme ad altri eminenti colleghi, ha contribuito a disegnare la mappa che oggigiorno i biologi utilizzano per orientarsi nel mondo naturale.

Seppur di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, proponiamo l’intervista che il professor Forterre ha gentilmente rilasciato a Vulcano, con l’intento di allargare il discorso che si è molto sviluppato negli ultimi due anni riguardo a una realtà che ancora appare misteriosa.

Patrick Forterre è professore emerito all’università di Parigi-Sud e professore onorario all’Institut Pasteur, dove ha diretto per diversi anni il dipartimento di microbiologia. Presso entrambe le istituzioni ha diretto laboratori di microbiologia occupandosi principalmente di Archea cioè, insieme a batteri ed eucarioti, uno dei tre macrogruppi, o per meglio dire “domini”, in cui vengono suddivisi gli esseri viventi sulla base del loro patrimonio genetico. Gli Archea sono organismi unicellulari adattati a condizioni di vita estreme.

Oltre a questi ultimi, Forterre sì è a lungo interessato alla natura, all’origine e all’evoluzione dei virus. Attualmente lavora con studenti post-doc ad analisi che mirano a ricostruire la topologia, ossia la conformazione, dell’albero della vita e a comprendere dove i virus possano essere collocati in tale albero.


I virus sono vivi? Benché la risposta secondo noi sia affermativa, non si tratta di una questione semplice. Le proponiamo quindi una nostra ipotesi formulata prima di leggere i suoi articoli. Può avere senso pensare i virus in termini flusso di informazione genetica replicante e tangibile, anziché di elementi fisici veri e propri (dato che è possibile osservarli così solo quando sono virioni*)? Sarebbe un’impostazione simile a quella che usiamo per i fenomeni atmosferici, dato che, ad esempio, un uragano non viene definito dal fatto di essere un oggetto in movimento quanto dal fatto che è un fenomeno emergente da flussi d’aria molto energetici e organizzati. Che ne pensa?

Sì, ha senso. Negli ultimi anni ho collaborato con alcuni filosofi interessati alla microbiologia e ho scoperto che attualmente a loro piace parlare di “processi”, e in effetti è simile a quando voi parlate di flusso. Quindi possiamo considerare i virus dei processi, con i virioni, le virocellule* [o le fabbriche virali al loro interno, ndr] e forse anche il genoma virale integrato nel genoma della cellula ospite [profago o provirus, ndr], come fasi durante le quali il processo è come “cristallizzato”. Tuttavia, per definire un virus andrebbero considerati tutti gli stati che assume, poiché è il loro insieme che si può chiamare flusso, o processo, per dirla come i filosofi. 

In fondo anche noi esseri umani siamo processi. Si parte da un embrione, poi si ha lo sviluppo prenatale, eccetera… Quello “a processi” è un modo molto operativo di ragionare.

Detto così fa sembrare i virus ancora più vivi. Una buona metafora per le virocellule ci sembrava quella degli zombie, dato che di fatto un virus divora il cervello di una cellula (il suo genoma) e la rende appunto uno zombie. La virocellula diviene un burattino che il virus manipola per replicarsi. Da qui sorgono due domande: quali sono le principali argomentazioni che addurrebbe per convincere una platea che i virus sono vivi, e come considera altri elementi genici in grado di spostarsi e replicarsi come i plasmidi? Questi sono forse i nuovi virus?

La definizione di vita è un grosso problema. Ho scritto un articolo nel 2016 su una rivista di filosofia che provava a definire cosa fosse un organismo, un essere vivente, usando i mitocondri come esempio. Se chiedi ai biologi se un batterio sia vivo, rispondono: “Certo che sì”. Ma se chiedi se un mitocondrio sia vivo, rispondono: “Certo che no”. Allora domandi loro: in quale momento durante l’evoluzione da batterio intracellulare a mitocondrio questo affare ha cessato di essere vivo [La teoria dell’endosimbiosi, ampiamente confermata dall’evidenza, prevede infatti che i mitocondri discendano da un ceppo batterico rimasto inizialmente intrappolato dentro una cellula eucariote ancestrale, ndr]? Impossibile a dirsi! Di conseguenza si finisce per ricorrere a spiegazioni stupide del tipo “quando ha perso questo gene o quella proteina ha cessato di essere vivo”. 

Questo ragionamento può essere esteso ai plasmidi, in quanto vi è un collegamento evolutivo dimostrato fra plasmidi e virus e si hanno gli stessi problemi nel sostenere che i virus siano vivi mentre i plasmidi no. Supponiamo infatti che un virus perda i geni che codificano [contenenti le informazioni genetiche necessarie per produrre, ndr] per le proteine del capside* e diventa quindi un plasmide*, allora dovremmo dire che sono i geni a codificare per il capside che producono la vita. Altrettanto stupido.

Quindi alla fine ho concluso che ci fossero due possibilità: o non parliamo più di vita (problematico in biologia) o proviamo a estendere la definizione di vivente a tutti gli elementi attivi in un processo vitale. Ad esempio, una proteina che ha una funzione dentro una cellula è viva, mentre nel momento in cui la isoliamo in una provetta non lo è più. Questa che propongo è una definizione di cosa è vivente, non di vita.

In questo caso, i virus sono ovviamente esseri viventi. I virus possono produrre nuovi geni, nuove proteine e nuove funzioni. Questo fatto è stato a lungo trascurato dai miei colleghi che, quando studiavano il genoma virale, supponevano che tutti i suoi geni derivassero da genomi di organismi cellulari e non riuscivano a concepire come un virus potesse produrre nuovi geni. Questo perché si concentravano sul virione*, che è un oggetto quasi inerte, mentre concentrandosi sulla virocellula è facile vedere come nuovi geni possano comparire in un genoma virale proprio come in un genoma cellulare.

Lei ha molto studiato e studia ancora la topologia dell’albero della vita. Potrebbe spiegarci brevemente come pensa che i virus abbiano influenzato, se non causato, l’origine e l’evoluzione dei tre domini della vita (Archea, Bacteria ed Eukarya)?

Questa ipotesi deriva da una mia precedente ipotesi secondo cui i virus hanno ”inventato” il DNA: ho lavorato a lungo su enzimi come la DNA polimerasi e la DNA topoisomerasi [proteine necessarie per la replicazione* del DNA, ndr], e ho trovato intrigante il fatto che ci sia molta più diversità fra gli enzimi virali rispetto a quelli cellulari. Ad esempio, il mio interesse per i virus crebbe notevolmente quando scoprii che il fago T4 [virus che infetta batteri, ndr] produceva una DNA topoisomerasi di tipo II che era più simile alla versione eucariotica dell’enzima rispetto a quella batterica, anzi una via di mezzo fra le due. Si trattava di un fatto molto difficile da interpretare utilizzando il classico schema che contempla i geni virali come provenienti dal genoma delle cellule ospiti.

Ebbi quindi l’idea che forse il DNA nacque grazie a una modificazione chimica dell’RNA causata dall’esigenza dei virus di proteggere il loro genoma dalle difese cellulari. Questo spiegherebbe perché gli enzimi che replicano il DNA siano così diversi fra batteri ed eucarioti/archea: sono stati inventati indipendentemente gli uni dagli altri. Probabilmente essi agivano sull’RNA, nel contesto di una biosfera primordiale in cui tutte le cellule utilizzavano solo questo acido nucleico [ipotesi del mondo a RNA, ndr], e poi sono stati adattati per funzionare sul DNA. Forse ci sono state più transizioni indipendenti da un genoma a RNA a uno a DNA, forse prima esistevano più di tre domini, ma quelli attuali hanno prevalso grazie alla stabilità e alla minore esposizione alle mutazioni del DNA. E forse anche per questo sembra che l’evoluzione abbia rallentato dopo la comparsa di questo acido nucleico. Un’osservazione simile è stata fatta da Carl Woese negli anni ‘70 riguardo all’evoluzione dei ribosomi.

Un altro interessante contributo dei virus alla storia della vita sulla Terra potrebbe essere la creazione del nucleo cellulare, e in uno dei suoi articoli lei ha menzionato due ipotesi riguardanti questo fenomeno. Secondo la prima, il nucleo si formò a seguito dell’infezione di una cellula da parte di un virus che, recuperando membrane – e  forse geni – da quest’ultima, senza mai più uscirne, ne divenne il nucleo. Al contrario, la seconda ipotesi prevede che le cellule, utilizzando proteine e geni virali, abbiano sviluppato dei nuclei per proteggersi dai virus stessi. Quale delle due ipotesi è più attinente ai dati che possediamo? Inoltre, si ritiene che la cellula menzionata nella prima ipotesi avesse un genoma costituito da RNA o da DNA?

Non riesco ad esprimere una preferenza per alcuna delle due ipotesi tuttavia, negli ultimi anni, io e la mia équipe ci siamo concentrati nell’acquisire nuovi dati per provare la validità della prima. Alcune polimerasi eucariotiche hanno origine virale (più specificatamente, sono riconducibili ai Megaviricetes), e recentemente abbiamo scoperto che anche l’actina citoplasmatica ha una provenienza simile. Abbiamo scritto a riguardo in un articolo che deve ancora essere pubblicato. Tali virus hanno reclutato geni dai proto-eucarioti e, a seguito di alcune mutazioni, li hanno reintrodotti in questi ultimi prima della comparsa di LECA (Last Eukaryotic Common Ancestor).

In un articolo che abbiamo recentemente completato, viene mostrato molto chiaramente che anche la DNA topoisomerasi di tipo II eucariotica ha origine virale, dunque abbiamo sempre più indizi che confermano l’interazione fra gli eucarioti e diverse famiglie di virus. Mi ha particolarmente entusiasmato scoprire come essi possano indurre la formazione di nuclei quando infettano dei batteri. Il loro genoma contiene due proteine che promuovono rispettivamente la formazione della membrana nucleare e il collocamento del nucleo al centro della cellula, in modo tale che sia protetto dal complesso CRISPR*. Un altro affascinante particolare scoperto nei Coronavirus – è la struttura che assumono i pori nucleari [complesso proteico di forma cilindrica che attraversa l’involucro nucleare, ndr] delle viral factories* che si formano a seguito dell’infezione di una cellula da parte di un virus a RNA, più piccoli di quelli eucarioti, ma molto simili. 

Alla luce di ciò si può affermare che i virus riescano a formare nuclei e pori nucleari. 

Come evidenzia nei suoi articoli, la feroce competizione che si instaura fra virus e cellule porta allo sviluppo di nuove parti e funzioni cellulari. Spesso si pensa ai virus come a “ladri” di geni, ma questa visione potrebbe essere parziale. Le cellule si impadroniscono dei nuovi geni originatisi nei virus, sfruttando il fatto che in essi le mutazioni avvengono senza limiti. Infatti, una cellula ha necessità di essere estremamente precisa nella replicazione, mentre i virus no, dunque le cellule li usano come se fossero i loro laboratori, conservando ciò che di buono si origina in essi. Al contrario, i virus generano variabilità e utilizzano le cellule come se fossero delle cavie. Premettendo che non si vuole scadere nel finalismo, le pare sensato come punto di vista?

Credo che sia molto interessante. 

È abbastanza facile immaginare organismi unicellulari prendere geni dai virus e propagarli nel tempo, ma è più difficile visualizzare eucarioti pluricellulari fare lo stesso. È necessario che i virus raggiungano la linea germinale per avere effetti sulla progenie, tuttavia pare che ciò sia successo. Con quale frequenza avviene questo fenomeno? 

Accade piuttosto frequentemente. Quando si osservano i geni di origine virale presenti nel genoma umano, è evidente che questo tipo di eventi siano accaduti in passato. Si tratta di un fenomeno che ha avuto un ruolo importante nell’evoluzione umana e, più in generale, degli organismi multicellulari. 

L’ultima domanda che vorremmo porle è puramente speculativa. Considerando i virus come predatori, sarebbe possibile agire sulle dinamiche preda-predatore al fine di diminuire la pressione su alcune specie di microrganismi carbonio-fissatori? Avvalendoci di questi ultimi riusciremmo ad aumentare la nostra efficienza nell’estrarre CO2 dall’atmosfera?

Teoricamente è un’idea interessante, ma al momento non vedo come potrebbe essere applicata. Si potrebbe cominciare a condurre esperimenti su piccola scala. Un grosso problema di quest’idea è però l’imprevedibilità degli effetti che gli ecosistemi dovrebbero affrontare sul lungo termine. 


Glossario. Vengono qui riportate le definizioni delle parole contrassegnate con un asterisco.
Capside: involucro solitamente proteico che avvolge e protegge il genoma del virus nello stadio di virione. Viene scartato al momento dell’infezione della cellula. 
CRISPR: famiglia di segmenti di DNA, rinvenibili in batteri e archei, contenenti brevi sequenze ripetute. Queste brevi ripetizioni sono sfruttate dal batterio per riconoscere e distruggere il genoma proveniente da virus simili a quelli che hanno originato le CRISPR. Costituiscono dunque una forma di immunità acquisita dei procarioti.
Plasmide: una molecola di DNA circolare che può contenere diversi geni tra quelli necessari per essere replicata anche indipendentemente dal genoma della cellula in cui si trova.
Replicazione: produzione di due molecole di DNA identiche a una di partenza. 
Ribosoma: un complesso macchinario cellulare formato da RNA e proteine, è l’elemento responsabile della sintesi di tutte le proteine cellulari a partire dagli aminoacidi e utilizzando l’RNA messaggero come istruzione. Ogni cellula ne contiene milioni.
Viral factories: corpi di inclusione che si sviluppano all’interno delle cellule infettate da virus. In essi avvengono la replicazione e l’assemblaggio virale. 
Virione: una particella che protegge il genoma virale quando si trova all’esterno di una cellula e che consente di infettare nuove cellule. Delimitato dal capside, oltre al genoma può contenere anche centinaia di proteine virali.
Virocellula: una cellula infettata da un virus che non è più in grado di riprodursi, ma può soltanto generare virioni. Al suo interno l’unico genoma presente e/o funzionale è quello virale e l’assemblaggio dei virioni avviene in compartimenti definiti “fabbriche virali”. 

Intervista realizzata con il contributo di Alberto Peruzzi.

Daniele Di Bella
Sono Daniele, da grande voglio fare il biofisico, esplorare l'Artide e lavorare in Antartide. Al momento studio Quantitative Biology, leggo, mi interesso di ambiente e scrivo per Vulcano.

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