Del: 20 Dicembre 2021 Di: Carlo Codini Commenti: 0
Nuova Caledonia. Forte astensione al referendum

Domenica 12 dicembre si è tenuto il terzo e ultimo referendum, come previsto dagli accordi, per decidere se la Nuova Caledonia debba rimanere possedimento francese oppure ottenere l’indipendenza. I risultati hanno dato ragione, con un netto 96%, al partito pro-Francia. Ma il forte astensionismo (l’affluenza è stata solo del 44%), soprattutto tra gli indigeni indipendentisti, accende la polemica e getta l’ombra di possibili violenze in futuro.

Sul destino delle dodici isole nel sud dell’oceano Pacifico si era già votato nel 2018 (il 56,4% scelse di rimanere francese) e poi nel 2020 quando, una volta ancora, con il 53%, venne respinta la richiesta d’indipendenza. Semplificando, si può dire che da un lato ci sono i kanaki, ovvero gli indigeni, a favore dell’indipendenza, radunatisi nel Fronte di Liberazione Nazionale Kanako Socialista; dall’altro, i discendenti dei coloni francesi, i discendenti dei deportati quando quelle terre erano una colonia penale, e i polinesiani, tutti pro-Francia e raggruppati sotto il nome di Voce del No.

Divenuta colonia nel 1853, dal 1864 per quarant’anni la Nuova Caledonia venne utilizzata come bagno penale. Nel 1946 cessò formalmente di essere colonia, divenendo Territorio d’Oltremare, con una limitata autonomia dal 1976. A partire dal 1985 il Fronte di Liberazione intraprese una lotta per l’indipendenza dalla Francia, inaspritasi dopo l’omicidio del leader Jean Marie Tjibau.

Le violenze, che portarono a decine di morti, si conclusero con la firma dell’accordo di Matignon nel 1988, seguito da quello di Nouméa nel 1998. Questi prevedevano, in particolare, la possibilità di tre referendum, dopo che quello indetto dalla Francia nel 1987 era stato boicottato dagli indipendentisti che lo avevano ritenuto privo di trasparenza e legittimità. Poi due referendum, con la vittoria di misura dei filofrancesi. E ora il terzo, formalmente decisivo.

Ma il forte astensionismo getta forti ombre sul futuro. Sembra riproporsi lo scenario del 1987, e così alcuni osservatori sono poco propensi a pensare che l’esito del terzo referendum abbia davvero messo la parola fine sulla questione dell’indipendenza.

Oggi il Paese, che fa parte della Melanesia e conta appena 270mila abitanti. Vede ormai i kanaki in minoranza (44%), seppur comunque numerosi, anche a causa delle continue migrazioni favorite dal fatto che il territorio è possedimento francese. Questo ha alimentato tra gli indigeni non solo lo scoraggiamento davanti al ricorso a strumenti democratici per far valere la loro voce, ma anche il timore di essere considerati sempre più “cittadini di serie B”.

Sul punto il Guardian ha riportato nei giorni scorsi la notizia delle accuse di razzismo e discriminazione rivolte dai kanaki contro lo spot pubblicitario realizzato dai lealisti francesi in vista del voto. Il ricorso è stato presentato al Consiglio di Stato francese e firmato, tra i vari, da Mathias Chauchat, professore di diritto presso l’Università della Nuova Caledonia. Nello specifico, l’accusa è di ritrarre nello spot i non-bianchi (gli indigeni, melanesiani, hanno infatti la pelle più scura dei coloni e dei polinesiani immigrati) come privi della padronanza della lingua francese, grezzi, e con un accento “che indica il loro stato primitivo e incolto”.

Una ferita, quella del razzismo, che era già arrivata all’opinione pubblica mondiale quando, nel 1982, la città di Nouméa era stata ricoperta di volantini che annunciavano l’avvento de Il pianeta delle scimmie, dopo l’alleanza politica tra partiti indipendentisti e centristi non kanaki.

Ma da dove è derivata l’astensione degli indipendentisti dal referendum della scorsa settimana? È stata solo una questione di perdita di speranza e indebolimento?

I kanaki avevano chiesto di rinviare per la pandemia il referendum alla fine del 2022, a qualche mese di distanza dalle elezioni presidenziali in Francia, come stabilito dagli accordi stipulati con il governo francese nel 2019, per evitare interferenze. Ma il governo di Macron ha deciso che il referendum si doveva tenere ugualmente. Questo, secondo alcuni osservatori internazionali, proprio con motivazioni elettorali e per strizzare l’occhio ai votanti di destra, favorevoli al mantenere la Caledonia unita alla Francia. È chiaro che negli ultimi anni i rapporti fra Parigi e il possedimento d’oltremare hanno continuato ad essere problematici.

Oltretutto, a ritenere strategiche le isole nel Pacifico è anche la Cina, interessata alle riserve di nichel abbondanti nell’isola maggiore, e che ha già mostrato interesse anche verso, ad esempio, le isole Figi, le Salomone e la Papua Nuova Guinea, quella che gli analisti chiamano la “collana di perle cinese” nel Pacifico.

L’allontanamento degli indipendentisti dalla Francia potrebbe portarli ad avvicinarsi alla Cina in futuro? Con l’esito del terzo referendum, i kanaki accetteranno definitivamente l’appartenenza alla Francia, con un regime ancora tutto da definire, essendo stata rinviata al dopo-referendum ogni decisione a riguardo? Oppure scoppieranno violenze e rappresaglie come in passato? Queste sono solo alcune delle domande che si stanno ponendo gli osservatori di tutto il mondo in questi giorni.

C’è spazio per un futuro democratico della Nuova Caledonia con la Francia, ma con prospettive di eguaglianza e pacifica convivenza tra i diversi gruppi? Questo dipenderà dalla capacità degli indipendentisti, che reclamano i loro diritti come abitanti originari, di definire una linea politica realistica nel nuovo scenario; dall’atteggiamento degli altri gruppi, più di metà della popolazione e ormai legati a quella terra; e dall’atteggiamento del Governo francese, che non può certo pensare di aver vinto con l’esito del referendum.

Carlo Codini
Nato nel 2000, sono uno studente di lettere. Appassionato anche di storia e filosofia, non mi nego mai letture e approfondimenti in tali ambiti, convinto che la varietà sia ricchezza, sempre.

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