Del: 6 Dicembre 2021 Di: Alice Sebastiano Commenti: 0
Quale ruolo per la poesia nell'età contemporanea?

Nel 1925 Eugenio Montale pubblica la sua prima raccolta poetica, Ossi di Seppia. Il tema portante di tale opera è senza dubbio quello del cosiddetto male di vivere, contrastante il periodo vigente di imponente trionfalismo fascista in Italia. La poesia cattura perciò da sempre lo spirito di un’epoca, e come ogni forma di arte che sia degna di essere definita tale, ne imbalsama le più recondite sensazioni, cosicché il tempo non si manifesti mai come una minaccia capace di privarne la traccia.

La poetica di Montale descrive una vita strozzata, impossibilitata a compiersi interamente e, proprio per questo, gravosa effettività da recepire.

Per questa ragione, molto spesso, la poesia viene catalogata come un prodotto di inutile fruizione, incapace di concludere, invalido nel fornire risposte, e senz’altro usualmente incomprensibile secondo i nuovi ritmi di pratica della lettura: impazienti e affamati.

Non persiste quindi alcuna titubanza nell’affermare come oggi, la poesia, sia solamente ombra di un passato ammirevole, e nulla a che vedere con il presente, il sapere di adesso.

Già nella Repubblica di Platone si denotava una netta differenza tra la disciplina poetica e quella filosofica, seppur quest’oggi tale divergenza sia colta come sinonimo di inimicizia, e la filosofia si diletti esageratamente a scimmiottare la poesia. La differenza è radicata nel principio che ciascuna delle due serba; tutto nasce da una comunanza, un’unione che permetta poi di discernere e commisurare: una prospettiva di ricerca. La filosofia si interroga infatti da sempre sulla necessità dell’arte, molti sono i filosofi che la ritengono assente nel tempo moderno (a partire da Hegel).

Nel passato, la poesia era mossa come ogni forma d’arte da una sete sostanziale, un senso etico di dovere primitivo e originario dell’animo, mai piacevole, ma catartico. Ora, nell’era della tecnica, le arti non sono altro che materiale volto al suo consumo, dilettevoli ed intrattenenti strumenti costruiti dalle dinamiche del mercato globale, che mirano al profitto e, sotto supremo dettame economico, al raggiungimento dei massimi scopi con l’impiego minimo dei mezzi.

Vivere in un’epoca talmente animata dal mero ingegno utilitaristico cancella lo spazio all’inutile, che prima si esprimeva in innumerevoli canali comunicativi, e conserva solo quelle forme di apparente futilità allettanti ai gusti codificati dagli algoritmi custodi del DNA della società contemporanea.

Eppure, proprio come algoritmi, le produzioni poetiche nascevano dalle modeste penne di chi fosse consapevole di non sapere in partenza, e scrivesse ricevendo la storia, non conoscendola, a differenza di un qualunque narratore di prosa. Il poeta infatti subisce la realtà e ne assorbe ogni tratto attraverso la valorizzazione di un linguaggio oggi morente, in agonia, un bene tanto prezioso e proprio, quanto al contempo inascoltato, marginalizzato e, anche se intatto, considerato superfluo. La poesia è diventata una scuola di resistenza in mano a pochissimi, contro il dilagante sradicamento della lingua, un genio in pena e invisibile ma soprattutto comunicativo, in larga distinzione dall’informazione che domina oggigiorno, la quale mira a riempire ciò che si presuppone vuoto.

La comunicazione poetica richiama un concetto di anamnesi platonica, secondo cui l’anima sia una fioritura di potenze pronte ad emergere tramite l’espressione permessa solo ed esclusivamente dallo stimolo del confronto, del dialogo con l’altro esterno a sé. L’informazione invece non ha la parola che indica, ma esaurisce subito, e non ha nemmeno la parola che manca bensì si assume il presupposto di definire tutto e conclusivamente. La poesia si scandisce in versi proprio al fine di lasciare spazi vuoti, giocare con le assenze, le sentenze estromesse, i rapporti logici taciuti. La poesia non punta alla quantità, ma alla qualità delle parole, cercando di permeare ogni elemento del più robusto composto essenziale. Le parole che esulano dal silenzio esistenziale sono folgoranti ed evocative, come l’ermetismo testimonia particolarmente.

Quindi, cosa rimane alla vera dote poetica in quest’epoca all’insegna del ruolo, dell’allocazione e dove la qualità è solo amministrata dal pensiero calcolante?

In un mondo in cui ogni ente è definito in base alle funzioni che impegna, si annichilisce gradualmente la primigenia natura dell’umanesimo, secondo la quale l’uomo è in procinto di diventare padrone del suo mondo. Ma come è possibile prevaricare quando si annienta la coscienza di sé, dando piede libero alla crisi dell’individuo sui passi di una razionalità che non dispone capienza per ciò che funzione di un apparato non è? Così si erge un controsenso che divarica la congettura dell’individualismo e la disgrega, rimuovendo la cognizione del carattere che più di ogni altro è permissivo di distinzione di noi soggetti dalla esistenza oggettiva, ovvero la connaturata competenza di stare nel mondo aprendone uno ulteriore, la cui fisionomia si erige su significati e significanti.

Il termine “poesia” deriva dal greco ποίησις, poiesis, con il significato di “creazione”; anche il poeta produce, è un artigiano della lingua, libero e senza finalità estrinseche, il quale cerca di scavare nell’abisso della parola e della sua verità, ma non conduce a conclusioni, piuttosto ammutolisce e sprofonda in quella umile percezione del limite che l’intelletto fatica enormemente a metabolizzare.

Inversamente alla filosofia, la poesia non si è mai prefissata alcuna pretesa di risposta, non è un sistema, ma un esercizio di corrispondenza preciso e coscienzioso, come anche di rarissima riuscita, poiché spesso in preda a fantasie frivole, confusi sentimentalismi e artificiose erudizioni. Come ricorda Montale durante il suo discorso in occasione del ritiro del premio Nobel insignitogli nel 1975, la poesia è sì inutile, ma mai nociva, a differenza di molti altri fenomeni mediatici del tempo attuale; lavora come campanello di allarme per la presunzione antropica di attribuirsi una collocazione privilegiata nella realtà, che fa soffrire lo stesso uomo, il quale può guardarsi da fuori e, grazie alla poesia più che a qualsiasi altro veicolo, sentirsi vivere. La poesia serve proprio perché non ha un ruolo, è genuina garanzia di perseveranza della più intima interiorità umana.

[…] Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso.

Giuseppe Ungaretti, Commiato

Alice Sebastiano
Di Milano. Studio international politics, law and economics, nasco nel 2001 e ho il callo sull’anulare per la pressione della biro sin dalla prima elementare. Elogio la nobile virtù dell’ascolto reciproco. Scrivo per legittima difesa, il piacere personale è poi accessorio.

Commenta