Viaggi, esplorazioni, vagabondaggi. In questa rubrica, un’indagine intorno al movimento e al desiderio di spostarsi e cercare altri luoghi.
Un’auto, una tenda e tanta energia. Nessun altro ingrediente per buttarsi nel giro di una regione greca dalla forma inconfondibile: il Peloponneso. Collocato tra il mar Egeo e il mar Ionio, si raggiunge via traghetto sulla tratta diretta Ancona-Patrasso. Dopo 25 ore, accompagnati da tanto sonno e parecchia fame, si sbarca finalmente in questa terra in cui cessano di esserci autostrade e il sole cocente obbliga le persone a giornate lente e senza fretta. Qualcuno avrà sentito nei propri studi parlare di questi luoghi come teatro della sanguinosa Guerra del Peloponneso tra Sparta e Atene (431-404 a.C.), raccontata da Tucidide, nonché come scenari di molti degli affascinanti miti dell’antica civiltà greca.
Percorrendo le pagine della storia antica riemergono tracce della civiltà neolitica e di quella dell’età del Bronzo sino al 2000 a.C., quando genti arie scesero in Grecia, stanziandosi anche nel Peloponneso. Dopo un periodo di dominazione dorica, le città di Argo e Sparta si imposero sulle altre, arrivando nel VI sec. a.C. a un’unione militare e politica: la lega del Peloponneso. Nelle continue lotte intestine tra Achei, Etoli, Spartani e Macedoni della seconda metà del III secolo, si inserirono i Romani che affermarono la propria egemonia e lo resero parte della provincia di Acaia.
Ma torniamo al XXI secolo: dopo una meritata pausa all’ombra di alberi di limone in una delle tipiche taverne con tavoli in legno e sedie impagliate, si riaccendono i motori e si percorre per 132 km la costa nord-occidentale, arrivando a Corinto. Antica madrepatria di numerose colonie fondate tra l’VIII e il VII sec. e produttrice dei meravigliosi vasi in ceramica in stile proto-corinzio, è situata sull’omonimo istmo che fino al 1893 collegava il Peloponneso alla Grecia continentale. Secondo Pausania il possesso dell’istmo era stato oggetto di contesa tra Poseidone ed Elios, tra i quali intervenne Briareo.
“Briareo decise che l’istmo e la terra a quello confinante fosse di Nettuno, e che la rupe, la quale domina la città, appartenesse al sole [Elios, ndr]” (Pausania, II 1,6)
In una sola ora di strada si giunge, proseguendo verso est, a Epidauro, dove l’antico teatro a cielo aperto accoglie ancora oggi rappresentazioni teatrali uniche. Dagli alti spalti di roccia, circondati da spettatori soltanto greci, si ammirano gli attori vestiti con bizzarri costumi mentre recitano, ballano, cantano e riportano l’uomo moderno all’epoca di Aristofane, quando il teatro era per il cittadino greco un diritto e un dovere.
Proseguendo per una quarantina di chilometri su una strada immersa nelle pianure di terra gialla si incontra un cartello con il nome di una città che ha tanto da raccontare: Mykines, la città che nel II millennio a.C. accoglieva la florida civiltà micenea e che dal 2011 è stata posta sotto il comune di Argo-Micene. Una lunga salita, oggi all’interno del sito archeologico, permette di giungere sino all’antica acropoli situata circa 280 metri sopra il livello del mare. Un vento inaspettato e incredibilmente caldo accompagna il momento in cui, giunti in cima, si vedono le distese infinite di terra e vegetazione che circondano per 360° l’altura.
Qui sorgeva l’antico palazzo reale di cui oggi sono visibili i resti, circondato dalle mura ciclopiche. E non si dice per caso: le gigantesche pietre che costituiscono le mura tutt’ora ben collocate l’una sopra l’altra, le avrebbero poste, secondo il mito, i Ciclopi. La leggenda narra che Perseo, col loro aiuto, avrebbe fondato questa città proprio sul luogo in cui, strappato un fungo (in greco “mykes”, da cui il nome), scaturì una sorgente. Sull’antica Micene regnò inoltre la dinastia degli Atridi, della quale recano testimonianza gli straordinari ritrovamenti archeologici del sito: dal rinomato «Tesoro di Atreo» cui appartiene la Maschera di Agamennone, alle tombe di Clitennestra ed Egisto.
Con tappa intermedia a Leonidio, si prosegue verso sud fino ad arrivare a Elafonisos: un minuscolo isolotto dalle acque cristalline dove il tempo si ferma.
Il navigatore non segna più la via e molto facilmente la macchina si ritrova in strade troppo strette per lei. Proseguendo il percorso tra i grandi nomi del passato, si risale a nord per 120 chilometri circa per trovarsi a Sparta, oggi comune di 36.540 abitanti. Cosa aspettarsi dalla città della grande Costituzione di Licurgo, del rigido addestramento di soldati e della dura lotta contro l’espansionismo ateniese?
Parcheggiata la macchina sotto il sole cocente si inizia a camminare per le vie della città: tutto tace in un silenzio che sembra compensare un’antica epoca di attività inimmaginabile. A destra e a sinistra i negozi datati sono per la maggior parte chiusi. In fondo alla via principale sotto le tende di un bar siede un anziano signore greco che gioca a carte e beve vino. A pochi passi da lui si erge una statua in bronzo: la statua del grande Leonida, il grande combattente protagonista del sacrificio delle Termopili, durante la Seconda guerra Persiana (480-479 a.C.).
Scombussolati tra i tentativi di immaginare un glorioso passato e la sete che riporta al presente — forse un po’ meno glorioso — si lascia Sparta dirigendosi a nord-ovest verso un’ultima tappa prima di chiudere il cerchio del percorso: Olimpia.
Anche in questo caso, un nome che ha tanto da dirci: importantissimo centro religioso, ogni quattro anni accoglieva le antiche Olimpiadi. Entrando nel meraviglioso sito archeologico si cammina tra imponenti colonne e spazi ben organizzati, dalla palestra, alla stoà, dal tempio di Era al recinto sacro, fino a trovarsi nell’immenso Stadio. Qui i più atletici potranno godersi una corsa sullo spazio in cui avvenivano le antiche competizioni più di 2700 anni fa.
Altri 120 km a nord e si ritorna a Patrasso, dove tutto era partito; sulla strada si viene fermati da una mandria di capre che attraversano senza fretta e guardano perplesse i fanali della macchina lasciando il tempo di salutare questo luogo straordinario.