Del: 25 Gennaio 2022 Di: Viola Vismara Commenti: 0
Enzo Tortora. Un massacro giudiziario

La morte di Silvia Tortora, avvenuta lo scorso 10 gennaio, ha riportato l’attenzione sull’iconica figura del padre, Enzo Tortora. La donna dedicò gran parte della sua vita alla difesa del padre, sia durante il processo, che lo condannò ingiustamente per associazione camorristica e spaccio, sia dopo la sua morte, cercando di riabilitare la sua immagine e per far sì che il dramma del genitore non fosse avvenuto invano.

Enzo Tortora è considerato uno dei padri fondatori della televisione italiana. Iniziò a lavorare in RAI negli anni Cinquanta e si fece notare come autore e presentatore. La sua carriera televisiva ebbe una grande ascesa. Iniziò come valletto a Primo applauso per arrivare a condurre la nona edizione del Festival di Sanremo. Dal febbraio 1965 e fino al 1969 condusse La Domenica Sportiva, rendendola una trasmissione di culto

Nel suo lavoro mostrò intelligenza e cultura, ma anche impavidità.

Essendo anche un giornalista, Tortora utilizzò la sua penna per poter dire quello che pensava con audacia. Questo suo lato non piacque mai alla dirigenza della RAI, che lo allontanò per ben due volte. Il motivo del suo secondo allontanamento fu celebre, a causa della pubblicazione di un’intervista sul settimanale Oggi, in cui definì la RAI «un jet colossale pilotato da un gruppo di boy scout che si divertono a giocare con i comandi».

Tortora fu un attivissimo giornalista durante gli anni di piombo e questo gli causò molte inimicizie, perché si metteva in contrasto con i grandi intellettuali dell’epoca. Fu uno dei pochissimi ad opporsi al manifesto contro il commissario Calabresi, che vedeva come colpevole il commissario Calabresi per aver ucciso Giuseppe Pinelli.

La consacrazione di Enzo Tortora, come una delle persone più celebri in Italia, avvenne nel 1967 grazie alla conduzione di Portobello. In questo programma venivano venduti in diretta degli oggetti e il ricavato andava in beneficenza. Degna di nota fu la raccolta per sostenere la comunità dei terremotati dell’Irpinia.

La sera del 16 giugno del 1983 Enzo Tortora ricevette strane telefonate da parte di alcuni giornalisti. Essi gli chiedevano se lui fosse coinvolto in qualche crimine con la camorra organizzata. Tortora pensò a ciò come uno scherzo e non diede particolare peso alla vicenda.

Peccato che questo fu solo l’inizio di un travaglio giudiziario.

La mattina del 17 giugno del 1983, alle quattro del mattino, venne arrestato. Fu accusato di spaccio e associazione a delinquere di stampo camorristico. Qui partì il massacro di Tortora causato dalla stampa e dalla magistratura, i giornalisti fecero a gara per gettare fango sul conduttore, anche dicendo falsità. Uno dei tantissimi esempi fu il giornale Messaggero, che scrisse: «Tortora ha confessato», un fatto assolutamente non vero.

Il suo arresto preventivo non venne basato su prove oggettive, ma sulle testimonianze di due pentiti: Giuseppe Pandico, detto ” ‘o Pazzo”, e Pasquale Barra, conosciuto anche come ” ‘o Animale ‘”. I due malavitosi dovevano fornire dei nomi alle autorità per poter usufruire degli sconti di pena e fra i tanti nomi già detti, spunta anche quello di Enzo Tortora. Barra raccontò la sua versione, affermando che il conduttore spacciasse per Cutolo.

Questo fu abbastanza per i due procuratori, Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, per imbastire l’inchiesta e l’accusa a Tortora. I due magistrati sono stati dipinti come degli eroi dalla stampa. Gigi Moncalvo de Il Giornodefinì «Scrupolosi, seri, prudenti, stimati», e non fu l’unico. Anche i due magistrati si sono espressi a riguardo: «il racconto di Pasquale Barra è stato accuratamente verificato».

Pochissime persone presero le difese di Tortora. Due esempi sono Piero Angela e Enzo Biagi.

Durante la sua permanenza in carcere ci furono altre accuse senza prove contro di lui, come l’aver intascato i soldi destinati ai terremotati dell’Irpinia. Il 17 gennaio del 1984 Tortora venne mandato agli arresti domiciliari, ma le prove continuavano a non esserci. Raffaele Cutolo, boss della malavita che secondo Barra era in stretto contatto con Enzo Tortora, lo scagionò dicendo: «Enzo Tortora è una persona degnissima. Io lo ritengo innocente al mille per mille».

In questo periodo si candidò alle europee parlamentari e un anno preciso dopo il suo arresto fu eletto come parlamentare europeo. Ma il 17 settembre del 1985 venne ritenuto colpevole di spaccio di droga e di associazione a delinquere di tipo mafioso. Tortora era ormai consapevole di essere diventato un simbolo e si consegnò alle autorità, rinunciando all’immunità parlamentare.

Si difese con grande forza: «Lo grido: sono innocente. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento. Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi».

Finalmente, dopo anni di ingiustizie, il 15 settembre 1986 Tortora venne assolto alla Corte d’appello di Napoli. Nessuno dei magistrati che si accanì contro di lui ebbe delle penalità nella sua carriera e nessun giornalista gli chiese mai scusa. Non ebbe mai neanche un risarcimento.

Quando Tortora tornò a Portobello pronunciò una frase che divenne famosa nella televisione italiana «Dunque, dove eravamo rimasti?». Morì poco dopo, la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.

Ascoltando questa vicenda viene naturale porsi una domanda: come iniziò tutto questo?

Tutto iniziò a causa di Pandico che, a nome del compagno di cella Barbaro, inviò dal carcere alcuni centrini alla redazione di Portobello, in modo che essi potessero essere venduti in diretta all’asta del programma. La redazione però smarrì i centrini e lo stesso Tortora mandò una lettera di scuse a Pandico e lo rimborsò per i centrini andati persi.

Il pentito, in preda a paranoie e manie di persecuzione, non accettò le scuse e iniziò a inviare a Tortora lettere intimidatorie con scopo di estorsione. Pandico, diventato nel frattempo collaboratore di giustizia, raccontò ai magistrati che i centrini erano in realtà partite di droga e che Tortora era coinvolto in questo giro d’affari.

Questa è una storia su come può accadere che la giustizia non sia sempre davvero giusta e su come la narrazione dei media talvolta possa non aderire al reale. Questa storia ci serve come monito, per non dimenticare che tutti hanno diritto a un equo processo, con prove e analisi oggettive che certifichino con sicurezza la colpevolezza dell’imputato.

Viola Vismara
Classe 2000. Studentessa di Lettere Moderne.

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