Del: 16 Gennaio 2022 Di: Giulia Scolari Commenti: 0
Eve Babitz

Los Angeles è una città che in molti hanno tentato di afferrare: una metropoli gigantesca in cui tentare la fortuna, perdersi, rifarsi una vita o porvi fine. Come tutti microcosmi talmente influenti da diventare metafore della società, del mondo, della vita, anche l’aspetto di Los Angeles dipende dalle lenti che si portano quando la si osserva. E come ogni città-icona, essa ha saputo avere diverse facce a seconda dei decenni, evolvendo con l’evolvere dei suoi cittadini. Negli anni Sessanta, era molto diversa rispetto ad oggi. Hollywood piangeva Marylin Monroe, mentre la musica veniva rivoluzionata al Troubadour dalle esibizioni live dei Doors e la politica cambiava con le manifestazioni degli studenti a Berkeley.

È all’interno di questa gran confusione che si formano Eve Babitz e Joan Didion: due donne profondamente diverse, di origini diverse, ma che si ritroveranno a circolare nelle stesse cerchie. Entrambe scriveranno per tutta la vita di Los Angeles, dandone due immagini così diverse da essere sempre sovrapposte e contrapposte. I loro punti di vista sono costantemente paragonati, come si fa con le donne influenti da che se ne ha memoria, tanto che Babitz ci ha scherzato, ringraziando Didion e il marito nel suo primo libro «per dover essere ciò che lei non è».

Il vero scherzo del destino è stato quello dei loro ultimi respiri, sul finire del 2021, a distanza l’uno dall’altro di solo cinque giorni.

È dunque d’obbligo ricordarle insieme e cercare di fare una breve rassegna di ciò che queste due donne sono state per la letteratura e per il giornalismo. Eve Babitz è sicuramente la meno conosciuta tra le due. Fino a pochi anni fa era poco conosciuta e ciò che era arrivato ai più consisteva soprattutto di gossip. La sua vita, infatti, comincia in un mondo elitario e altolocato: Babitz nasce a Los Angeles da una madre pittrice e un padre violinista, il suo padrino è Stravinskij e sin da piccola frequenta intellettuali e artisti influenti.

Raggiunge la fama in città nel 1963, quando a una mostra di Duchamp al Museo Pasadena viene esposta una foto che la ritrae nuda mentre gioca a scacchi con l’artista. La sua carriera parte come pittrice, ma nel 1974 scrive il suo primo libro, Eve’s Hollywood, e comincia a fare della scrittura la sua professione. Quasi tutti i suoi libri sono composti di racconti semi autobiografici e sono ambientati a Los Angeles.

La protagonista di solito è lei e racconta, con entusiasmo e senza mai dare giudizi morali, le diverse sfaccettature della sua città e dei membri della sua cerchia. Rende il lettore partecipe della vita di una giovane ragazza ricca, bella e disinibita: alterna riflessioni sulla vita e la società e contribuisce a giocare dei pettegolezzi di cui è protagonista, preoccupandosi (solo quando le va) di inventare pseudonimi. Babitz descrive Los Angeles come la città migliore del mondo. «Culturalmente, Los Angeles è sempre stata una umida giungla […] Ci vuole una certa innocenza per apprezzar(la), è richiesta una certa felicità pura per esser(vi) felici. Quando le persone non sono felici, lottano contro Los Angeles e dicono che è una terra desolata».

È la sua scrittura così energica e senza inibizione che fa sentire il lettore «come se fosse un il suo nuovo migliore amico» e probabilmente è anche il motivo per cui non è mai stata presa sul serio come autrice.

Ella stessa riderà di ciò dopo la pubblicazione nel 2014 di un articolo sulla sua biografia e la successiva riscoperta delle sue opere più famose: «io mi sono sempre presa sul serio come scrittrice, immagino ci siano voluti più di 40 anni perché il mondo si mettesse in pari con me». Da anni la sua Los Angeles non era più la stessa e nemmeno lei: col passare del tempo (e in seguito a un incidente) aveva cominciato a ritirarsi in casa e a fare poche apparizioni, ma nonostante questo non ha mai abbandonato l’amata città. 

Joan Didion invece nasce a Sacramento da una famiglia i cui avi avevano migrato verso la California condividendo parte del tragitto con un gruppo, detto Donner Party, la cui spedizione avrà esito tragico e sarà ricordata per sempre come uno dei capitoli più bui della storia Americana. I racconti del viaggio compiuto dai nonni si susseguono per tutta la sua infanzia lasciandole numerose immagini che l’accompagneranno inevitabilmente nella scrittura, come i serpenti e il deserto.

Scrive da quando aveva 5 anni: inizia con racconti a dir poco inquietanti, il primo per esempio parla di una morte tragica di una donna dovuta alla temperatura estrema del deserto. È grazie a un concorso di scrittura (il Prix de Paris) che fa i suoi primi passi nel mondo del giornalismo: a vent’anni si trasferisce a New York e comincia a scrivere per Vogue. Nella grande mela conoscerà il suo futuro marito, John Gregory Dunne, anche lui scrittore e col quale collaborerà per diverse testate.

È prima di tutto in questo ambito, infatti, che rivoluzionerà il modo di scrivere.

È una pioniera del New Journalism, ovvero la pratica di raccontare episodi di cronaca aggiungendo ai fatti comprovati delle considerazioni personali o immagini fittizie nate dalla penna del giornalista; ad oggi questa è una pratica diffusissima. Joan Didion è però anche una scrittrice molto importante: i suoi romanzi sono ambientati quasi tutti in una Los Angeles vista come luogo di perdizione e perversione. Didion vedeva la metropoli come una metafora del mondo: dove Eve Babitz vedeva un mosaico, lei vedeva una spirale che portava a conseguenze anche infelici.

Questa visione è più evidente nelle raccolte di saggi sugli anni ’70, Verso BetlemmeThe White Album. Nei suoi romanzi, invece, le protagoniste sono donne che hanno quasi sempre un po’di lei: sembra «sorprendentemente fragile» come Lily di Run River, ha un corpo «mascherato da ragazzina» come Charlotte di Diglielo da parte mia. Ma è forse Maria di Prendila così quella che le somiglierà di più nelle sventure: la separazione dalla figlia ancora giovane e la convivenza con emicranie e disturbi mentali. L’anno del pensiero magico è considerato il suo capolavoro, un’autobiografia in cui racconta dell’anno in cui ha perso sia il marito che la figlia Quintana. È stato solo grazie al suo caratteristico rigore che è riuscita a superare l’esperienza. «Leggere, imparare, darsi da fare, informarsi. Essere informati significa non perdere il controllo».

Didion non si è mai limitata a scrivere, ha sempre condiviso i motivi che la spingevano a farlo, quello che secondo lei era il senso dell’atto e ha sempre fornito consigli per tutti coloro che volevano intraprendere la carriera. Secondo l’autrice, infatti, la differenza tra chi scrive sul serio e chi no sta soprattutto nella sua posizione nei confronti della paura: «è la differenza tra avere paura e non farne niente e avere paura, ma farne qualcosa». La perdita di queste due scrittrici è un grave lutto per il mondo della letteratura, ma il lato positivo è che offre l’opportunità di conoscerle a chi non l’ha avuta mentre erano in vita e le riporta, un’ultima dolce-amara volta, sotto i riflettori. Non è forse il modo più Californiano per andarsene?

Giulia Scolari
Scienziata delle merendine, chi ha detto che la matematica non è un’opinione non mi ha mai conosciuta. Scrivo di quello che mi piace perché resti così e di quello che odio sperando che cambi.

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