Un giovane Keanu Reeves, nel ruolo del programmatore Thomas A. Anderson, scopre di essere Neo, l’eletto, destinato a risvegliare e salvare l’umanità del Matrix, una simulazione composta da macchine che sfruttano l’umanità per produrre energia. Matrix è questo, ma è anche molto altro. È uno dei simboli del nuovo cinema, a cavallo tra due millenni, seguito da altri due capitoli, usciti entrambi nel 2003, che segnavano in maniera evidente la conclusione del mondo creato da Lana e Lilly Wachowski.
E invece, a distanza di 20 anni, Matrix Resurrections segna il ritorno di Neo e Trinity sul grande schermo.
Distribuito nelle sale il 1° gennaio da Warner Bros, con ancora protagonisti Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, ha diviso in maniera netta il grande pubblico. Da una parte i grandi appassionati che hanno da sempre sperato che la saga potesse continuare, dall’altra quella fetta di pubblico che considera l’operazione come un rischio per un cult come Matrix.
In un cinema che è ormai cambiato sotto ogni aspetto, è bene però evidenziare come il sequel della saga, o reboot per alcuni, sia un’occasione per ampliare i confini del mondo di Matrix, riprendendo aspetti dei capitoli precedenti, così da trattarli in un modo ancora più esplicito rispetto agli standard del tempo.
Ambientato 60 anni dopo i fatti dei primi tre film, Matrix Resurrections presenta un Neo invecchiato, che ha cambiato ormai vita, distaccandosi totalmente dalla simulazione che lo aveva travolto negli anni precedenti. Il nuovo Thomas Anderson è infatti uno sviluppatore di videogiochi, e la sua opera più importante è The Matrix, un videogioco che narra le reali avventure del creatore. È questo il primo punto della nuova via scelta per la saga, l’avvicinarsi al mondo videoludico, rendere il ricordo non più personale, ma concreto e vivibile da tutti. Tutti, tranne Thomas stesso.
Secondo elemento è l’uso che si fa del celebre “Bullet time” all’interno del film, l’effetto speciale che ha rivoluzionato il cinema e che è impresso nella mente di tutti i fan della saga. L’effetto, in questo ultimo film, viene utilizzato contro Neo stesso. Altri elementi mostrano lo scorrere del tempo e la realizzazione del film in un nuovo periodo storico fatto di modernità: dalle espressioni agli abiti, o ancora dalle location ai personaggi.
Nel film i due protagonisti, Neo e Trinity, non ricordano più chi sono e non hanno più memoria del tempo trascorso insieme, ma è fin dall’inizio che viene manifestata la relazione tra i due, una connessione che difficilmente può essere eliminata. Questo legame, lungo tutto il film, viene lentamente recuperato per lasciare spazio alla forza dei due, dipendenti l’uno dall’altra in una storia d’amore che ha trasmesso molto agli spettatori.
Matrix Resurrections è, però, un film che funziona a metà.
Se nella prima parte del film ci si concentra sul recupero della memoria di Neo, nel seguito si entra nel mondo di Matrix, che però è palesemente ridotto e reso molto meno potente e suggestivo rispetto a quello mostrato nei primi tre capitoli.
Un altro problema nell’opera è la scelta dei personaggi e il loro sviluppo. Dalla mancata presenza di personaggi di spicco come Morpheus, sostituito con una sua versione più giovane ma poco convincente, alla psicologia dei vari personaggi, presentati tutti in maniera troppo limitata e quindi non ben sviluppati, utilizzati solo per l’avanzamento della trama, ma poco approfonditi.
In conclusione, si può considerare Matrix Resurrections non come un film di Matrix, ma come un film su Matrix. Nonostante sia un film godibile dall’inizio alla fine e con numerosi richiami al passato, giocando molto sulla nostalgia del pubblico, si arriva a pensare che possa essere non un sequel ma piuttosto un reboot dell’opera. Questo perché più che avanzare nettamente nella narrazione si concentra e approfondisce gli elementi cardine dei capitoli precedenti.
Un film che fa bene alle casse della casa produttrice e che inevitabilmente riavvicina i fan di tutto il mondo, lasciando spiragli aperti per ulteriori ed eventuali seguiti, ma che nel complesso poteva essere evitato. La domanda è perciò: ce n’era davvero bisogno?