
Questo articolo è il secondo di due sulla figura di Silvia Federici e i suoi studi. Il primo può essere consultato al seguente link.
Con Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, la filosofa Silvia Federici ha dato nuovo impulso a una serie di studi concernenti il legame che intercorre tra lo sviluppo del capitalismo e le diverse forme di dominio del corpo femminile come precondizione necessaria per un più rigido controllo sociale. Si tratta di studi che, partendo dal passato, dal XVI e XVII secolo, hanno rilevanza notevole ancora oggi e permettono di analizzare, su basi storiche solide, nuove modalità di regolamentazione della sessualità femminile.
Calibano e la strega è un libro complesso, la cui lettura può risultare ostica ai non addetti ai lavori o a chi non si muove agilmente tra termini filosofici e teoria femminista. Proprio per questo, Silvia Federici nel 2020 ha deciso di pubblicare per NERO Caccia alle streghe, guerra alle donne, una versione breve e divulgativa del primo libro. In Caccia alle streghe, guerra alle donne la studiosa prende le mosse dalle teorie esposte in Calibano e la strega e dedica la prima parte del testo al tema dell’accumulazione capitalistica e alla ricostruzione del fenomeno della caccia alle streghe nel continente europeo.
Federici condivide la diffusa teoria secondo la quale la caccia alle streghe sia derivata da una pluralità di concause, ma al contempo reputa che lo sviluppo dei rapporti capitalistici abbia giocato un ruolo di primo piano.
Il cambiamento del sistema economico e della mentalità ha infatti indotto allo sviluppo di nuovi soggetti e nuove costruzioni dell’identità, tutte volte all’aumento della produttività in senso capitalistico. In particolare, la fase aurorale della persecuzione alle streghe andrebbe fatta coincidere con l’introduzione delle enclosures inglesi, ossia la recinzione delle terre demaniali e comuni avvenuta a partire dal XV secolo. Le enclosures si configurano come la prima forma di capitalismo agrario e di privatizzazione della proprietà.
Il passaggio da una gestione collettiva e comunitaria dei terreni a una privatistica ha causato una frattura violenta all’interno delle comunità e una rottura dei legami solidaristici istituiti nel corso del tempo. I soggetti più colpiti da questo cambiamento sono state le donne, in particolare quelle più anziane o non sposate, private del diritto di usufruire dei terreni comuni e quindi costrette a una vita di indigenza e vagabondaggio. Inoltre, ciò ha causato anche una perdita del potere sociale fino a quel momento da loro detenuto.
La crescente povertà delle donne non è l’unica motivazione che ha condotto alla caccia alle streghe. Bisogna tenere a mente anche una diffusa misoginia all’interno delle istituzioni sociali e politiche e la condanna dell’indipendenza delle donne, in primis la libera gestione della propria sessualità, vista come espressione di una tendenza all’insubordinazione.
Per rendere deprecabili agli occhi di tutti questi atteggiamenti, soprattutto lo Stato – e non tanto la Chiesa, come si potrebbe pensare – si è servito di processi di demonizzazione delle donne e del corpo femminile. Così, non solo gli uomini sono stati spinti ad accusare e allontanare le donne dalla vita sociale, ma anche le donne stesse sono state rese sospettose le une delle altre.
Il primo passo per controllare un gruppo sociale e le sue spinte eversive, infatti, è frazionarlo al suo interno e impedire che si costituisca un fronte comune indipendente dai poteri costituiti. «In questo senso dobbiamo pensare alle enclosures come a un fenomeno ben più ampio della recinzione delle terre comuni. Dobbiamo pensare all’enclosure del sapere, dei nostri corpi e del nostro rapporto con gli altri e con la natura.»
La sessualità femminile è domata, addomesticata e sottoposta ai dettami del capitale. La donna è madre, procreatrice di futuri lavoratori che garantiranno la conservazione del sistema capitalistico. Il corpo femminile assume valore solo nella misura in cui è in grado di fornire una futura risorsa economica.
Questo è anche il motivo per cui le donne non fertili e anziane sono state guardate con sospetto e collocate ai margini della società. Si è creato un «modello di donna asessuata, obbediente, sottomessa, rassegnata alla subordinazione del mondo maschile».
Pensare che quanto detto fino ad ora sia da relegare in tempi lontani e mentalità retrograde sarebbe mancare di realismo. Nella contemporaneità, infatti, alcuni dei fenomeni delineati in precedenza si sono acuiti o hanno trovato nuove forme di realizzazione. Federici nella seconda parte del testo si concentra proprio sulle nuove forme di accumulazione capitalistica e di come queste hanno provocato nuovamente una caccia alle streghe.
La violenza oggi perpetrata si riscontra nel lavoro domestico non retribuito – e non considerato proprio lavoro, ma solo dovere della buona madre –, nella subordinazione al volere e al patrimonio di una figura maschile di riferimento, nella mancata legalizzazione in alcuni Stati di aborto e contraccettivi. È un fenomeno diffuso su scala planetaria, ma che si presenta in forma più intensa in alcune zone ricche di risorse naturali, attualmente al centro di nuove pratiche neocoloniali: Africa subsahariana, America Latina e Sud-Est Asiatico.
Secondo Federici, il motivo risiede nel fatto che il tentativo di far controllare al capitale le ricchezze naturali e la forza lavoro deve passare da un attacco diretto alle donne, responsabili della riproduzione della comunità sia in senso fisico, sia in senso di tradizioni e storie tramandate. Queste ultime, infatti, potrebbero indurre i più giovani dei Paesi del Sud del mondo a una resistenza all’attacco predatorio da parte del mondo occidentale. Rischio, questo, che le potenze occidentali vogliono scongiurare.
La transizione di questi Paesi a un sistema neoliberale calato dall’alto ha causato una serie di problematiche, tra cui politiche di austerità (e quindi tagli alla sanità pubblica e ai servizi assistenziali), disoccupazione, precarietà e crollo del salario familiare, che a loro volta hanno generato una spirale di violenza nei confronti delle donne da parte degli uomini. Caso emblematico è quello degli omicidi per dote diffusi in India: i mariti uccidono le proprie mogli al fine di risposarsi ed accaparrarsi così una nuova dote.
Contemporaneamente si assiste a un ritorno della caccia alle streghe vera e propria. Secondo alcuni studiosi, alla liberalizzazione del commercio sono seguiti cambiamenti così radicali (ad esempio, i contadini che devono lasciare le proprie terre a causa del turismo) che alcune comunità, soprattutto africane, hanno iniziato a sospettare di essere vittime di cospirazioni diaboliche.
Di fronte a tutto questo le donne, oggi come cinque secoli fa, non sono passive, ma cercano di organizzare una resistenza, attraverso rifugi per donne o corsi di autodifesa.
Tutto questo però deve essere accompagnato e sostenuto da politiche di riforma e da un cambio di mentalità. Inoltre, bisogna prendere consapevolezza di questo fenomeno, fino ad ora trattato solo da accademici e quasi per niente da femministe e attivisti, motivo per cui ha perso la propria carica politica. Una carica politica tuttavia necessaria per apportare cambiamenti strutturali.
Da evitare l’errore di pensare che questa nuova caccia alle streghe sia frutto di un’arretratezza che un pensiero colonizzato attribuisce solo al continente africano; ricordiamo, come dice Simone de Beauvoir, che «basterà una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione», e questo in qualsiasi tempo e in qualsiasi parte del globo terrestre. Caccia alle streghe, guerra alle donne ci serve perché apre a riflessioni proprio in questo senso.