Del: 30 Marzo 2022 Di: Giulia Scolari Commenti: 0
"Chi ha paura di Virginia Woolf?" di Latella al Piccolo

L’opera di Edward Albee debutta off Broadway nel 1962 e racconta in modo geniale le crisi di due coppie che sono le crisi di un’America che cambia, di sicurezze messe in discussione e controculture latenti che vogliono spodestare gli antichi valori dominanti. Antonio Latella riesce a dirigerne una riproduzione che non ha età: è moderna come se fosse una prima assoluta e nemmeno i rimandi alla guerra le tolgono la possibilità di parlare ai contemporanei. Lo spettacolo è andato in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 15 marzo al 27 marzo 2022.

Al centro del palco, Martha (Sonia Bergamasco) sta suonando al piano un motivetto che si è inventata alla festa finita poco prima: “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, Sol – Re – Sol – Re – Sol – Re… Alla festa questo motivetto che riprende il celebre “Who’s afraid of the big bad wolf?” deve aver riscosso gran successo, ma il silenzio rassegnato di George (Vinicio Marchioni) pone il pubblico di fronte a tutt’altro che una scena divertente. Virginia Woolf, oltre a fornire una efficace assonanza con la frase originale, è stata un’autrice rivoluzionaria anche per le sue battaglie a favore del rovesciamento della posizione della donna.

Chi ha paura di Virginia Woolf è chiedere chi ha paura della direzione che la storia sta prendendo, dei rovesciamenti di ruoli che sono ormai imminenti, necessari.

È così che si entra in uno scorcio di vita della coppia, che si prepara a ricevere due giovani neosposi appena arrivati in città. Questo improbabile quartetto offre due contrapposti esempi di femminilità e due di mascolinità. Nick (Ludovico Fededegni) e Honey (Paola Giannini) sono giovani, apparentemente molto innamorati, in attesa di sistemarsi per avere il primo figlio. Nick è il prototipo della mascolinità fervente: atletico, nel fiore degli anni, un prodigio anche come studioso e con al suo fianco una donna – trofeo. Honey, infatti, si esprime per la maggior parte del tempo in funzione di lui: è fiera di lui, lo vuole vicino, si complimenta e lo chiama in ogni occasione.

George e Martha, invece, sono l’altro lato della medaglia. Sposati da anni, infelici, cercano ogni buona occasione per umiliarsi a vicenda confrontandosi con gli ospiti soprattutto sulla base delle aspettative sociali legate a prestigio per gli uomini, grazia per le donne.

George è presentato come un uomo che non ce l’ha fatta: non ha saputo dirigere il dipartimento di storia, non piace al suocero (cui è subordinato anche a lavoro), non rende felice la moglie, che sfrutta ogni occasione per narrare le sue sconfitte. Lei stessa è patetica nella sua ricerca di attenzioni soprattutto maschili, è presentata come poco fine (nell’opera originale, letteralmente descritta come “un donnone”) e volgare.

Eppure, la notte finisce, le bugie che si sono raccontati per bastarsi a vicenda sono state svelate e gli ospiti all’apparenza perfetti se ne sono andati. È qui che i due si guardano e ammettono che sì, hanno paura, ma affronteranno ciò che verrà insieme.

I livelli su cui quest’opera è strutturata sono però molteplici come i simbolismi che vi si possono scorgere. Le contrapposizioni di genere sono forse il più evidente, reso tale anche dalla nuova traduzione fornita da Monica Capuani, ma di certo non l’unico.

La festa è finita, è tempo di raccogliere i resti e andare a dormire. Eppure Martha invita i neosposi sperando di allungare il tempo dei festeggiamenti e della compagnia per tutta la notte. Questa atmosfera è quella che si respira anche nei rapporti tra i personaggi. Entrambe le coppie, infatti, vivono nella loro relazione un periodo di malinconica consapevolezza che probabilmente il loro tempo insieme è destinato a finire a breve, ma non riescono a rassegnarsene.

Martha e George invitano i giovani nella loro casa, offrono alcolici e cercano di farli sentire ben accolti, ma è evidente che vi è molta tensione. La serata precipiterà presto fino a diventare un vero e proprio campo di battaglia: insulti, umiliazioni e litigi si susseguiranno fino alla completa distruzione dei precari equilibri iniziali.

La rottura dagli equilibri è resa magistralmente proprio dagli oggetti di scena. Due strumenti musicali fanno uscire musiche diverse a seconda dei momenti e del modo in cui vengono usati: lo sgabello fa risuonare musica se toccato e nel corso dello spettacolo viene sfiorato più volte, alleggerendo così scene di tensione e facendo capire come alcuni personaggi non si siano ancora resi conto della piega che la serata sta per prendere. Infatti, nel corso della serata non verrà più utilizzato erroneamente, ma anzi sarà controllato con fare sicuro da tutti.

Martha (Sonia Bergamasco), George (Vinicio Marchioni) e Nick (Ludovico Fededegni) © Brunella Giolivo

Lo strumento centrale è però il pianoforte, protagonista dalla scena iniziale fino all’ultima. Con l’aumentare delle tensioni, le sicurezze sui personaggi e sul loro ruolo cominciano a svanire e nel pieno dell’escalation il pianoforte viene quasi fatto a pezzi. Proprio mentre è scomposto, viene utilizzato per un assolo di tecnica nettamente superiore alle due note ripetute per il motivetto.

Come i personaggi, anche il pianoforte trova la sua massima espressione dopo la disgregazione.

L’assenza dei bicchieri, riposti ordinatamente nell’armadio – piano bar per quasi tutta la durata dello spettacolo, è un altro elemento simbolico. Essi vengono presi e utilizzati solo quando ormai la serata sta volgendo al termine, forse a significare che le tensioni iniziali non sono dovute all’ebbrezza, ma solo a conseguenze naturali che nessuno vuole affrontare come tali.

Quest’assenza che diventa presenza solo a un certo punto può anche essere l’ennesimo espediente per rendere le atmosfere oniriche, insieme alla testa di coniglio e alle pareti verde acceso che ricordano i film di David Lynch. Come dice sul finale George: «Verità e illusione, chi conosce la differenza?».

Con oltre tre ore di spettacolo, la produzione del Teatro Stabile dell’Umbria ha saputo rendere giustizia a un’opera imponente e catturare l’attenzione anche nelle scene più pesanti. Le interpretazioni, in particolare quella di Bergamasco e Marchioni, sono state pressoché impeccabili: forti di lunga esperienza in diversi campi della recitazione e di un’ottima chimica con i colleghi, hanno saputo regalare ore di emozioni forti che rimangono addosso.

Giulia Scolari
Scienziata delle merendine, chi ha detto che la matematica non è un’opinione non mi ha mai conosciuta. Scrivo di quello che mi piace perché resti così e di quello che odio sperando che cambi.

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