Del: 15 Marzo 2022 Di: Laura Colombi Commenti: 0
Giradischi, gli album consigliati di marzo

Il 15 di ogni mese, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che più ci sono piaciuti.


Nicolás, Egreen (autoprodotto)  recensione di Costanza Mazzucchelli

Egreen torna con il suo ventesimo disco, Nicolás, e si riconferma una delle migliori penne del rap italiano – anche se spesso passata in secondo piano rispetto ad altri nomi più noti. Nicolás è un disco che, a partire dal titolo che riporta il nome proprio dell’artista, è totalmente autobiografico e apre uno spiraglio sull’intimità di Egreen: citando le parole con cui si apre la traccia Fuck that, «non è un disco per suonare / è un disco personale / che parla d’amore ed esorcizza il male».

Egreen scrive con la sincerità e la trasparenza che lo caratterizzano e realizzando i pezzi come sempre, con strofe lunghe e dense e ritornelli spesso assenti (già in Chi? Cosa? Dove?, nel 2013, diceva «Niente ritornelli strani ho solo rime infette»); e questo a dimostrazione della sua necessità di esprimersi nei pezzi e sfruttare ogni secondo utile per comunicare ciò che gli preme. Incubi è il singolo estratto dal disco e qui Egreen, in 10 minuti intensi ed emotivamente potenti, ripercorre storie personali e vent’anni di carriera.

La genesi di questo disco è legata a un periodo personale complesso, di cui parla nella prima traccia, Nicolás, e in Diario di bordo Pt.1; ed è legata anche a un ritorno alle origini, alla Colombia, Paese di provenienza della madre e luogo di nascita di Fantini. Le basi sono state curate da producer – come Seife, DJ Shocca, Big Joe – con cui Egreen ha già lavorato e la sintonia, nel trattare testi così complessi e profondi, si sente eccome. Dall’altra parte, la totale introspezione e centralità dell’esperienza di Egreen nel disco è evidente nella scelta di gestire da solo 15 tracce, senza featuring. 

Il disco è nato e continua a svilupparsi in maniera del tutto indipendente: l’album è stato autoprodotto, le date e il merch sono curati da Egreen stesso. Tutto ciò si configura come vera dedizione alla musica e alla sua produzione in tutti i suoi passaggi. 


SPECCHIO, ARIETE (Bomba Dischi) – recensione di Giulia Scolari

L’hype per il primo album della promessa dell’indie-pop italiano era da tempo alle stelle. Dopo il successo ottenuto durante la quarantena, un tour completamente sold-out alle spalle ed uno in programma, Ariete aveva annunciato di voler stupire e dimostrare quanto il suo talento le permetta di spaziare e tentare nuove sonorità. 

L’album inizia con GIORNATENOIOSE, una canzone dal teso malinconico su una base ritmata che ricorda hit come Pillole e L’ultima notte. La collaborazione con Madame, CICATRICI, è il brano forse più significativo dell’album: le due artiste raccontano di una separazione complessa senza rinunciare allo sguardo giovane che le accomuna. I riferimenti alla difficoltà di gestire le relazioni mentre ci si riprende da un malessere interiore, si litiga coi genitori e si sente di non capire nulla rendono il brano un manifesto della GenZ. La canzone è seguita da LCASTELLI DI LENZUOLA, progressivamente sempre più malinconiche e nostalgiche fino al raggiungimento dell’interludio che dà il nome all’album. I brani che seguono SPECCHIO sembrano ripetere lo schema iniziale: AVVISOQUELLA DI PRIMA ritmate e con testi facilmente memorizzabili, fino alle ultime canzoni con testi che diventano sempre più intimi, tristi e complessi. 

FRAGILI, in collaborazione con Franco126, è una delle meno riuscite: sicuramente non regge il confronto con il primo featuring. SPIFFERI, solo voce e pianoforte, è il brano più maturo e complesso presente. Sicuramente l’album non è una dimostrazione di innovazione, ma rappresenta indubbiamente la crescita dell’artista: l’età è una potente arma a doppio taglio, la rende vicina ai coetanei per temi e dialettica, ma la mantiene superficiale e le impedisce di affrontare temi più profondi. Nel complesso, l’album è una conferma del suo talento e regalerà future hit che coloreranno la prossima estate. 


NEI SOGNI NESSUNO È MONOGAMO, Dargen D’Amico (Island Records) – recensione di Francesco Pio Calabretta

Mai come oggi il nome di Dargen D’Amico e quello di un suo progetto rimbalzano sui titoli di giornali, in un’onda mediatica post-Sanremo. In molti penseranno: “Quello di Dove si balla!” ma in realtà Dargen d’Amico è molto più di questo. E Sanremo può essere stata per Dargen quella strada grazie alla quale un cantante rimane nella memoria per una singola canzone portata al festival, oppure che possa dare la possibilità al grande pubblico di approfondirne i progetti pre-notorietà di massa.

Nei sogni nessuno è monogamo, pubblicato il 4 marzo, a circa un mese da Sanremo, è infatti il 10° progetto dell’autore-rapper, realizzato a meno di 2 anni di distanza dal sottovalutato Bir Tawil. Dargen si riconferma per l’ennesima volta un paroliere eccezionale, abilissimo a descrivere la quotidianità e le storie di vita con una poetica e dei giochi di parole che ne caratterizzano la musica da sempre. I brani non sono mai banali, che possano piacere o no, e fanno parte di un progetto più complesso di quanto sembri. Un album realizzato in periodo Covid, scritto e studiato per essere leggero ma non stupido, e spesso malinconico ma senza cadere nel ridicolo. 

I 12 pezzi che compongono l’album si spostano tra tematiche molto varie: si passa dalle relazioni passate con un grande velo di malinconia e ricordi in Sei cannibale ma non sei cattivaUstica o la dolorosa nostalgia di un amore adolescenziale forse non ancora svanito a cui l’artista ripensa oggi, ormai adulto e meno sognatore in Ma noi, (“Il tempo è una ferita che più guarisce e più fa male”). Altri temi sono la ricerca di divertimento e benessere, argomento totalmente opposto alla malinconia amorosa precedente, soprattutto in Dove si Balla, pezzo noto presentato sul palco dell’Ariston. O ancora la consapevolezza di essere legati ad altre persone, anche sconosciute, dallo stesso modo di essere e sentirsi uniti anche nella solitudine in Una setta.

Dargen D’Amico, con quest’ultimo progetto, tenta di confermarsi in radio dopo il tormentone sanremese ma soprattutto di esprimere liberamente la propria storia personale, raccontando la propria quotidianità e le proprie avventure amorose e non. Nei sogni nessuno è monogamo è un album da ascoltare sia dai vecchi conoscitori di D’Amico, sia da quelli che lo hanno visto per la prima volta a Sanremo. Un album che potrà piacere sicuramente e che può portare molti ad andare a ritroso nei vecchi progetti del rapper paroliere.


Caroline, caroline (Rough Trade Records) – recensione di Gabriele Benizio

Discreto debutto del collettivo londinese che ci immerge in atmosfere bucoliche che si succedono l’un l’altra con un’andatura letargica e delicata. 

C’è molto nella loro musica. Dal folk appalacchiano, al post rock, ad accenni di musica classica, fino ad arrivare a una certa somiglianza con l’indie emo nelle parti vocali. Le loro strutture dilatate e ripetitive ricordano alla lontana i Mogwai e gli Slint, anche senza le loro dissonanze e loro parti più dure. Certi utilizzi del violino affiancato a chitarre estremamente dolci come in Good Morning nel suono ricordano invece certi pezzi dei Dirty three, anche se qui non vi è la natura drammatica dei loro pezzi, ma solo una leggera e sognante malinconia. In certe sperimentazioni è impossibile non ripensare ai The microphones. 

Il risultato è dunque un composto ben amalgamato, seppur non troppo originale e in certi punti molto derivativo, ma sicuramente i caroline riescono a mantenere un’identità e a proporre anche qualche idea. Risultano 45 minuti ben spesi tra folk, sperimentalismi e post-rock, che si lasciano ascoltare con piacere e che si confanno alla perfezione per delle passeggiate accompagnate da una gradevolissima brezza primaverile.


Multitude, Stromae (Mosaert, Universal Music France) – recensione di Maria Pia Loiacono

Il successo è la prima aspirazione di moltissimi, e se alcuni riescono ad esserne padroni, altri invece di fronte ad esso, si paralizzano. È il caso di Stromae, che ha alle spalle numerosi successi, come Alors on dants dell’album Cheese del 2010 e Papaoutai dell’album Racine Carrée del 2013, per lui motivo di merito e di una fama mondiale difficilmente gestibile, in quanto causa di numerosi attacchi di panico e di una forte crisi depressiva. 

Dopo ben nove anni di pausa, il cantautore belga ritorna alla ribalta con un nuovo album, il cui titolo Multitude, è alquanto esplicativo: il disco, infatti, è il risultato di molteplici influenze musicali, provenienti da differenti parti del mondo, come cori bulgari, cumbia, funk carioca brasiliano e musica folk, che sono parte della pluralità degli elementi presenti nell’album, il cui legame fondante è rappresentato dalla volontà di avvicinarsi all’altro e dalla curiosità verso quest’ultimo. Con queste melodie il cantautore fa da eco ai racconti di diversi personaggi, e sono poche le tracce da cui trapela una celata sfumatura di vita personale: Invaincu, il primo brano dell’album, è particolarmente d’impatto perché ci rende partecipi di una sua specifica parentesi piuttosto spiacevole, che vede protagonista la malattia e la lotta contro quest’ultima. 

Stromae racconta inoltre di situazioni quotidiane che pur appartenendoci, seppur in maniera indiretta, sembra quasi siano impercettibili ai nostri occhi: descrive la situazione di lavoratori oppressi in Santè, la depressione e il suicidio in Mauvaise journee (oltre che nell’Enfer), si fa voce narrante del manifesto femminista con Declaratione e della storia di un figlio di una prostituta con Fils de joie. Sicuramente quello che si percepisce dall’ascolto dell’album è l’ecletticità di Stromae, che dà voce agli invisibili, coloro per cui prova compassione, e le cui storie sono legate a musicalità variopinte, che sono state per il cantautore una cura e uno stimolo utile per lasciarsi alle spalle una lunga parentesi infelice.


Laura Colombi
Mi pongo domande e diffondo le mie idee attraverso la scrittura e la musica, che sono le mie passioni.

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