Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922. Durante l’infanzia visse in molti posti, tra cui il Friuli, e in età adulta si stabilì nella capitale. Nel 1959 scrisse però: «Ho sempre detto che la città in cui preferisco vivere è Roma, ma non avevo ancora conosciuto bene Reggio Calabria, Catania, Siracusa. Non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui, vivere non di pace, ma di gioia». Queste parole furono scritte in un diario di viaggio, pubblicato poi con il titolo La lunga strada di sabbia, in cui egli racconta di un viaggio estivo a bordo della sua Millecento lungo tutte le coste italiane, dalla Liguria al Friuli per arrivare al Sud Italia.
In effetti non è facile raccontare la figura rivoluzionaria di Pasolini, la grandezza e il coraggio di un uomo che non ha mai cercato di nascondere la propria sessualità libera, portandolo spesso a scontrarsi con la società. Di Pasolini intellettuale è rimasto molto di più, un patrimonio cinematografico, letterario, poetico, giornalistico. Tutte esperienze legate dalla volontà di narrare la società e attuare una critica al consumismo capitalista e di cercare di smontare i tabù dell’omologazione di massa, dall’aborto alle droghe.
Proprio la voglia di indagare i pensieri degli italiani riguardo ad argomenti così delicati porta Pasolini a sperimentare, ispirandosi a Chronique d’un été di Rouch e Morin, creando un film inchiesta atipico: Comizi d’amore.
È Pasolini stesso a scendere in strada e a chiedere agli italiani, accompagnato semplicemente da un microfono e dalla grande voglia di scoprire. Gli argomenti trattati variano dal divorzio alla legge d’onore, la prostituzione e l’omosessualità, o ancora le differenze tra i sessi e la nascita dei bambini. Tutti argomenti utili a creare una sorta di sostegno su schermo all’educazione sessuale degli italiani.
Alle domande si ottengono risposte fatte spesso di imbarazzo, in una società che forse ancora non aveva trovato il modo di raccontarsi apertamente riguardo certi temi. Pasolini giornalista in Comizi d’amore non si sbilancia mai con giudizi alle risposte, spesso assurde se analizzate oggi, ma anzi cerca di mantenere una grande oggettività giornalistica, senza però privarsi della fame di conoscenza che lo ha sempre caratterizzato.
È al Sud che Pasolini incontra una forte scissione tra le giovani donne e gli adulti. Se le prime vogliono finalmente poter uscire da sole, sanno che bisogna separarsi quando l’amore finisce, le madri si oppongono apertamente non per propria volontà ma perché è «l’uso che è così», la famiglia è sacra e l’uomo è superiore. Persone ancora legate a dei dogmi e che sono ammirate per la loro semplicità.
Pasolini proprio in Comizi d’amore lascia il suo ruolo oggettivo di intervistatore e riconosce apertamente l’emozione dopo la risposta di una bambina: «Senti, treccina, voglio proprio dirti che la bella sorpresa della mia inchiesta è una ragazza come te, nel generale conformismo voi ragazze siete le uniche ad avere idee limpide e coraggiose». Tutto ciò succedeva a Crotone sessanta anni fa.
Comizi d’amore è però solo una piccola parte dell’enorme e spesso difficile rapporto di Pasolini con il Meridione, in cui tornerà a girare spesso anche per Il Vangelo secondo Matteo, precisamente a Crotone e nelle sue vicinanze, e preferirà attori calabresi proprio per quest’opera, dalla figura della Madonna a San Tommaso.
La storia d’amore tra Pasolini e il Sud Italia è però fatta di alti e bassi.
Il viaggio on the road gli permette di conoscere bene quei territori che non lo deluderanno, ma che gli provocheranno anche numerose accuse e polemiche. Una tra tutte la querela per diffamazione del sindaco di Cutro (Kr), dopo che Pasolini definì Cutro stessa “il paese dei banditi”, cercando poi di spiegare come Banditi significasse abbandonati dal resto del mondo, appunto banditi dalla società. Tutto ciò proprio nei giorni in cui Pasolini ricevette il premio Crotone per il romanzo Una vita violenta.
Pasolini è consapevole della forza del Sud, della potenza che quei territori sanno esprimere; un mondo incontaminato che riesce a resistere alla corruzione della modernizzazione, un mondo misterioso e affascinante, lontano dalle logiche capitalistiche odiate da Pasolini. Un mondo, soprattutto la Calabria, che Pasolini temeva potesse essere vittima un giorno dello sviluppo, per essere perciò snaturata e disumanizzata per migliorarne la “qualità della vita”. Un timore dato dal fatto che lo sviluppo è da sempre volto al profitto, e i valori umani e culturali, che Pasolini aveva trovato in Calabria, vengono sostituiti dal consumo. E ciò facendo perdere quei meravigliosi connotati che il poeta aveva trovato nel suo viaggio.
Proprio al termine del suo viaggio, nell’agosto del 1959, guidando verso quel Settentrione razionale e moderno, non gli resta che salutare quei territori che ha tanto amato: «Addio Sud, cafarnao sterminato, alle mie spalle, brulichio di miseri, di ladri, di affamati, di sensuali, pura e oscura riserva di vita».
A 100 anni dalla sua nascita, ci si chiede cosa penserebbe Pier Paolo Pasolini dell’odierno Meridione, ormai inoltratosi nel capitalismo mondiale ma comunque fedele alla propria identità. Un Sud che ha fame di rinnovamento, di cambiamenti e che purtroppo ancora lotta con molte delle difficoltà che Pasolini incontrò quando vi mise piede.