«Every body is marked by the history and specificity of its existence. It is possible to construct a biography, a history of the body, for each individual and social body». Queste le parole di Elizabeth Grosz, filosofa femminista australiana, nel suo saggio del 1994 Volatile Bodies: Toward a Corporeal Feminism.
Il corpo è ben più di un ammasso di carne, muscoli, ossa, e di un mero dato biologico. Il corpo è una superficie dal significato sociale e culturale e, come tale, è in continua trasformazione. Dal corpo di ciascuno si può ricostruire la storia tanto dell’individuo, quanto della società nella quale l’individuo è immerso, perché tutte le relazioni di potere che articolano la società si riversano – in maniera più o meno diretta, più o meno moderata – sui corpi.
Questo valore collettivo e al contempo individuale dei corpi ha trovato espressione artistica nelle opere attualmente in mostra nella sede di Via Noto dell’Università Statale. L’esposizione, dal titolo Scatenarsi, è stata curata da Martina Pedrazzoli e Chiara Bugatti di Studenti Indipendenti ed è stata pensata come «un progetto che nasce dalla volontà di attivazione e mobilitazione, dalla necessità di liberarsi e immaginare una socialità alternativa»: scatenarsi, ribellarsi e liberarsi da catene imposte dall’alto.
La scelta di esporre le opere a partire dalla settimana dell’otto marzo non è casuale.
Riprendendo il significato che i corpi hanno, si può ricordare, con uno slogan che ormai ha fatto epoca, che il privato è politico. E quindi questa esposizione artistica collettiva, a partire da opere nate da un bisogno espressivo personale, si pone il fine di uno svincolamento dal valore politico dalle catene che sessualizzano, separano e strumentalizzano i corpi.
Dopo due anni in cui l’università è stata vissuta prevalentemente da remoto, la mostra è espressione della necessità forte e condivisa di ritornare a vivere attivamente gli spazi universitari e di esprimere la propria creatività in un luogo importante per la formazione di ciascuno. Un segnale positivo alla ripresa della vita universitari si riscontra anche nella scelta di Via Noto come spazio espositivo. Sede del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, Via Noto è distante dal centro della città e da tutte le altre sedi universitarie e, di conseguenza, marginalizzata rispetto alla vita dell’università e con un’offerta ridotta di attività alternative a quelle accademiche.
Sulle pareti dell’atrio e del primo piano, su pannelli neri e sui pilastri si alternano opere di diverso tipo e forme espressive variegate: fotografie, disegni, tele dipinte, opere plastiche… Si tratta delle creazioni di giovani artisti e studenti dell’Accademia di Brera e delle facoltà di Filosofia, Lettere e Storia dell’Arte della Statale.
L’arte e i corpi si fanno così strumenti di lotta e di libertà di espressione, dando modo di approfondire poi un ampio ventaglio di tematiche.
Maria Luisa Facchini, con le sue foto, intende affermare che il genere femminile va ben oltre i significati socioculturali che nel corso del tempo si sono stratificati e ancorati ad esso: istinto, passione, razionalità sono componenti fondamentali di ciascuno; e tutto ciò può venir fuori con una presa di coscienza e una profonda consapevolezza di sé.
Il progetto Abody di Erica Muller riflette sulla performatività di genere a livello estetico: le fotografie hanno come soggetti diverse parti del corpo e nessun volto. L’assenza dei visi rende difficile incasellare i corpi all’interno di un genere o nell’altro e, di conseguenza, consente di sviluppare uno sguardo neutrale, libero da visioni binarie e limitanti. La limitatezza e parzialità di una prospettiva binaria è al centro anche di Manifesto n. 49, stampa di Andrea Spreafico in cui le lettere X e Y dei cromosomi dialogano con il Giardino delle delizie di Bosch.
In Corpo – Naturalmente immenso, Gaia Molin Pradel indaga il rapporto tra il corpo e il mondo naturale e la possibilità di sentirsi liberi da costrizioni e dall’asfissiante grigio delle città: «il corpo si graffia, si scalda, si scurisce, ricerca un contatto stretto con tutto ciò che lo circonda». Il corpo può finalmente essere libero di essere nudo e tornare alla terra, senza essere sessualizzato, ma fatto oggetto di una riappropriazione di sé e delle proprie caratteristiche: questo il tema proposto da Libera Mariotti nelle proprie opere.
I punti di vista e gli spunti sono numerosi. Dalla tela ricca di simboli di Laura Coniglio, al dipinto di Francesca Pusch; dai quaderni straripanti di parole e colori di Matilde Sbrozi, fino al collage di Gaia Incarbone e all’opera di Alessandro Froio; e ancora dai ritratti come autorappresentazione della comunità LGBTQUIA+ di Bianca Corrado alle fotografie spontanee di Blue. È fondamentale che l’Università si renda luogo di espressione e di accoglienza per l’identità di ciascuno senza discriminazioni. Ed è fantastico vedere quanta linfa vitale scorre in Via Noto grazie a queste opere.
Un momento di grande vitalità è stata anche l’inaugurazione della mostra, che si è tenuta il 10 marzo, con la presenza di Iman Scriba e Luce Scheggi. Luce è unə attivista non binary che si occupa di divulgazione sui social relativa a tematiche di genere e transfemminismo; Iman è un’attivista che si concentra prevalentemente su tematiche legate al razzismo e alla tutela della salute mentale. L’evento è stato molto partecipato e ha attirato nella lontana Via Noto all’incirca cento persone, consentendo così di realizzare un dibattito ampio tra tutti i partecipanti.
Sono stati affrontati tanto il tema della mostra, quindi il valore del corpo come strumento di lotta, quanto altri numerosi argomenti ad esso collegato: il transfemminismo, la salute mentale, l’intersezionalità, le problematicità del capitalismo, i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Un tessuto di questioni fortemente interconnesso che mai come oggi richiede a ciascuno di prendere una posizione.
La mostra sarà visitabile in Via Noto fino al 18 marzo, dopo sarà trasferita al Circolo Arci LatoB (via Pasubio 14, Milano), che ha collaborato alla realizzazione della mostra.