Del: 17 Aprile 2022 Di: Simone Santini Commenti: 0
Conflitto Russia-Ucraina: la guerra dei farmaci

Ospedali bombardati, donne costrette a partorire in scantinati, pazienti cronici costretti ad abbandonare le cure (un rifugiato interno su tre), circa metà delle farmacie in tutto il Paese chiuse, vaccinazioni contro il Covid-19 praticamente bloccate: a questo ammontano i crimini di guerra causati dall’invasione russa in Ucraina nei confronti di chi necessita o potrebbe aver bisogno di farmaci, profilassi o cure mediche.

Ma le conseguenze sanitarie della guerra toccano anche chi non è direttamente sotto le bombe.

Sta succedendo nella Russia bersagliata dalle sanzioni internazionali per via dell’imperialismo guerrafondaio e assassino del suo governo. Proprio la Russia, fino a pochi mesi fa considerata una gallina dalle uova d’oro da numerosi colossi farmaceutici come Pfizer, Johnson & Johnson e Novartis, comprensibilmente interessati a rifornire di farmaci a pagamento una crescente classe media russa. Queste aziende, in particolare, sono tra le varie compagnie farmaceutiche che a San Pietroburgo hanno avviato la produzione di farmaci da rivendere spesso come generici o con marchi russi in seno ai progetti Pharma 2020 e Pharma 2030, voluti proprio da Putin nel 2010 al fine di rivitalizzare l’industria farmaceutica russa.

La guerra in corso ha cambiato le regole del gioco, ma in modo più ambiguo rispetto ad altre aziende come McDonald’s, Ikea, ENI e Toyota, che con la Russia hanno semplicemente tagliato i ponti. Se infatti multinazionali come Pfizer, AstraZeneca e una sussidiaria di Merck hanno da un lato deciso di sospendere l’avvio di nuovi trial clinici in Russia, mentre aziende come Bayer ed Eli Lilly bloccavano l’export di farmaci non essenziali verso la Russia e le loro campane pubblicitarie nel Paese (provvedimento condiviso anche dalla britannica GlaxoSmithKline), d’altro canto nessuno dei principali attori ha sospeso la consegna, produzione su suolo Russo e commercializzazione dei propri principali prodotti farmaceutici, prodotti senza cui milioni di pazienti attuali o potenziali in Russia potrebbero trovarsi in situazioni di reale sofferenza o addirittura in pericolo di vita.

Con che diritto si possono negare le cure ai malati ritirando dal mercato i propri medicinali?

Questo è il ragionamento con cui le aziende farmaceutiche hanno giustificato al mondo le loro scelte. Meglio devolvere i proventi in aiuti umanitari all’Ucraina, ma continuare a produrre e vendere farmaci in Russia. Certo, oltre alla nobile intenzione di evitare la sofferenza umana si potrebbe leggere in queste decisioni anche la volontà di non abbandonare un mercato lucrosissimo nelle mani di aziende di potenziali competitor come India e Cina, decisamente più accomodanti dell’Occidente nei confronti della Russia. Ma del resto, questo è il mercato farmaceutico: un eterno compromesso morale in cui una speculazione capitalistica talvolta spietata va a braccetto con la creazione di prodotti che hanno oggettivamente migliorato (se non salvato) la vita di miliardi di persone. Si dice, non senza verità, che le aziende farmaceutiche lucrino sulla salute della gente in maniera poco pulita. È altrettanto vero che, attualmente, la nostra salute senza l’operato (motivato dalla prospettiva di guadagno) di queste aziende non sarebbe così garantita come è oggi.

Si può sopravvivere anche senza un hamburger o un mobiletto, diverso il discorso relativo ad un chemioterapico.

Per questo, Nell Milow, vice dell’azienda di consulenze ValueEdgeAdvisors, sostiene la tesi che le aziende farmaceutiche non possano essere considerate alla stregua delle altre quando si tratta di imporre sanzioni a un regime. Ci sono tuttavia delle opinioni che non condividono l’operato dei colossi del farmaco: Jeffrey Sonnenfeld, professore di Management all’Università di Yale, ha aspramente criticato le aziende del farmaco che continuano ad operare in Russia, che secondo lui saranno ritenute cinici «complici della più viscida operazione sul pianeta». Stando alle dichiarazioni del professore, continuare a rendere accettabile la vita dei cittadini russi evitando le sanzioni più dolorose anche per la gente comune significa continuare a supportare il regime di Putin.

In effetti, se l’industria farmaceutica continuerà ad operare in Russia, fosse anche solo in scala ridotta, il regime potrà disporre di un ulteriore puntello per la sua economia, il cui funzionamento finanzia la guerra e gli eccidi in Ucraina ed evita le rivolte che rischierebbero di scoppiare in patria qualora le condizioni di vita del popolo dovessero divenire insopportabili. Si potrebbe addirittura arrivare ad affermare come, per regimi autocratici e guerrafondai come quello putiniano, qualsiasi esito dei conflitti diverso dalla sconfitta non sia che un invito a ripetere le stesse atrocità altrove.

Viene tuttavia spontaneo domandarsi secondo quale concetto di giustizia e morale chi riconosce il diritto a ricevere cure anche ai soldati che combattono in guerra possa pensare di negare lo stesso diritto a persone che verosimilmente non hanno mai imbracciato un fucile. Ad ogni modo, con l’incertezza di una guerra che si protrae e la spietata ferocia dei crimini commessi dagli occupanti in Ucraina che ha scandalizzato il mondo, la presenza delle grandi industrie farmaceutiche occidentali in Russia potrebbe un giorno diventare insostenibile. Anche per questo, i cittadini russi si sono precipitati al bancone delle farmacie fin dai primi giorni dell’invasione, facendo incetta di farmaci che potrebbero sparire dal mercato o costare presto, con un rublo ormai al collasso, troppo cari.

Secondo un sondaggio promosso dalla compagnia di indagine DSM Group, i russi hanno speso tra il 28 febbraio e il 13 marzo oltre 98 miliardi di rubli per oltre 270 milioni di medicinali (quasi quanto la totalità del mese di gennaio). In particolare, antidepressivi, contraccettivi e sonniferi sono stati molto richiesti, ma anche farmaci salvavita come insulina e quelli contro le malattie cardiache hanno registrato boom di acquisti. Quando il proprio stato antepone le ambizioni imperiali alla vita della sua gente, non si è mai troppo prudenti.

Simone Santini
Nato nel 1999 e studente di Biotecnologia, scrivo racconti per entusiasmare e articoli quando la scienza è il racconto più entusiasmante.

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