In occasione del 25 aprile, rimane acceso il dibattito sull’invio di forniture militari all’esercito ucraino: una discussione che fa riflettere su com’è cambiato il senso della resistenza rispetto alla lotta partigiana di quasi 80 anni fa.
La Festa della Liberazione, di questi tempi, assume indubbiamente un significato particolare, rispetto alla semplice commemorazione storica degli scorsi anni.
Del resto, la guerra che da ormai un paio di mesi sta scuotendo l’Occidente continua senza sosta e rimane sempre vivo il dibattito sull’invio degli armamenti all’esercito ucraino. Fa tuttavia discutere la posizione assunta in merito da alcuni intellettuali e da diverse associazioni, tra cui l’Anpi, che, pur dichiarandosi contraria all’aggressione russa, ha sostenuto a più riprese il dissenso per un sostegno militare italiano all’esercito di Kiev.
Il presidente dell’associazione Gianfranco Pagliarulo, che poi ha ritrattato la propria posizione a seguito delle polemiche, ha infatti dichiarato: «La domanda da porsi, nell’ambito di un piano di aiuti da inviare agli ucraini, è quale sia la linea rossa da non superare, oltre cui c’è il rischio di una conflagrazione. L’invio di armamenti è sicuramente nei pressi della linea rossa, perché le sanzioni parlano il linguaggio dell’economia, ma le armi parlano solo il linguaggio della guerra e, assieme all’aumento del budget militare, ci avvicinano al coinvolgimento diretto del nostro Paese».
Questa linea di pensiero assume dunque delle pretese pacifiste, per cui l’invio di armi a Kiev è destinato a prolungare la durata del sanguinoso conflitto che si sta consumando in queste settimane, portando ad un inasprimento della compagine russa e portando conseguentemente ad uno spargimento maggiore di sangue.
Tuttavia, questa posizione non può non suscitare una riflessione, specialmente in coloro che, guardando all’Ucraina, pensano alla lotta antifascista ed antinazista che si consumò in Italia tra il ‘43 ed il ‘45.
Sul confronto tra le due resistenze, Pagliarulo ha affermato che è giusto definire la lotta armata degli ucraini come una lotta di resistenza, ma che, secondo l’Anpi, sarebbe sbagliato identificare la resistenza italiana con la resistenza Ucraina. È allora giusto, specie in questa data, riflettere su come sia cambiato il senso della resistenza nel corso di un secolo di storia.
Come ha anche ricordato Noam Chomsky in una recente intervista al Corriere della Sera, le differenze storiche tra i due schieramenti sono nette e ben distinte. La lotta al nazifascismo in Italia fu un fenomeno complesso, figlio dell’autoritarismo nazionalsocialista che investì l’Europa, e si tratta di una moltitudine di movimenti che dalla repressione dei regimi seppero diffondersi a macchia d’olio nei vari Paesi oppressi.
Esistevano infatti diverse resistenze, ognuna con nomi e caratteristiche diverse; basti pensare al movimento studentesco della Rosa Bianca in Germania, o il Movimento della Francia Libera di Charles de Gaulle. La Resistenza italiana fu dunque un movimento eterogeneo, composto da comunisti, cattolici e monarchici, che lottò contro l’occupazione e contro le truppe della Repubblica di Salò, in un’Europa in cui il nazismo era predominante.
Lo scenario in cui si colloca la resistenza dell’esercito ucraino è ben diverso: la democrazia appare ormai consolidata in Europa, fatta appunto eccezione per la Russia ed i Paesi dell’est, dunque non si può parlare di un movimento trasversale a livello internazionale. In sostanza, si tratta del solo esercito ucraino, chiamato a difendere il Paese dall’aggressione russa.
Ebbene, se da un lato è vero che esistono molte differenze tra le resistenze, è pur vero che esiste una moltitudine di analogie e somiglianze. In primo luogo, la situazione territoriale e politica dell’Ucraina può ricordare quella della penisola italica negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, con una situazione di integrità territoriale compromessa e minacciata da forze esterne; in tal senso, si possono riscontrare delle somiglianze tra quella che fu la Repubblica di Salò, sovvenzionata dal Führer, e le repubbliche del Donbass, riconosciute da Putin alla vigilia dell’offensiva russa.
Dunque, pur essendoci una distanza ideologica notevole tra i partigiani italiani e i battaglioni nazionalisti ucraini (qui un approfondimento), parliamo sempre di due movimenti di difesa dell’integrità nazionale e di resistenza da un oppressore esterno.
In secondo luogo, e questo è forse il punto cruciale, c’è l’intervento esterno nei conflitti. Senza l’intervento degli Alleati in Italia, molto probabilmente la Resistenza non sarebbe stata possibile, a fronte della corazzata tedesca, decisamente più attrezzata. Del resto, così come buona parte dei partigiani, anche la resistenza ucraina di oggi è composta da volontari, persone comuni e senza una particolare formazione militare, dunque diventa decisivo il supporto di attrezzature belliche da parte delle forze estere.
Le diverse interpretazioni dei vari Orsini e Pagliarulo (per citarne alcuni) passano sicuramente per la distanza ideologica dalla parte nazionalista della sponda ucraina, così come per la lontananza di vedute dalla NATO e per le differenti interpretazioni geopolitiche, caratterizzate ancora oggi dal dualismo tra Oriente ed Occidente.
Eppure, dovremmo interrogarci sul peso specifico di queste dinamiche nella fattispecie, al fine di evitare una lettura ideologica ed approssimativa della situazione corrente. Si può infatti discutere sui metodi efferati del battaglione Azov, o sulle ingerenze americane nella politica ucraina, ma la questione di fondo rimane la stessa: uno Stato autoritario, ovvero la Russia, ha invaso un altro Stato democratico, mettendo a repentaglio la già compromessa integrità territoriale dello stesso e scavalcando l’identità nazionale e gli ideali dei suoi cittadini.
Che piaccia o meno, la pace in Ucraina non è raggiungibile senza la lotta e gli aiuti esteri possono risultare determinanti per l’esito del conflitto.
In una giornata come questa, è necessario ricordare le basi su cui si getta la democrazia in cui viviamo oggi, per riflettere sui motivi per cui i nostri antenati lottarono e su quanto siamo disposti a dare per una società libera, che essa rientri o meno nei nostri confini.
Come ha ricordato il presidente Mattarella in questi giorni, e come anche la Resistenza ci ricorda, la lotta contro la sopraffazione dei popoli aggrediti non può non interpellarci e non vederci impegnati.