Del: 23 Aprile 2022 Di: Tommaso Pisani Commenti: 0
Haiku, la poesia dell'attimo eterno

Nel vecchio stagno          Furu ike ya
Si tuffa una rana:            kawazu tobikomu
Rumore dell’acqua           mizu no oto

Diciassette sillabe organizzate in tre versi ci portano nei pressi di uno stagno in cui si tuffa una rana. Sembra che queste parole non ci possano comunicare molto di più rispetto a quello che abbiamo appena detto; sembra siano solo la descrizione di un evento contingente, non degno della nostra attenzione; eppure, non è così.

Quello riportato sopra è uno degli haiku più famosi di Matsuo Bashō, principale poeta giapponese dell’haiku. Ma cos’è un haiku?

Con il termine haiku ci riferiamo a un tipo di poesia giapponese (il più conosciuto e diffuso al mondo) che nasce e si sviluppa nel XVII secolo quando Bashō, in un clima di rinnovamento sociale, diede indipendenza all’hokku, il primo verso di un altro componimento poetico, conosciuto come kusari-renga (letteralmente “poesia a catena”). L’hokku, poi chiamato haiku, era composto di tre versi divisi in 5-7-5, per un totale di diciassette on (termine meglio traducibile come “suono” che non come “sillaba”) in cui si dipingeva un’immagine naturale, quotidiana, umile attraverso la quale, almeno secondo l’aspirazione di Bashō, si poteva percepire il feuki ryūkō (“eternità”).

Nonostante l’apparente unità del componimento, presupponibile dalla relativa semplicità delle immagini e dalla sua struttura compatta, l’espressione immediata e disinteressata della realtà non viene trasposta poeticamente in unità compositiva, ma è frammentata da un elemento tipico dello haiku, il kireji. Si tratta di sillabe che, come unico scopo, hanno quello di produrre una pausa, una cesura del senso che crea un’interruzione nella percezione estetica del lettore. Infine, data la sua brevità e la mancanza di grandi scenografie, lo haiku possiede un elemento che simboleggia una stagione e ci introduce, più o meno esplicitamente, in un determinato contesto; questo elemento si chiama kigo e può prendere la forma di qualsivoglia elemento naturale: sole, luna, animali, stelle, spighe di grano, girasoli e via dicendo.

Che ruolo ha, però, il poeta in questo contesto naturale che sembra essere lontano, distaccato?

È solo un osservatore passivo che si limita a una descrizione del momento? Si limita a comunicarci una sua percezione della realtà in modo simile ai quadri impressionisti? La risposta è no. Il poeta si cala dolcemente nel contesto naturale e quotidiano riconoscendosi nel suo mutamento e capendo di essere, per citare un poeta che si avvicinò alla poesia giapponese, una “docile fibra dell’universo”. Il poeta, allo stesso tempo, si definisce e scompare rispetto all’oggetto, all’avvenimento leggero, rapido, determinato. Lo haiku, infatti, non è una poesia tanto legata a idee e concetti quanto piuttosto alle cose: è espressione immediata che però non descrive un’impressione, non declama quello che accade, ma semplicemente presenta un’immagine che nelle parole diventa universale.

Ora che abbiamo tutti gli elementi per comprendere un haiku possiamo ritornare allo haiku di Bashō riportato sopra. Nella prima strofa ci viene dipinto un vecchio stagno che presenta una situazione in cui regnano ordine e calma: tutto è statico e fermo, nulla scuote le acque. In un momento non meglio definito, viene introdotto, non si sa come o per quale motivo, un elemento caotico: sentiamo una rana saltare. Dopo un primo istante di scuotimento, rimaniamo in contemplazione dell’avvenimento (sensazione che viene amplificata dal kireji, che nel nostro caso è reso attraverso i due punti). Infine, la rana entra nello stagno e nel rumore dell’acqua possiamo sentire, se vogliamo ascoltarlo, il suono di un istante che si contrappone al precedente silenzio e all’eterna indifferenza del tempo.

Ci si potrebbe inoltre chiedere quale sia stato e sia tutt’ora l’impatto dello haiku nella cultura occidentale.

Cercare di capire l’effettiva influenza presente dello haiku è sicuramente un compito arduo, ma possiamo con più certezza considerare come abbia influenzato poeti italiani passati tra cui Gabriele D’Annunzio e Giuseppe Ungaretti; poeti che vissero tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento in un’Europa in cui, vista la crescente potenza economica giapponese, l’Occidente mostrò interesse verso la cultura nipponica. Questo interesse si tradusse in imitazione nel caso di D’Annunzio e in sperimentazione nel caso di Ungaretti.

L’Outa Occidentale di D’Annunzio, per esempio, adotta la metrica giapponese, nonché figure naturali tipicamente oggetto dei componimenti giapponesi (quali la luna, alberi fioriti e il volo di gru); mentre in Ungaretti, benché sembrino più nebulosi i riferimenti alla cultura nipponica, si potrebbe sostenere l’esistenza di analogie tra le figure poetiche ungarettiane e quelle giapponesi e la simile struttura in poesie come Notte di maggio, organizzata in forma speculare rispetto allo haiku 7-5-7.

Lo haiku non ha, però, solo valenza storica.

Uno studio di Alexia E. Pollack e Donna L. Korol sottolinea la validità che l’utilizzo dello haiku potrebbe avere nell’apprendimento di concetti complessi come quelli delle neuroscienze. Lo studio evidenzia come degli studenti a cui è stato chiesto di spiegare tramite la scrittura di haiku concetti del campo delle neuroscienze (come il modello di dipendenza di rinforzo negativo, ovvero il bisogno di un soggetto dipendente da droghe che può essere placato solo dalla continua somministrazione della sostanza che causa dipendenza; di seguito lo haiku di una studentessa: “I know i must stop/withdrawal holds me captive/my drug is my cure”) abbiano appreso più efficacemente quello che era richiesto studiare.

Infatti, il dover condensare in 17 sillabe nozioni ampie e complesse potrebbe aiutare sia nella sintesi di tali nozioni sia, durante il processo di spiegazione dello haiku, nella loro più ampia esposizione e chiarimento. In generale, quindi, l’utilizzo dell’haiku potrebbe essere un valido strumento di studio considerata la sua forte componente di sintesi nonché l’esigenza successiva del doverlo decostruire ripercorrendo i passi fatti in precedenza per comporlo.


Bibliografia
Bashō, Il romitaggio della dimora illusoria, SE, Milano 1992.
Elena Dal Pra (a cura di), Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Bashō all’Ottocento. Mondadori, Milano, 2020.

Tommaso Pisani
Studente di filosofia del 2000. Leggo, guardo film, videogioco e semplicemente mi guardo attorno lasciando correre i pensieri e accompagnando la penna sul foglio.

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