Del: 24 Aprile 2022 Di: Angela Perego Commenti: 0
Intervista a Giovani e Palestina. Contro l'accordo con l'Ateneo di Arielccordo con l'Ateneo di Ariel

La Samaria è uno dei territori occupati da Israele in Cisgiordania a seguito della Guerra dei sei giorni del 1967, durante la quale l’esercito israeliano attaccò Egitto, Siria e Giordania (Stati arabi schierati in difesa dei palestinesi), riuscendo ad ampliare i propri confini e occupando militarmente le zone palestinesi concordate nella risoluzione del 1947. Con quest’ultima, infatti, la Palestina era stata divisa in due Stati, il più grande dedicato agli ebrei, mentre due aree minori e discontinue tra loro (Gaza e Cisgiordania) erano state lasciate ai palestinesi, riconducendo invece la città di Gerusalemme sotto il controllo dell’ONU.

Proprio in questo territorio, la cui occupazione non è mai stata riconosciuta come legittima dalla Comunità Internazionale, nel 1982 Israele procedette alla fondazione dell’Ateneo di Ariel, con il quale la Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università Statale di Milano ha recentemente siglato un accordo di mobilità. Questa collaborazione ha attirato l’attenzione del gruppo Giovani e Palestina Milano e ha portato i e le rappresentanti della comunità studentesca negli organi centrali di Ateneo a redigere una lettera di protesta, che ad oggi ha già raccolto più di 700 firme tra studentesse, studenti e corpo docente.

Ateneo di Ariel

Al fine di comprendere meglio la natura della collaborazione conclusa dal nostro Ateneo con l’Università di Ariel e il modo con cui questa lettera è nata, ma anche allo scopo di favorire la sua diffusione all’interno della comunità studentesca, abbiamo deciso di intervistare Laila, portavoce di Giovani e Palestina (GeP) – Milano, movimento parallelo e complementare ai Giovani Palestinesi Italiani.

L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza.


Come è stato possibile per voi apprendere della collaborazione tra l’Università Statale di Milano e l’Ateneo di Ariel?

Tutto è partito dal gruppo dei Giovani Palestinesi di Italia, di cui fanno parte anche degli studenti della Statale: tra di noi si è iniziato a ragionare sugli accordi che esistono tra le Università che frequentiamo e le Università e le aziende israeliane. La riflessione nasce da una campagna, Student* contro l’apartheid, che abbiamo portato avanti negli scorsi mesi a livello nazionale, ma che a seconda delle diverse situazioni è stata declinata diversamente nei vari Atenei. Ad essa hanno aderito moltissime realtà, come sindacati studenteschi e collettivi.

Dall’interesse che si è sviluppato è nata una riflessione più attenta sulla Statale di Milano. Analizzando i diversi rapporti presenti con realtà israeliane, dunque, è saltata all’occhio la collaborazione sussistente tra Unimi e l’Ateneo di Ariel. Quest’ultimo sorge nei territori occupati della Cisgiordania e rappresenta un caso emblematico, perché non si tratta “soltanto” di un’Università che collabora alla costruzione degli armamenti poi utilizzati nel regime di guerra (come accade per altre Università israeliane, ad esempio il Technion, che però sorgono su quello che viene definito territorio israeliano), bensì di un Ateneo che sorge su un territorio illegalmente occupato anche ai sensi della legislazione internazionale.

Qual è la natura di questa collaborazione?

Purtroppo questo non è molto chiaro. Sappiamo però che all’interno dell’Università essa è gestita dall’Ufficio di mobilità, per cui abbiamo dedotto l’esistenza di due tipi di accordi tra Ariel e Unimi: il primo ha natura di scambio (di studenti oppure docenti, perché di questo si occupa l’Ufficio di mobilità), il secondo si inserisce nel quadro dei finanziamenti dell’Unione Europea, perché l’Università di Ariel purtroppo è finanziata anche attraverso questi fondi; è anche a questo fatto che si oppongono molte delle campagne condotte contro questo Ateneo. Tra l’altro non sono solo alcune Università europee ad avanzare delle critiche in merito, ma anche altri Atenei israeliani si sono battuti per non riconoscere tra loro l’Università di Ariel.

Nella lettera di protesta che sta circolando in questi giorni e che molti membri della comunità studentesca, nonché del corpo docente, hanno deciso di firmare, si sottolinea come tale accordo risulti contrario ai principi contenuti nel Codice Etico e nel Regolamento Generale dell’Ateneo. Questo perché «come ribadito in diverse occasioni da molteplici organismi internazionali, fra cui il Consiglio per i Diritti Umani e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati costituiscono una grave violazione del diritto internazionale». Successivamente vengono elencate diverse risoluzioni adottate dagli organismi internazionali e in cui si riconosce questo aspetto.

La nostra scelta è stata quella di coinvolgere due avvocatesse nella stesura materiale della lettera, così che questa potesse essere incontestabile e molto precisa dal punto di vista legislativo. Per questo vengono citate le diverse risoluzioni che a livello internazionale hanno descritto la colonia su cui sorge l’Università di Ariel come illegale. Il punto centrale per la Statale, dunque, è che non si tratta più di una questione meramente politica o umanitaria, ma anche legale: poiché l’Università in questione, che ha un collegamento con la Statale attraverso il Dipartimento di Agraria, sorge su territori che a livello internazionale sono occupati illegalmente e la cui costituzione (che avviene attraverso il meccanismo del colonialismo di insediamento) è una costituzione illegale (dal momento che non si può trasferire la popolazione civile in un territorio occupato illegalmente: questo costituisce un crimine di guerra), per la Statale il mantenimento di questa collaborazione può rappresentare una complicità.

La lettera nasce allora come un progetto che vuole rivolgersi agli organismi che costituiscono l’Università, come Consiglio di Amministrazione e Senato Accademico, e vuole essere uno strumento per portare avanti la campagna Student* contro l’apartheid, che ha tra i suoi obiettivi il boicottaggio accademico. La nostra intenzione è anche quella di creare un precedente, mostrando ad altre Università italiane che quando vengono previste relazioni di questo tipo, queste possono e devono essere estirpate. Non siamo peraltro l’unica Università in Italia ad avere intrapreso un percorso di questo tipo, perché anche l’Università di Firenze ha reciso il legame con questo Ateneo attraverso una campagna.

È importante poi sottolineare che Student* contro l’Apartheid è nata anche per la volontà di portare l’esperienza di studenti e studentesse palestinesi in Italia. Essi sono infatti continuamente sottoposti a violenze e oppressione, dal momento che le forze israeliane entrano spesso nei campus per portare avanti violenze e arresti; ad esempio, nel campus di Bir Zeit, uno dei più importanti in Palestina, ogni semestre vengono arrestate decine di studenti che decidono di attivarsi nella vita universitaria, come presidenti nel Consiglio studentesco, rappresentanti degli studenti etc. Tramite questa campagna e, dunque, tramite la lettera che stiamo facendo circolare in questi giorni, si vuole anche dimostrare agli studenti italiani che possono fare qualcosa, dal momento che spesso diventiamo insensibili di fronte alle situazioni di guerra o di oppressione perché ci sentiamo impotenti. Attraverso questa campagna e uno dei suoi fini, insomma, cioè il boicottaggio accademico, vogliamo far vedere che è possibile fare qualcosa anche dall’Italia.

Quali sono i diversi passaggi dell’iter che avete intenzione di seguire?

La nostra lettera è già stata letta e presentata in Senato Accademico e, attraverso la votazione, è passata a un turno successivo, per cui verrà ripresentata e si cercherà di ratificare quello che è scritto al suo interno. Abbiamo deciso di sostenere la lettera con una raccolta firme, con l’intenzione di portarla avanti in tutti gli organi competenti, tra cui quelli che si occupano degli accordi di mobilità. Questo per mostrare che studentesse e studenti sanno che cosa sta accadendo e non sono d’accordo. Al momento siamo continuando a raccogliere le firme della comunità studentesca e del corpo docente, con l’obiettivo di superare il migliaio.

Avete già avuto modo di confrontarvi con l’Amministrazione ai piani più alti su questo tema? Quali reazioni state riscontrando?

La nostra scelta è stata quella di procedere secondo il regolamento d’Ateneo, passo per passo attraverso la rappresentanza studentesca; tuttavia, se la nostra mozione dovesse essere ostacolata non ci fermeremmo, ma proveremmo ad entrare in contatto anche con l’Amministrazione ai livelli più alti. Siamo molto soddisfatti perché abbiamo visto da parte del corpo studentesco e anche di liste che di solito non si espongono in prima persona sulla questione palestinese un sostegno forte. Al momento non abbiamo ricevuto alcuna risposta negativa dall’Amministrazione, ma conoscendo il nostro Ateneo penso sia molto più semplice che ci ignorino, tentando di far cadere la questione nel dimenticatoio, piuttosto che darci una risposta. Proprio per questo abbiamo deciso di portare avanti anche una petizione, così da mostrare che, nonostante il silenzio, studentesse e studenti sono a conoscenza della situazione e vi si oppongono.

Angela Perego
Matricola presso la facoltà di Giurisprudenza, “da grande” non voglio fare l’avvocato. Nel tempo libero amo leggere e provare a fissare i miei pensieri sulla carta.

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