Del: 4 Maggio 2022 Di: Gaia Martinelli Commenti: 0
Arte che non pretende di essere verità: la fotografia di Barbara Probst

“To me, photography is an art of observation. It’s about finding something interesting in an ordinary place… I’ve found it has little to do with the things you see and everything to do with the way you see them”.
Elliot Ewitt

Barbara Probst attraverso la sua mostra Poesia e verità alla Triennale di Milano dipinge precisamente le parole di Elliot Ewitt: non soltanto dimostra come la fotografia sia un’arte che pone al centro l’osservazione, ma anche come questa sia il medium per eccellenza per svelare punti di vista differenti sulla realtà.

Per la prima prima esposizione personale dell’artista tedesca in una istituzione culturale italiana, sono presentate 24 opere, per un totale di 91 scatti, che ritraggono la moltitudine di un momento, proposto da varie prospettive. L’osservazione ha un ruolo, difatti, cruciale.

Spiega Stefano Boeri: «La simultaneità dello scatto rivela l’uguale nel diverso, cattura la matrice della discontinuità» e provoca in chi guarda una profonda incertezza riguardo quel che si osserva e sul significato stesso dell’atto del vedere.

La verità, tanto declamata come attributo di una fotografia, è incrinata. Per ciò, forse, il titolo Poesia e verità: a suggerire il delicato filo su cui l’arte si posa, in precario equilibrio.

Secondo l’artista l’inquadratura non è mai neutrale, imparziale ed anzi «una fotografia non è mai mera rappresentazione della realtà», ma è arricchita – in qualche modo – di poesia.

Le opere esposte consistono in moltiplicazioni della medesima immagine, realizzate attraverso l’originale modus operandi adottato dalla Probst che prevede una serie di fotografie scattate nello stesso momento ma da differenti prospettive.

La nostra soggettività ci costringe alla contemplazione di uno solo degli infiniti mondi possibili, mentre Barbara Probst fornisce alternative che innescano in noi il dubbio della veridicità di ciò che l’immagine pare raffigurare: ne vediamo solo parziali frammenti, comprendiamo l’esistenza di più punti di vista e ciò turba il nostro senso del vero.

Una fotografia è intesa come un dettaglio soltanto. E per quante prospettive la Probst offra di un evento, nessuna serie fotografica ha lo scopo di conferire allo spettatore una risposta, una verità – semmai di generare domande e conseguente consapevolezza, che mai è oggettiva.

La prassi è costante, la stessa per ogni serie fotografica, l’azione si ripete: più scatti simultanei da diverse angolazioni e distanze, possibili grazie ad un sistema radiocomandato che attiva gli otturatori di varie telecamere contemporaneamente.

Sostiene Francesco Zanot: «Probst insiste. Resiste. Le sue opere sono programmi di ricerca. Occasioni di studio. Sui soggetti che mette davanti all’obiettivo e sul linguaggio della fotografia».

Arte che non pretende di essere verità: la fotografia di Barbara Probst
Barbara Probst, Exposure #143: N.Y.C., 368 Broadway, 02.28.19, 6:44 p.m, 2019, Courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas

Minuscole traslazioni, angolazioni minimamente diverse e tutto muta. La ripetizione di un gesto, uno spostamento lieve, anziché regalare approfondita conoscenza di un evento, insinuano incertezza, colgono di sorpresa, poiché l’evento si frammenta, l’istante si dilata e tende a generare ambiguità. Non vi è realtà oggettiva ma una sua percezione individuale.

Spiegava McLuhan che la fotografia, letteralmente scrivere con la luce, conferiva «una specie di immortalità, una preminenza alle immagini e non alla vita reale». Per la Probst coerentemente, alle volte questa influenza la nostra società più della realtà stessa.

Gli incassi della mostra di Barbara Probst, visitabile fino al 22 maggio 2022, sono devoluti al fondo Milano Aiuta (promosso dal Comune di Milano e dalla Fondazione Comunità di Milano), il quale si impegna ad accogliere e sostenere i profughi ucraini.

«In questi anni, abbiamo dato una rinnovata centralità alla fotografia nella programmazione di Triennale Milano, presentando il lavoro di giovani talenti come di autori affermati. La personale che dedichiamo a Barbara Probst rappresenta un’occasione unica per fare conoscere meglio in Italia il lavoro di una straordinaria artista di fama internazionale, e si iscrive in un percorso di analisi sulla fotografia quale strumento per mettere in atto un processo critico e una visione.»
Stefano Boeri

L’artista ha origini tedesche, precisamente nasce a monaco di Baviera nel 1964, e lì studia scultura presso l’Accademia della città, per poi dedicarsi alla fotografia all’Accademia di Dusseldorf. Attualmente vive tra New Tork e la sua città natale ed ha ormai raggiunto la fama internazionale: le sue opere sono state accolte, tra le altre istituzioni museali, dal MoMa di New York, dal Museum of Contemporary Photography di Chicago e alla Tate di Londra.

Contrariamente al significato profondo che attribuisce alle opere in mostra alla Triennale, Barbara confessa di essersi avvicinata all’arte della fotografia poiché questa le pareva un medium che detenesse una relazione diretta ed oggettiva con la realtà.

Si rende conto poi che la fotografia è «un mix di realtà e di illusione, o poesia che dir si voglia».

Probst mira a svelare il segreto che lei stessa ha scoperto: la fotografia è un’arte che si trova all’incrocio tra verità e mistero. La soggettività accompagna lo scatto dal fotografo all’osservatore. L’elaborazione dell’immagine ed il suo processo percettivo sono caratterizzati preponderatamente dall’individualità, artista e fruitore possiedono entrambi un ruolo attivo, personale.

«Viviamo tutti su questo pianeta, ma guardiamo il mondo in condizioni e circostanze diverse – spiega Probst – perciò interpretiamo ciò che vediamo in modo differente, e giungiamo a conclusioni altrettanto diverse: tuttavia ogni prospettiva detiene lo stesso valore, è carica della medesima importanza.»

Tale riflessione si cela dietro i suoi scatti: nessuna immagine è più vera di un’altra, non esiste gerarchia, soltanto punti di vista simultanei legati all’evento, al momento, «come noi esseri umani siamo legati al qui e ora».

Ogni immagine è soltanto una delle tante – infinite – rappresentazioni possibili.

Barbara Probst attraverso i suoi lavori mette in discussione sé stessa, il suo mestiere e la sua passione. Si domanda perché si creino immagini e come queste siano osservate. L’artista sostiene che la fotografia rappresenti soltanto un dettaglio di un universo, osservato dal personale punto di vista del fotografo e dichiara di utilizzarla per «mettere in discussione il medium stesso e tutti gli aspetti ad esso collegati».

Dunque, adotta una visione critica, consapevole, che non pretende di rappresentare la verità, piuttosto la bellezza dell’incertezza, la poesia del mistero, la sincera coscienza di chi sa che esistono ulteriori prospettive ed è in grado di accettarle. Non è cruciale capire cosa si vede, bensì come e perché.

E queste domande dovremmo porcele non soltanto di fronte ad una fotografia, ma ogni qual volta crediamo di disporre di una verità, che probabilmente è soltanto la nostra verità, un dettaglio facente parte di un più grande mondo, che dovremmo esser disposti se non a capire, quantomeno ad accettare.

Gaia Martinelli
Gaia di nome e di fatto – ma non sempre. 22 anni di tramonti, viaggi e poesie. A tratti studio anche corporate communication presso la Statale di Milano. Scrivo di cose belle perché amo l'idea di diffondere bellezza.

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