Nonostante la dichiarazione di inammissibilità del referendum eutanasia legale da parte della Corte Costituzionale, il tema delle scelte di fine vita continua a prendere il suo spazio nel dibattito pubblico: è stato infatti approvato alla Camera, il 10 marzo, un disegno di legge sul suicidio assistito, ora passato al Senato. Tale testo di legge presenta tuttavia numerose criticità, evidenziate in particolare dall’Associazione Luca Coscioni, no profit di promozione sociale da sempre attiva in quest’ambito.
Anzitutto, il suicidio assistito è già ammesso in Italia grazie alla storica sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 sul caso “Dj Fabo”: Marco Cappato, politico e attivista nonché Tesoriere della suddetta associazione, aveva accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, reso tetraplegico da un incidente, per aiutarlo a ottenere l’eutanasia attraverso il cosiddetto suicidio assistito. Successivamente, rientrato in Italia, si autodenunciava mettendo in atto una disobbedienza civile. Conseguenza del processo è stata la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, la quale, dopo aver esortato invano il Parlamento a legiferare sul tema, ha stabilito le condizioni alle quali è possibile accedere al suicidio assistito, riconoscendone dunque la legittimità.
In particolare, occorre che: la persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; sia affetta da una patologia irreversibile; sia sottoposta a una sofferenza insopportabile di natura fisica o in alternativa psicologica. Naturalmente, ciò vale solo per le persone in grado di prendere decisioni libere e consapevoli.
Il disegno di legge attualmente discusso in Parlamento interviene in senso peggiorativo rispetto al quadro già delineato dalla Corte Costituzionale, introducendo restrizioni e ulteriori condizioni per accedere alla morte volontaria.
Una delle principali critiche riguarda il fatto che il testo proposto, anziché estendere la possibilità di accesso al suicidio assistito ad altre categorie di soggetti, conserva come condizione l’essere mantenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale. Come denunciato dallo stesso Cappato ai microfoni del nostro programma radio Magma, questa legge “purtroppo non basta perché mantiene la discriminazione nei confronti dei pazienti che non sono attaccati a una macchina e che quindi non potrebbero ottenere l’aiuto alla morte volontaria”. Resterebbero dunque escluse tutte quelle persone che non sono dipendenti da tali trattamenti, pur essendo affette da patologie irreversibili e sottoposte a intollerabili sofferenze, ad esempio i malati oncologici.
Tale distinzione risulta gravemente pregiudizievole per questi ultimi: basti considerare che, stando ai dati della Commissione Federale di Controllo Eutanasia del Belgio (uno dei pochi paesi europei ad ammettere tale pratica), il 69% delle eutanasie del paese sono richieste proprio da pazienti oncologici.
Altra problematica riguarda più in generale l’ambito di intervento della legge, ovvero quello del suicidio assistito e non dell’eutanasia attiva.
La differenza consiste nel fatto che nel primo caso il soggetto deve auto-somministrarsi il farmaco letale (potendo contare solo sull’assistenza del personale medico), nel secondo caso è invece il personale medico a somministrare il farmaco. Evidentemente siamo in presenza di un’ulteriore discriminazione verso le persone impossibilitate all’auto-somministrazione (ad esempio perché paralizzate).
Su questo punto, nonostante la legge proposta definisca da subito il suicidio assistito come un atto autonomo, successivamente menziona il fatto che esso sia consentito anche “alle persone prive di autonomia fisica mediante l’adozione, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di strumenti, anche tecnologici, che consentano il compimento dell’atto autonomo secondo le disposizioni della presente legge”. Siamo dunque in presenza di una zona d’ombra che andrebbe meglio chiarita.
La procedura per fare richiesta di morte medicalmente assistita delineata dal testo in questione è la seguente: la richiesta di suicidio assistito (informata, consapevole, libera ed esplicita) viene indirizzata al medico di medicina generale o al medico che ha in cura la persona, il quale è tenuto a redigere “un rapporto sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni che l’hanno determinata”. Il rapporto va inoltrato al Comitato per l’etica clinica territorialmente competente. Successivamente il Comitato “esprime un parere motivato sulla esistenza dei presupposti e dei requisiti a supporto della richiesta, che, se favorevole, permetterà di procedere”.
In tutto ciò l’Associazione Luca Coscioni ha ravvisato la mancanza di garanzie sulle tempistiche per poter accedere alla prescrizione del farmaco letale.
Infine, si prevede l’introduzione di un elenco di personale sanitario obiettore: l’osservazione che viene in rilievo su questo punto è che si sarebbe potuto imitare il meccanismo istituito dalla legge sul Testamento Biologico (legge 219/2017) secondo il quale il personale sanitario può obiettare sul singolo caso specifico, e non a priori in maniera generalizzata.
Sul sito dell’Associazione Coscioni si può firmare un appello al fine di ottenere una modifica di tale legge, peraltro ancora possibile nella discussione al Senato, nonostante la presenza del senatore Pillon, dalle note posizioni estremiste e restrittive in tema di diritti civili, tra i relatori della legge non lasci presagire sviluppi particolarmente positivi.
“Sicuramente, oltre alla via parlamentare, c’è il tema di cosa si può fare fuori dal Parlamento: noi continuiamo ad aiutare le persone, con atti di disobbedienza civile quindi anche rischiando altre condanne, ad ottenere quello che vogliono, cioè morire senza soffrire” ha dichiarato infine Cappato nella nostra intervista a Magma. Il motivo per cui si chiede insistentemente un miglioramento della proposta di legge, del resto, è uno: la convinzione che se l’eutanasia fosse legale non aumenterebbero le morti, ma diminuirebbero le sofferenze.