Del: 24 Maggio 2022 Di: Gabriele Benizio Scotti Commenti: 0
Intervista agli Ojne, band screamo del momento

Gli Ojne sono una delle maggiori band screamo italiane: il loro disco che li ha portati alla ribalta, Prima che tutto bruci, riscuote ancora grandi consensi e lo si vede dall’affluenza ai loro live. Il loro stile particolare, come ci verrà spiegato, attinge da diversi orizzonti e cerca di essere il più accessibile possibile, forse questo spiega il fascino che questa band riesce ad esercitare. Abbiamo deciso così di incontrarli nei chiostri dell’università per fare due chiacchiere sulla loro musica. 

L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza. 


Come presentereste il vostro progetto a Vulcano?

Jacopo: È difficile visto che abbiamo cambiato formazione. Nel 2010 ci componiamo ufficialmente con Jacopo batterista, Jacopo Cabagnoli il vecchio cantante e Axel, il vecchio bassista, poi arrivano altri due chitarristi: Alessandro (che suona ancora con noi) e Gabriele, nel 2016 arriva l’attuale cantante Gianluca e bassista Mario. Il 23 maggio 2012 il primo live a Torino con i Raein. 

Il nome dell’ep deriva dal fatto che quelle canzoni vennero fatte nel 2011 e 2012. Abbiamo smesso di suonare poi nel 2012, nell’aprile 2013 abbiamo ripreso a fare concerti e così poi esce ufficialmente la prima canzone (Glasgow) e il primo ep Undici dodici. Lo registrammo in 5 ma uscì che eravamo in 4, fu un casino da mixare, era registrato molto male ma dopo un bel po’ di mesi venne pubblicato. Sempre nel 2014 il primo concerto fuori Italia: a Berlino. Eravamo molto fomentati in quel periodo, venivamo dal nulla e cominciavamo ad andare in giro, facevamo concerti e ci compravano i CD. Era un periodo di revival dell’emo italiano.

Quali sono le vostre influenze?

Gianluca: io mi sono approcciato alla musica urlata coi Lamb of God e il deathcore. All’inizio facevo hardcore tipo i Comeback Kid; poi ho iniziato ad apprezzare questo genere con i La Dispute, sentendoli ho pensato che fosse figo che ci fosse uno che frignava sugli arpeggi e stavo iniziando a stancarmi del metal, perché cercavo qualcosa di più ricercato. Altri gruppi che apprezzo su quello stile sono i Touche Amoré che sono i miei preferiti del genere e gli Envy.

Mario: io ho scoperto lo screamo con gli stessi Ojne. Al tempo ascoltavo da un lato robe come il metalcore o il djent, e da un altro lato ascoltavo roba come i La Dispute e il post-rock.

Gianluca: il chitarrista, Alessandro, ascolta poco screamo invece, apprezza solo i Raein. Apprezza invece tanta roba anni 80: ascolta darkwave e post punk come i Bauhaus o i The cure, e difatti si sente da certe sonorità molto più accessibili, difatti negli Ojne si punta tanto nelle melodie rispetto all’hardcore più caotico, grazie alla unione dei nostri gusti molto diversi. Ci piace il cantato estremo dell’hardcore, ma ci piace anche fare una voce comprensibile e pulita, gli altri gruppi vogliono fare suoni cacofonici, noi vogliamo fare la musica che di solito dà fastidio e farla più “pop”. Non bisogna aver paura di fare musica più “ascoltabile e commerciale”.

Jacopo: l’influenza principale non era proprio screamo ma più sul post-hardcore come appunto i La Dispute, volevamo distinguerci dalle altre band.

Gianluca: noi prendiamo molta ispirazione da altri gruppi e da altri generi, il nostro chitarrista per esempio ha preso gli accordi di My immortal degli Evanescence per fare nel migliore dei modi possibili e ci abbiamo fatto un pezzo screamo, mentre Alessandro disse che voleva copiare un pezzo da Taylor Swift.

Da dove nascono le figure retoriche (es. coltello, ragnatela, forbici, orologio) presenti nel vostro album?

La prima traccia dell’album Prima che tutto bruci

Jacopo: Inizialmente ci ispiravamo a Le città invisibili di Calvino, non ci riuscimmo. Così poi pensai alcune cose, come il coltello e riuscii a scrivere le prime canzoni (es Tredici), pensai che sarebbe figo se iniziasse con questa frase sul coltello (ho un coltello nella tasca sinistra), così immaginai cosa fare con questo coltello e nacque il concept. Il filo comune è comunque la violenza e la crescita personale nel senso di affrontare la fine dell’adolescenza che sta finendo. Cantante Tredici per esempio rappresenta il superamento dell’adolescenza, la post adolescenza, quando a 19/20 anni si diventa adulti, un nuovo capitolo, autocitandosi (Tredici come il seguito dell’ep  11 12).

Batterista: In Tredici si parla anche di un vuoto di disagio che si prova nello stare incastrato nella propria comfort zone, anche una certa ambiguità in questo. Invece dall’altra parte del mare è come un post scriptum dal punto di vista del protagonista dell’album, come una lettera scritta dal tu al quale si riferisce l’album. Tra le principali ispirazione c’è Storia di un impiegato di De Andrè, qui si parla della violenza di qualcuno che vuole uscire dalla sua routine ma c’è anche una sua lei che parla di lui. 

Gianluca: Io devo cantare dei testi che non sono miei, quindi li interpreto sempre e personalmente, questo mi porta ad avere un’interpretazione diversa da loro. La loro interpretazione è sempre aperta, ci piace parlarne tra di noi, non sono parole a caso. Il fatto che c’è una storia dietro mi aiuta a ricordarli, la continua interpretazione non mi fa stufare di cantarli. Questo gruppo ci sta sempre grazie a questo mood che si è creato tra di noi.

Ci potreste spiegare il significato della copertina di Prima che tutto bruci?

Mario: La copertina è una cosa che ho trovato a casa mia fatta da mio padre, pensavo che ci stesse molto bene. È ispirata alla bandiera dell’Iran prima degli anni 60, il leone che si vede è il simbolo della Persia; mi piaceva perché l’avevo vista e mi sembrava la rappresentazione grafica di ciò che raccontavamo per il leone con la spada e orientalizzante ed era il periodo degli attentati e dell’Isis e la violenza che intendevamo poteva anche essere quella e spostava il protagonista dell’album verso oriente. Il disco parla anche della violenza come per dire che se anche non voglio essere violento sono costretto ad esserlo. Sull’altro lato del fiume è il centro dell’album e si collega col discorso del periodo, la canzone parla del fatto che il protagonista è arrabbiato e vuole vendicarsi nei confronti di qualcuno ma se io fossi lato dall’altro lato del fiume può essere la stessa violenza di un terrorista, il mi fa paura pensare troppo può essere quello avere paura di scoprire cosa potrei fare se mi trovassi dal lato del fiume

Come sono i rapporti con le altre band della scena screamo italiana?

Mario: È molto buono, c’è tanto tanto supporto. Ci sono tante persone che si fanno problemi a scriverci o parlare con noi, magari perché pensano che non ci interessa, però a noi fa solo molto piacere, anche perché così scopriamo cose nuove anche noi. A Milano ultimamente c’è tanto supporto e persone interessate a nuovi progetti, da dopo la riapertura io ho sentito che c’è tanta voglia di fare e suonare. Molti posti hanno chiuso per la pandemia, le cose che son rimaste sono paradossalmente le più piccole, centri sociali e band che hanno molta voglia di fare. A noi piace rimanere Indipendenti e far parte di questo mondo. 

Gianluca: Esattamente, a noi piace chiacchierare e conoscere nuove band, anche più piccole ci fa solo piacere. Quando ci serviva un bassista, per esempio, non ci siamo fatti problemi a contattare quello dei Radura, nonostante fosse una band giovane di ragazzi giovani, ci interessa questo perché ci piace particolarmente l’entusiasmo dei ragazzi giovani, sia che suonino sia che siano il pubblico. Non ci è mai piaciuto un certo nonnismo che c’era quando io ero un giovane musicista, in cui le band dei più grandi ti trattano come se dovessi solo imparare. Io sono molto estimatore di chi fa cose per il nostro gruppo, per esempio farsi km per venire ad ascoltare o cose così, quando poi ci fanno complimenti mi fanno capire che quello che stiamo facendo piace veramente.

Mario: Sempre cerchiamo di far sentire a proprio agio chi ci vuole parlare, raccontare di quando ha ascoltato il nostro disco, cosa ha provato. Questo ci aiuta veramente tanto, pensi che queste cose piacciono veramente ai ragazzi. Nessuno di noi ha il pensiero di fare i soldi con questo gruppo, lo facciamo perché ci piace farlo, perché siamo ragazzi a cui fa piacere condividere la musica, suoniamo per gli altri nel senso che se ti piace quello che facciamo allora suoniamo. In questo modo le dinamiche del gruppo è più difficile che si logorino, inoltre se si pensa solo a fare i soldi si sta molto male se un concerto non va. Così nel rapporto con i gruppi cerchiamo di volerci bene, sono inevitabili alcuni screzi ma è bello legarsi in modo amichevole. Nel nostro caso non prendere troppo seriamente la cosa è il motivo del nostro andare avanti insieme.

Voi che avete fatto live anche all’estero, che differenze notate rispetto all’italia?

Mario: È un po’ strano, non c’è un meglio o un peggio, ci sono Festival all’estero in cui viene tantissima gente anche se non ti conoscono, all’estero ci hanno detto che nessuno fa casino come gli italiani. Però c’è anche quel gusto nel pensare che si sta suonando all’estero.

Gianluca: Noi abbiamo suonato molto all’estero anche se ultimamente di meno, spesso all’estero ci sono grandi eventi con moltissime persone, però con la pandemia abbiamo riscoperto l’Italia e ne siamo rimasti molto sorpresi, abbiamo fatto concerti con molta gente e che sapeva i nostri testi a memoria, che li cantava con noi. Spesso si fa un ragionamento, che anche io ho fatto, in cui si snobba il posto in cui si vive, ma poi è bellissimo suonare in casa con la gente che ti conosce, che sa chi sei.

Mario: Diciamo che in Italia c’è un po’ un problema di sottoculture, in cui dove si suona un genere ci va gente che ascolta quel genere. All’estero ho notato che ai concerti veniva gente che non conosceva questo mondo, ma veniva per vedere qualcuno suonare in generale. In Italia si fa più nicchia.

Gianluca: Però in Italia quando un gruppo è amato lo è in maniera esagerata, i fan di un gruppo si riconoscono immediatamente appena il gruppo suona, in blocco cantano i loro pezzi. Però quando non conoscono il gruppo stanno fermi, invece all’estero fanno casino con tutti, però per forza di cose non conoscono così bene chi sei. Diciamo che se in Germania la gente va a tutti i concerti, in Italia tutta la gente va a pochi concerti ma a quella serata si vedono cose che all’estero proprio no.

Jacopo: Io invece dico che mentre si suona meglio in Italia, per quello che c’è in totale meglio estero perché si sta in tour, si vedono posti nuovi, gente nuova, si viaggia conoscendo persone mai viste, è un’esperienza che quando torni ti senti un po’ cambiato. All’estero poi ti sorprendi sempre quando vedi gente che è venuta a sentirti, magari in Italia ti sorprendi di meno ecco.

Avete progetti in cantiere?

Gianluca: Sì, abbiamo un ep che stiamo registrando, ma non sapremo ancora dire esattamente quando uscirà.

Gabriele Benizio Scotti
Studente di filosofia, appassionato di musica, cinema, videogiochi e letteratura. Mi piace scrivere di queste tematiche e approfondirle il più possibile.
Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

Commenta