Del: 21 Maggio 2022 Di: Contributi Commenti: 0
Le badanti ucraine in Italia tra angoscia e stabilità

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Anastasiya, di nazionalità ucraina, è una moglie e madre con una perfetta padronanza di ucraino, russo e italiano e laureata in medicina a Kiev. Dopo aver lavorato per 20 anni come infermiera nella capitale ucraina, nell’ultimo decennio ha vissuto in Italia, occupandosi di anziani che non sono più in grado di prendersi cura di sé stessi. La motivazione del suo trasferimento è stata principalmente economica: faticando sul proprio stipendio mensile di 500 euro come infermiera, Anastasiya ha visto i 1490 euro che ora riceve in Italia come una miniera d’oro su cui costruire una vita migliore per la sua famiglia. Con il passare degli anni, il carattere transitorio iniziale del suo lavoro in Occidente è diventato la sua vita: da 10 anni lavora nell’area metropolitana di Milano ed il suo ritorno nella sua terra natale è più un miraggio che un evento imminente.

La storia di Anastasiya non è certo unica in Italia. Sono oltre 230mila cittadini ucraini che vivono attualmente all’interno dei confini italiani, rappresentando la quarta comunità di extra-comunitari residenti in Italia e rendendo il nostro paese il primo paese UE per presenza di cittadini ucraini.

Il 78,6% degli immigrati ucraini in Italia sono donne, per lo più giunte in Occidente senza i loro partner o figli – quasi sempre i diretti beneficiari delle loro rimesse. La corrispondenza perfetta tra la domanda delle famiglie italiane di badanti a basso costo ed altamente qualificate per prendersi cura dei propri anziani a tempo pieno e l’offerta di donne cristiane, bianche, di mezza età provenienti dall’Ucraina senza figli o marito, si è rivelata una combinazione vincente per entrambe le nazionalità.

Mentre le famiglie italiane si possono considerare libere da oneri, le donne ucraine immigrate in Italia contribuiscono considerevolmente al bilancio della propria famiglia: si calcola che nel 2021 le rimesse provenienti dall’Italia dei lavoratori ucraini abbiano superato i 7.7 miliardi di euro solo tramite canali formali, in rialzo del 14.3% rispetto al 2020. Ma per le badanti ucraine, la tranquillità offerta dalle famiglie italiane si è interrotta brutalmente quando alla fine di febbraio è accaduto il peggio e le truppe russe si sono riversate sul suolo ucraino.

Ora molte di loro si trovano ad affrontare la difficile posizione di essere bloccate tra i brutali resoconti della guerra e la loro sicurezza personale, in una pozza di angoscia e terrore.

Alcune storie di badanti hanno fatto notizia. I giornali hanno iniziato a essere popolati da racconti di donne ucraine che hanno organizzato raccolte fondi e il coordinamento degli aiuti e tra di loro un numero consistente si è impegnato a utilizzare il proprio stipendio per acquistare beni di prima necessità da rispedire ai propri cari in Ucraina. Così facendo, queste donne incarnano la resistenza ucraina alle brutali offensive russe nella nostra vita quotidiana, portando storie e racconti di guerra sulle tavole italiane. Altre invece hanno portato l’Ucraina torturata dalla guerra sugli indisturbati territori europei, offrendo riparo ai loro famigliari che hanno avuto la fortuna di sfuggire al combattimento tramite i corridoi umanitari che li hanno portati in Polonia o Romania: si stima che nei primi due mesi di guerra siano giunti nel nostro paese quasi centomila profughi ucraini.

È proprio a causa della presunta natura temporanea della loro permanenza in Italia che le badanti ucraine non hanno mai realmente assimilato la cultura occidentale, mantenendo invece un forte legame emotivo con la loro terra natale, il quale ha certamente contribuito al loro senso di urgenza avvertito fin dall’inizio dell’attacco. Angoscia, rabbia e disperazione sono state le costanti degli ultimi mesi, e gli ucraini non hanno taciuto.

Donne come Anastasiya hanno ripetuto gli orrori della guerra e per molti italiani sono state la prova tangibile delle atrocità subite dagli ucraini, esattamente come tante nonne ci hanno ricordato più e più volte che la Seconda guerra mondiale non è solo un capitolo dei libri di storia, ma una tragedia che ha segnato una generazione. E il racconto di Anastasiya potrebbe essere non solo una lezione del presente, ma arrivare ad incarnare la salvezza della cultura ucraina se la guerra dovesse prendere una brutta piega.

Articolo di Martina Canesi

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