Del: 18 Giugno 2022 Di: Carlo Codini Commenti: 0
la Tunisia sprofonderà nel caos?

Una notizia fresca, di giovedì 16 giugno per la precisione, ha riacceso i timori anche a livello internazionale di una possibile esplosione della tensione in Tunisia.

L’UGTT (Union générale tunisienne du travail), il principale sindacato tunisino con i suoi oltre 750mila tesserati, ha infatti indetto uno sciopero nazionale che ha coinvolto ben tre milioni di lavoratori del settore pubblico paralizzando, di fatto, buona parte del Paese nord-africano tra aeroporti e stazioni in tilt e uffici chiusi.

Obiettivo dello sciopero è quello di mandare un chiaro segnale all’esecutivo del presidente della Repubblica Kaïs Saïed, accusato di colpo di stato dopo che il 25 luglio 2021 ha sospeso i lavori del parlamento fino a fine 2022, licenziato il Consiglio dei ministri e fatto arrestare membri dell’opposizione.

Il Governo ha annunciato un piano di riforma economica che comprenderebbe la riduzione dei salari e il generale taglio della spesa pubblica.

Il tutto in un contesto di aggravata crisi economica e di rafforzarsi delle opposizioni.

Siamo forse alla vigilia di una seconda “Primavera araba” o, per meglio dire, di una seconda “Rivoluzione dei Gelsomini”? Negli anni 2010-2011, fu una crisi politica e sociale per certi versi simile a quella di oggi (allora al comando c’era l’ex militare Zine El-Abidine Ben Ali, poi costretto alla fuga) a provocare la rivoluzione.

L’UGTT fu nei mesi successivi tra gli elementi di dialogo e confronto che portarono la Tunisia a vincere il premio Nobel per la pace a Oslo, nel 2015.

La “Rivoluzione dei Gelsomini” fu un segno di speranza, che andò ben al di là della Tunisia, dopo un lungo periodo dittatura e stagnazione.

Oggi, con le politiche di accentramento del potere di Saïed e la crisi economica, il Paese sembra nuovamente avviato verso un mix di non democrazia e povertà. Lo sciopero di giovedì ci parla comunque di una società viva. In particolare, resta innegabile l’influenza dell’UGTT, realtà così radicata e amata da sfuggire a qualsiasi tentativo di repressione.

Almeno per ora, non sembra esserci un obbiettivo rivoluzionario dietro gli scioperi. Il sindacato chiede essenzialmente dialogo. Dialogo sui salari, con l’obbiettivo di contrastare l’inflazione che ha raggiunto l’8% ed è prevista in forte aumento per le tensioni sui mercati internazionali.

Ma il dialogo è preteso anche sull’annunciato taglio dei sussidi, misura prevista dal Governo per tentare di ripagare i debiti e ottenere nuovi prestiti (si parla ogni anno di miliardi) dal Fondo monetario internazionale, per tenere in piedi il bilancio. Il tutto in un contesto di generale rincaro dei prezzi dell’energia e del grano a causa, in parte, del conflitto in Ucraina.

La principale differenza rispetto ai sentimenti rivoluzionari degli anni 2010-2011 risiede nel fatto che l’UGTT, come altre realtà sociali, inizialmente aveva appoggiato l’intervento di Saïed, compresa la sospensione dei lavori parlamentari nel 2021. L’intervento era stato visto, da molti studenti ma anche da molti lavoratori, come superamento di un sistema di potere formalmente democratico ma profondamente corrotto e immobilista. In concreto, poi, i sogni di rapide riforme, specialmente economiche, si sono scontrati con la sete di potere di Kaïs Saïed e la crisi sempre più drammatica.

Se questi elementi non sembrano aver suscitato, per ora, un odio rivoluzionario verso il presidente e i suoi, lo sciopero cade come una pioggia fredda sul palazzo di Cartagine, sede dell’esecutivo. La prossima settimana, come ha dichiarato ai microfoni di Al Jazeera Hedia Arfaoui, vicesegretario generale dell’UGTT, è previsto un altro sciopero e si continuerà a oltranza, finche il Governo non mostrerà un’apertura al dialogo.

Ma sarà il prossimo mese, con il referendum dove il popolo tunisino è chiamato a esprimersi su una nuova costituzione, che si giocherà una delle partite più importanti per Saïed.

Se si andrà oppure no verso una nuova rivoluzione, come è facile intuire, dipenderà anche dall’atteggiamento del Governo. Nel 2010, a innescare i moti fu il gesto del giovane ambulante Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco contro il carovita, i maltrattamenti, e la revoca della sua licenza di commercio da parte delle autorità.

E ad accrescere le tensioni fu la dura repressione del Governo e la sua incapacità di rispondere alle richieste popolari.

Oggi, forse, grazie anche al consenso non trascurabile di cui gode Kaïs Saïed, comunque portato inizialmente al potere dal voto nel 2019, c’è ancora per il Governo la possibilità di tentare la via del dialogo, salvando il paese dal caos.

Ma si tratta, in pochi mesi, di affrontare una crisi economica pesantissima e avviare la Tunisia verso il ritorno a un assetto democratico, possibilmente libero dalle criticità di quello uscito dalla “Rivoluzione dei Gelsomini”. Altrimenti il rischio è di uno scivolamento del Paese verso una dinamica di repressione-rivoluzione dalle prospettive drammatiche e incerte.

Carlo Codini
Nato nel 2000, sono uno studente di lettere. Appassionato anche di storia e filosofia, non mi nego mai letture e approfondimenti in tali ambiti, convinto che la varietà sia ricchezza, sempre.

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