Del: 20 Giugno 2022 Di: Giorgia Fontana Commenti: 0
Pillole di economia. Salario minimo, pro e contro.

Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.


Il 7 giugno 2022 l’Unione Europea ha raggiunto l’accordo sulle direttive in relazione al salario minimo adeguato per tutti gli Stati membri. Lo ha annunciato in primis la commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento, in seguito Ursula von der Leyen su Twitter. Sulla nota del Consiglio Europeo emessa, si legge così: «La presidenza del Consiglio e i negoziatori del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sul progetto di direttiva sui salari minimi adeguati nell’UE. La nuova legge, una volta adottata definitivamente, promuoverà l’adeguatezza dei salari minimi legali e contribuirà così a raggiungere condizioni di lavoro e di vita dignitose per i dipendenti europei».

Ad un lettore meno esperto, la promozione di un salario minimo sembrerebbe un vero e proprio traguardo, un risultato necessario e quasi anacronistico per la società europea odierna. A dirla tutta, potrebbe addirittura apparire assurdo che alcuni Stati non abbiano effettuato autonomamente interventi in tal senso. Quando si pensa al problema della povertà è immediato immaginare che, istituendo una soglia minima di stipendio, la porzione di popolazione in difficoltà economica ne trarrebbe un enorme vantaggio. In realtà, però, bisogna ricordare che gli equilibri che costantemente si sviluppano nelle economie mondiali non sono così semplici da analizzare.

È necessario perciò comprendere i pro e i contro del salario minimo, e capire qual è la ragione per cui alcuni Stati hanno scelto di imporlo e altri no.

Prima di iniziare, bisogna definire con più precisione il concetto di salario minimo. Si tratta di una soglia fissata dallo Stato, sotto alla quale nessun datore di lavoro può spingersi per il pagamento dei propri dipendenti. Il salario minimo non è quindi derogabile, né attraverso accordi collettivi né con contratti privati.

Attualmente sono 21 su 27 gli Stati Europei che prevedono un salario minimo. Italia, Danimarca, Finlandia, Austria, Svezia e Cipro, invece, non lo hanno ancora introdotto. Proprio come i prezzi della merce al supermercato o il gelato al bar, ogni soglia salariale si adatta alle condizioni economiche del Paese in cui vige. Ci si basa su indicatori come il PIL, la produttività, l’Indice di Consumo e l’andamento generale dell’economia. Periodicamente, poi, il salario minimo viene adeguato ai cambiamenti e alle necessità economiche del Paese. Ad esempio, ad oggi in Bulgaria si parla di un minimo salariale di 332 euro al mese, in Slovenia di 1.074 euro, mentre in Francia di 1.603 euro. Il Paese con la soglia più elevata d’Europa è il Lussemburgo, dove lo stipendio minimo è di 2.000 euro al mese.

La situazione in Italia invece è diversa. Come anticipato, non vige alcuna legge che imponga ai datori di lavoro del nostro Paese un pagamento minimo per i propri dipendenti. Ciò deriva dal fatto che, nel corso della storia italiana, la discussione sulle norme lavorative è sempre stata particolarmente complessa ed accesa, e i processi decisionali lenti e poco efficaci.

Secondo Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia, introdurre un salario minimo metterebbe a dura prova l’equilibrio raggiunto dai contratti collettivi nazionali, particolarmente in uso nella realtà lavorativa italiana.

«Un altro tema sostanziale – aggiunge Bedusa – è anche l’impatto che il salario minimo potrebbe avere sul tasso di occupazione. Quanto potrebbe, effettivamente, essere ammortizzato dalle piccole e medie imprese italiane che rappresentano gran parte del tessuto produttivo del nostro Paese, l’aumento sul costo del lavoro? Cosa potrebbe fare il Governo per ovviare a tali aumenti?»

Quello che effettivamente mette in evidenza Bedusa, e che non è scontato che il salario minimo influisca positivamente sul benessere dei dipendenti e sulle organizzazioni aziendali. Al contrario di quello che si potrebbe pensare in un primo momento, una soglia minima potrebbe avere anche effetti negativi, soprattutto in un mondo lavorativo come quello italiano.

Dalle analisi svolte in più aziende, infatti, è risultato che lo stipendio, sebbene rappresenti una soddisfazione per il dipendente, non è ciò che guida la motivazione sul posto di lavoro. A differenza dei manager, il più delle volte i collaboratori danno maggiore importanza agli aspetti legati all’interazione sociale. In particolare, un’importante leva per la soddisfazione è data dall’apprezzamento da parte del datore di lavoro, dalla possibilità di fare carriera, dalla cura rivolta al personale e dalla flessibilità aziendale sugli incarichi e sulle giornate in ufficio.

Un altro aspetto negativo che potrebbe scaturire dallo stipendio minimo è rappresentato dalla sua gestione. Qualora esso venga effettivamente inserito, è fondamentale limitare i “contratti alternativi” e introdurre i controlli di applicazione adeguati. Una manovra politica non ponderata potrebbe spingere il mercato lavorativo ad irrigidirsi, portando le aziende ad effettuare outsourcing, ossia ricercare forza lavoro all’estero, o, peggio, ad alimentare il lavoro a nero.

L’introduzione del salario minimo potrebbe quindi comportare alcune problematiche non trascurabili, ma, d’altro canto, genererebbe il necessario rafforzamento del rapporto collaboratore-datore di lavoro.

Inoltre, spingerebbe alla tutela di quelle categorie lavorative che ad oggi sono ancora vittime di “contratti abusanti”.

Basti pensare alle molteplici proteste portate avanti dai dipendenti-rider, che accusano i loro datori di lavoro di sfruttamento e di stipendi indecenti.

Secondo Daniela Rondinelli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, i benefici sono tanti e vanno considerati; commenta infatti così: «Quello raggiunto nella notte a Strasburgo è un accordo storico. Per la prima volta l’Unione europea fissa dei criteri per salari minimi adeguati ed equi e per contrastare la concorrenza sleale e il dumping sociale».

L’obiettivo dell’Unione Europea rimane perciò quello di implementare la creazione di posti di lavoro e l’occupazione nei vari settori e mercati lavorativi europei. La direttiva punta a istituire un quadro di salari minimi adeguati ed equi, per permettere ad ogni cittadino europeo di raggiungere un tenore di vita dignitoso. Questa direttiva potrebbe essere definitivamente approvata entro la fine di giugno. Se così fosse, ogni nazione avrebbe due anni per recepire e legiferare quanto richiesto dall’Unione Europea.

Giorgia Fontana
Ciao! Sono Giorgia, ho 19 anni e frequento il corso di Economia e Management all'Università degli Studi di Milano. Nella vita, mi piace essere green e far sapere agli altri che la sostenibilità non deve essere per forza noiosa! Qui su Vulcano, mi troverete come referente della rubrica di Economia :)

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