Dal 21 al 26 giugno, nella Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini è andato in scena lo spettacolo Alda. Diario di una diversa, ideato da Giorgio Gallione, regista e drammaturgo. A impersonare la poetessa Alda Merini e a narrare la sua storia, sul palco si trova Milvia Marigliano.
«La solitudine è atroce. Il silenzio è insopportabile».
Alda si è sempre sentita sola, in ogni momento della sua vita tormentata. Anche in mezzo alle persone, in fondo è sola, prigioniera di sé stessa ma non per suo volere. Cerca sempre il contatto con gli altri, spinta da un profondo e viscerale bisogno di amare.
Si sforza di amare le figlie, anche se non le piacciono i bambini. Prova un sentimento di affetto sincero e le aspetta, fino alla fine. Non smette mai di crederci che torneranno a trovarla. Le vede apparire davanti a sé, una dopo l’altra, come fossero moltiplicazioni di sé stessa; sono allucinazioni, le ragazze che arrivano con passo languido sul palco con il volto coperto da una foto di Alda. Lei le aspetta sempre. Ma loro non arrivano mai.
Sono figlie perdute, figlie che non le è mai stato consentito di amare. Ad Alda non è mai stato permesso amare nessuno. Questo è stato il grosso macigno che ha pesato sulla sua vita, rendendo ancora più ingombrante il fardello da portarsi sulle spalle. Si invaghisce di Pierre e glielo portano via, a bordo di un furgone, deportato dal manicomio in un altro luogo di nessuno. Le sue stesse figlie verranno portate via da lei. Perché lei è una «madre difficile, prima la pazza, poi la poetessa».
Il movimento degli attori sulla scena simula il movimento dei pensieri, che vanno veloci e confusi, a volte si animano, si contorcono, si intersecano e poi si lasciano andare, cadono a terra, come se avessero esaurito le energie. La musica accompagna il movimento, è il ritmo dei pensieri.
La scenografia è elaborata, non minimal, ma non troppo abbondante. La sabbia che copre il palco è il terreno perfetto su cui appoggiare la storia che viene raccontata. La sabbia, con il suo profilo irregolare, trasmette instabilità, è fatta di cunei, colline e salti. È simbolo di imprevedibilità, potrebbe cambiare andamento all’improvviso, e aridità, rimanda al deserto, dove non c’è nulla che possa aiutare a levarsi di dosso quella dolorosa sensazione di solitudine. La sabbia è anche mutevolezza: quando calpestata conserva le impronte, quando è bagnata cambia colore, quando lanciata diventa una pioggia di granelli.
Oltre a sentirsi sola, Alda si sente inutile.
«Sono una sedia su cui non si siede mai nessuno», dice. E forse nella poesia, trova, per la prima volta nella sua vita, un senso alla sua presenza nel mondo.
Cala una finestra dal cielo, su cui Alda si dondola. «È tutto un equilibrio sopra la follia», canta Vasco Rossi in una canzone. Sembra la didascalia perfetta per questo momento, in cui la madre pazza inizia a diventare poetessa. Durante gli anni del manicomio, Alda non ha potuto scrivere perché come dice lei stessa nel diario, «non avrei potuto scrivere in quel momento nulla che riguardasse i fiori perché io stessa ero diventata un fiore, io stessa avevo un gambo e una linfa» (da L’altra verità. Diario di una diversa). Come quelli che Pierre le dona con rabbia, conficcandoli con forza nel terreno.
Al manicomio, anche i gesti d’amore sono fatti con violenza. Si trema tanto, in manicomio, tanto da non riuscire più a distinguere se siano tremori di freddo, di paura, d’amore, di rabbia o di stanchezza oppure tremori dovuti alle scariche elettriche.
Alla fine Alda, appoggiata al pianoforte che è stata costretta ad abbandonare alla nascita di suo fratello, sospira. E il pubblico con lei. Il suo sospiro trasuda stanchezza. Quello degli spettatori forse sollievo nello scoprire che il “diario di una diversa” è in realtà il racconto di una persona comune e di una poetessa straordinaria.