Nuvolo messaggero, Centuria d’amore, Le stanze dell’amor furtivo. A vent’anni dalla prima pubblicazione (2002, Marsilio Editori) l’edizione curata da Giuliano Boccali raccoglie i versi di tre splendide opere della letteratura indiana antica, capaci di offrire al lettore moderno un assaggio di quella che era la concezione dell’amore in quel mondo da noi cronologicamente e geograficamente distante.
Se il Nuvolo messaggero (IV-V sec. d.C.) mostra uno sviluppo narrativo sotteso che lega le strofe in una conseguenziale logica interna, le altre due opere appaiono come antologie di strofe indipendenti, ben adatte anche a una rilassata e frammentata lettura estiva. Prima di immergerci nelle parole dei componimenti, teniamo ben in mente come a separarci dai tre autori (presunti o reali che siano) intercorrano diversi secoli.
Nonostante questo, le immagini suggeriteci mostrano un’attualità disarmante.
Ma andiamo con ordine. Le 111 brevi strofe del Nuvolo messaggero sviluppano il lamento di un esule innamorato che, lontano dalla sua amata, si strugge per la lontananza e vede in un nuvolo (termine maschile in sanscrito secondo la tradizione che vede i nuvoli amanti delle fiumane) la sua unica possibilità di far ricevere un messaggio alla donna. Prima però di conoscere cosa ha da dire l’innamorato, dobbiamo attendere 95 strofe in cui viene deliziosamente descritto il paesaggio che questo nuvolo attraverserà per raggiungere il luogo dell’incontro.
L’attenzione profonda al mondo naturale, con esuberanti descrizioni e intense lodi ai più minimi dettagli («acqua odorosa per le amare fragranze degli elefanti silvestri»; «le selve di meli selvatici fosche per i frutti maturi»; «il parco agitato dai venti della Gandhavati profumati del polline dei gigli acquatici») riflette una sensibilità nei confronti della natura, la quale è di fatto una delle grandi protagoniste nella poesia indiana.
Dunque, una volta raggiunta la casa dell’amata, il nuvolo dovrà riferire le dolci parole del messaggio d’amore. Ed è proprio nella natura che l’innamorato cerca immagini che possano consolarlo nel ricordo della donna:
Nelle liane il tuo corpo,
nell’occhiata delle cerve timorose lo sguardo furtivo,
l’ombra delle guance nella luna,
nelle piume della coda dei pavoni i capelli
io immagino, nelle onde tenui dei fiumi
le lusinghe delle sopracciglia:
ahi, pur se paragonabile, in nessuna cosa,
o timida, c’è somiglianza completa con te .
Come Boccali fa notare nel prologo, queste tre raccolte mostrano un chiaro utilizzo di temi e moduli ricorrenti e ben radicati nel sentire comune del tempo.
Le donne descritte, i sentimenti espressi, le situazioni narrate e così via si configurano perciò come modelli tipici e impersonali, quasi come fossero maschere di scene teatrali. Le situazioni narrate dalla Centuria d’amore, accolgono così al loro interno la donna gelosa, il marito infedele, l’amica bisbetica e i genitori severi, riuscendo, con linguaggio arguto e diretto, a condensare in brevi strofe vere e proprie storie di innamoramenti e delusioni:
Di questo amore – dove rabbia era solo accigliarsi
e bisticcio soltanto tacere, dove far pace
era sorridersi l’un l’altra e tenerezza una complice occhiata – guarda ora
la misera fine:
tu gemi ai miei piedi e io, stupida,
non so liberarmi dall’ira
L’importanza della forma dà ben più all’occhio però nella terza breve opera. Le 50 Stanze dell’amor furtivo sono tutte riconducibili alla forma «Oggi ancora, lei […] ricordo». Il nostro terzo autore infatti ci racconta di un amore tutto proiettato nel passato. Un amore che non potrà più essere tale in quanto siamo poco prima della morte dell’uomo che, accusato della relazione amorosa intrattenuta con la propria allieva, ha ora chiesto come ultima grazia di poter recitare dei versi.
Oggi ancora, lei che regge le briglie nella danza selvaggia d’amore
rivedo, la figura snella sfinita dalla lunga separazione;
con il corpo circondandola mentre mi offre i fianchi
tenendo gli occhi appena chiusi, certo davvero non la lascio
Insomma, sono immagini concrete in cui il lettore contemporaneo riesce a immedesimarsi senza troppa fatica. Sono immagini di una cultura in cui l’amore, pur in tutte le sue sfaccettature e regolato da norme e limiti sociali, che lo si concepisca come sentimento, o incontro carnale, o divinità, era considerato, in definitiva, la forza che permette a ciascuno di adempiere al proprio destino, di esperire di un mondo che soltanto una volta conosciuto può essere rifiutato per aspirare a una liberazione superiore.