Del: 29 Luglio 2022 Di: Maria Pia Loiacono Commenti: 0
Intervista a Bryan Ceotto. Tra esistere ed essere

Bryan Ceotto è un ragazzo transessuale di 22 anni, studia Lettere all’Università Statale di Milano e quotidianamente, racconta sui social (la cui stima è quella di 80 mila followers su Tik Tok e 10 mila su Instagram) il proprio percorso di transizione. Ogni giorno debella dubbi provenienti da chiunque si dimostri anche minimamente curioso nei confronti di tematiche di genere o da chi è interessato direttamente al percorso perché intenzionato ad intraprenderlo.

Intervista a Bryan Ceotto. Tra esistere ed essere

L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza. 


Ciao Bryan! Benvenuto su Vulcano. La prima domanda che ti voglio porre è questa: sottolinei spesso la differenza che intercorre tra esistere e essere. Quando tu in quanto ragazzo trans, hai iniziato ad essere e a prendere consapevolezza di chi sei?

Ho cominciato ad essere quando ho iniziato ad assumere il testosterone. Prima, esistevo sicuramente, però nonostante avessi già fatto coming out come ragazzo trans e vivessi secondo la mia identità senza nessuna difficoltà in ambito socio-famigliare, comunque, non ero essenza ma solo esistenza.

Il testosterone è la garanzia sotto ogni forma: il corpo inizia a cambiare e ti senti te stesso, perché ti guardi allo specchio e hai coscienza di chi sei. Con la prima iniezione, nonostante gli effetti si notino con il progresso dei mesi, rinasci. E sebbene io non abbia avuto alcuna particolare difficoltà nella mia vita, credo che l’ostacolo maggiore che io abbia dovuto affrontare, sia stato proprio quello di non potermi specchiare riconoscendomi per quello che ero.

Qual è stato il motivo che ti ha spinto a parlare di un percorso così intimo sui social?

Partiamo dal presupposto che l’inizio del mio percorso è stato dettato dalla esasperazione: nonostante io abbia provato in tutti i modi a nascondere me stesso, facendo mia una identità che non mi apparteneva e comportandomi eccessivamente da ragazza, se in un primo momento credevo fosse solo necessario che mi parlassero con il pronome maschile, successivamente ho capito che non mi bastava.

E il volerlo portare sui social è legato al fatto che volessi consapevolizzare informando: quando io avevo 14 anni, l’unico mezzo utilizzabile era internet, dove però, anche tutt’ora, vige una disinformazione tale da essere anche piuttosto pericolosa.

Io ho sentito la mancanza di un supporto da parte di qualcuno che vivesse il mio stesso stato d’animo di quel momento. Quindi, la mia volontà è quella di essere un punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto o di informazioni, cercando di evitare di farli cadere nell’oblio della disinformazione e di rendere noto a tante persone un argomento, che purtroppo tutt’ora, viene spesso mal visto.

Pensi che se il te quattordicenne avesse avuto un punto di riferimento sui social all’epoca, si sarebbe sentito più libero di esprimersi?

Assolutamente sì. Parti dal presupposto che io scopro di essere un ragazzo transessuale nel 2014, a 14 anni, e all’epoca la transessualità, veniva ancora considerata una malattia mentale: è stata infatti poi successivamente debellata dalla lista solo nel 2016. Ciò ha contribuito ulteriormente alla volontà di volermi isolare, non trovando alcun punto di riferimento, proprio perché pensavo di essere l’unico a provare queste cose.

Quanto è difficile, a livello burocratico, accedere all’iter legale (cambio anagrafico e successivo accesso ai vari interventi)?

Difficilissimo. Tra l’altro va a infierire in maniera cospicua sulla mancanza del benessere psico-fisico delle stesse persone trans. L’iter legale può avere addirittura una durata di 4 anni. Senza quest’ultimo, non potendo cambiare nome e genere sul documento e di conseguenza nemmeno fare gli interventi, sono costretto continuamente a fare coming out, spiegando chi sono. E tra l’altro, se non dovessi essere creduto, le stesse istituzioni, quali carabinieri o poliziotti, possono accertare la mia transessualità chiamando il mio avvocato, che deve essere necessariamente disponibile 24 ore su 24. Ci deve essere quindi qualcuno che attesti la mia identità. 

Il giudice ha poi la possibilità con la propria sentenza, di negarti il diritto di essere chi sei: a questo punto, si intercorre al CTU, il consulente tecnico d’ufficio, e possono passare mesi, se non anni, prima che ti diano il consenso. Questa loro riluttanza è però una forma di protezione nei propri confronti: sono loro, infatti, a prendersi la responsabilità della tua identità. Se io per un motivo, mi pento della mia transessualità e voglio detransizionare, posso denunciare il giudice, che deve quindi infine essere totalmente assicurato che la persona sia consapevole del percorso che sta compiendo.

Studi Lettere alla Statale di Milano: pensi che il nostro ambiente universitario sia effettivamente inclusivo nei confronti delle persone trans?

La nostra università è da considerare inclusiva, perché a differenze di altre, permette la carriera alias: tutte le persone trans che vogliono intraprendere un percorso e che non hanno ancora cambiato i documenti possono fare uso di un libretto alternativo utile ai docenti al fine di conoscerti per quello che sei e per evitare che conoscano la tua reale identità anagrafica, in modo tale che non ci siano pregiudizi di nessun tipo. L’unico problema rilevante è che per la stesura e la pubblicazione della tesi, essendo un documento ufficiale, sarà necessario prendere in considerazione esclusivamente i dati anagrafici.

Oltre alla carriera alias, cosa pensi si potrebbe fare, per rendere l’università ancora più inclusiva?

Informare i docenti. Potrebbe essere utile l’idea di fare una campagna di sensibilizzazione per far capire cosa provano e devono affrontare le persone trans, spiegandone i motivi. Ciò potrebbe anche agevolare le persone trans stesse richiedenti la carriera alias che hanno iniziato il percorso da poco, in seguito all’ottenimento della certificazione della disforia e che in un anno, ad esempio, potrebbero cambiare la voce o l’aspetto, permettendo di conseguenza ai docenti di comprendere cosa stia effettivamente succedendo.

Per quanto riguarda la carriera lavorativa, so che hai intenzione di diventare un giornalista. Credi potresti incontrare delle difficoltà nel tuo percorso in quanto ragazzo trans?

Partiamo dal presupposto che il mio caso è particolare, ho infatti intenzione di diventare un giornalista storico della matrice ebraica. E se c’è una grossa distinzione che posso fare tra il cristianesimo e l’ebraismo è che gli ebrei non hanno alcuna difficoltà a comprendere l’omosessualità e la transessualità, in quanto rappresentanti loro stessi di una minoranza che è stata quasi sempre discriminata. Quindi il mio percorso è talmente specifico che non credo io possa incontrare alcuna difficoltà. Conosco già persone dedite a questo lavoro e sono stato informato abbastanza da capire che la libertà è un valore vigente in questo determinato contesto lavorativo.

Maria Pia Loiacono
Studentessa di beni culturali, scrivo con lo scopo di imparare più cose del mondo che mi circonda, cercando di farmi e farvi incuriosire.

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