Del: 7 Luglio 2022 Di: Alessandro Girardin Commenti: 1
L’ascesa della criminalità mafiosa in Lombardia e in Brianza / Parte II

Questo articolo è il secondo di due sull’ascesa della criminalità mafiosa in Lombardia e Brianza. Il primo è consultabile al seguente link.


Accertati quindi nel corso delle indagini susseguitesi in quegli anni (Hoca Tuca, Hinterland, Wall Street, Count Down) i macroscopici margini di guadagno garantiti dai traffici illeciti della criminalità organizzata, rimane da chiedersi come essi vengano impiegati dalle ‘ndrine radicate nel territorio.

In città opulente e dal fiorente sviluppo imprenditoriale e urbanistico come quelle della Brianza – ma anche della Lombardia tutta – le mafie hanno trovato storicamente grandi opportunità di investimento

quindi, di riciclaggio dei proventi delle attività illecite attraverso i canali “puliti” dell’economia legale. Sia acquisendo imprese attraverso minacce e richieste estorsive che spesso hanno indotto le ditte a indebitarsi con prestiti a usura, a subappaltare lavori, a cedere posti nelle compagini societarie o nei consigli di amministrazione, ad asservire i propri organi sociali o i propri dipendenti agli interessi mafiosi o, in alternativa, a rimpiazzarne i titolari con appositi prestanome; sia ponendo la manovalanza affiliata “al servizio” delle imprese stesse, come nei periodi di più forte concorrenza. E, di questo secondo paradigma strategico, le rivalità tra i gruppi malavitosi dei Miriadi e dei Malaspina costituiscono in Brianza un esempio lampante.

A fare capolino nelle informative dei Carabinieri sono, in primo luogo, le cointeressenze societarie del sodalizio facente capo ai Malaspina: in queste figurano soggetti come Vincenzo Cotroneo, ritenuto organico alla locale di ‘ndrangheta di Desio, e Bartolo Foti, che risulterà dall’inchiesta Infinito essere in rapporti (e per questo condannato) con il capo-società Candeloro Pio, al punto da partecipare al pestaggio di un camionista che avanzava soldi nei confronti del boss. Coi Malaspina, i Miriadi tentano ben presto di entrare in affari, nel tentativo di contrastarne la supremazia territoriale. La questione verte – secondo le indagini – su un terreno di via Principato a Vimercate, di proprietà dal 2010 di Giuseppe Malaspina, rifattosi una vita (dopo la ‘riabilitazione’) come immobiliarista, titolare – fra le altre – della società Gimal di Vimercate. Di quel terreno i Miriadi vogliono impossessarsi a tutti i costi, dopo che negli anni ’90 l’avevano perso col fallimento di una loro società (nello stesso periodo della bancarotta dei Lugarà). Arrivano persino a millantare nei confronti del rivale un credito da un milione di euro per del materiale edile andato disperso.

Interesse dei calabresi, in virtù di una variante al Pgt approvata dal Comune, è quello di edificare sull’area un imponente complesso residenziale. Malaspina però non cede ai ricatti. Di qui la sequela di intimidazioni ordite dai Miriadi ai suoi danni: proiettili spediti all’interno di una busta, colpi di pistola esplosi contro le vetrine della Gimal e bottiglie molotov scagliate contro la sede della Progeam, di proprietà della ex moglie.

Nel 2011, durante la travagliata procedura di fallimento di una delle sue società, sulle quali aveva fondato un vero e proprio ‘impero del mattone’ (salve le opere lasciate incompiute con tanto di scomputo degli oneri di urbanizzazione a Correzzana), suo fratello, Carlo Malaspina, viene rapito e fatto salire a bordo di un’auto da quattro uomini incappucciati: il tentativo di sequestro fallisce, ma la vittima riporta alcune fratture agli arti. Per questi fatti vengono arrestati con l’accusa di tentata estorsione, tentato sequestro di persona e minacce, e poi condannati con riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso (confermata in appello), i fratelli Vincenzo e Giovanni Miriadi (figli del defunto Assunto), il cugino Mario Girasole e Isidoro Crea.

Ma la peculiarità dell’organizzazione della ‘ndrangheta lombarda, oltre a un attecchimento fin dagli inizi assai profondo nel tessuto imprenditoriale brianzolo, è data dal solido legame storicamente mantenuto con la casa-madre calabrese, un rapporto di ‘dipendenza’ che subordina al placet del Crimine le determinazioni più importanti dell’attività del sodalizio mafioso: dalla gestione dei traffici illeciti e leciti alla deliberazione di azioni eclatanti, lasciando in ogni caso una discreta dose di autonomia a locali e ‘ndrine distaccate.

Negli anni ’80 la “Milano da bere” è una delle principali piazze di spaccio a livello europeo: i Sergi-Paviglianiti sono in grado di smerciare fino a 25 chili di eroina al mese, mentre i Di Giovine-Serraino arrivano anche a 60. Nell’86, a Caponago, viene sancita l’alleanza tra Pepè Flachi e Franco Coco nella spartizione dei traffici di eroina nei quartieri Bruzzano e Comasina, oltreché a Quarto Oggiaro e nell’hinterland milanese, attraverso un consorzio che coinvolge le famiglie Schettini, Barbaro, Papalia, Branca, Arena, Farao e Marincola, insieme a Cosa Nostra (i cui rappresentanti – secondo il pentito Antonino Fiume – erano Jimmy Miano e Turi Cappello) nonché alla Camorra tramite i Fabbrocino e gli Ascione, e alla Sacra Corona

Unita tramite gli Annacondia: una struttura di vertice, detta anche “confederazione intermafiosa”, con sede a Milano, il cui potere di controllo si estendeva sino ai territori di Busto Arsizio, Lecco e Cermenate.

Ma quella degli anni ’90 è anche una ‘ndrangheta abile ad intrecciare rapporti con il potere politico a livello locale, in certi casi persino infiltrando propri uomini nelle istituzioni comunali. Emblematico il caso di Natale Moscato, assessore socialista all’Urbanistica del Comune di Desio, il quale ospitava in una sua abitazione lo zio Natale Iamonte, santista, boss dell’omonima ‘ndrina di Melito Porto Salvo, relegato dall’88 in soggiorno obbligato. Moscato fu implicato nella sistematica approvazione di cambi di destinazione d’uso di svariate aree, trasformate da agricole a edificabili e in seguito svendute alla costellazione di imprese immobiliari della famiglia di ‘ndranghetisti a cui apparteneva. Altri metodi storicamente invalsi nel condizionamento dell’attività amministrativa degli enti locali (che ha finanche determinato lo scioglimento di Consigli comunali, come nel caso di Sedriano) è poi la corruzione: strumento principe di cui la ‘ndrangheta, e la sua “area grigia”, si è sempre servita per estendere la propria rete di relazioni, assicurando così vantaggi alle proprie imprese (attraverso, ad esempio, l’accelerazione di una pratica edilizia) e coperture alla propria consorteria (inducendo a colludere, ad esempio, funzionari pubblici nel ciclo del cemento e nel settore dei rifiuti).

Fatte queste precisazioni, si può tornare alla storia. Nel 1990, a Tradate, i Flachi-Trovato uccidono Roberto Cutolo, figlio di Raffaele (capo della Nuova Camorra Organizzata), per fare un favore ai Fabbrocino; in cambio questi eliminano nei pressi di Napoli Salvatore Batti, entrato in rotta di collisione con Pepè Flachi, dato che aveva smesso di acquistare da lui l’eroina. Scoppia così la faida tre i Flachi-Trovato e i Batti, portata alla luce dagli inquirenti con l’operazione Wall Street del ’94. A capo della struttura lombarda vi è in questa fase Cosimo Barranca, vertice della locale di Milano, con il compito di coordinare traffici di droga e armi, estorsioni e riciclaggio dei proventi illeciti, e di riferire agli esponenti di spicco della ‘ndrangheta calabrese. Gli succede nell’agosto 2007 Carmelo “Nunzio” Novella, originario di Guardavalle, assassinato da Antonino Belnome e Michael Panajia il 14 luglio 2008 presso il circolo “Reduci e combattenti” a San Vittore Olona, a motivo delle sue ambizioni “secessioniste”: avrebbe voluto recidere il cordone ombelicale che lega le locali lombarde alla casa-madre calabrese. Un progetto che aveva suscitato lo sdegno dei capibastone delle cosche Gallace-Ruga, risultati poi i mandanti dell’omicidio.

Alla morte di Novella segue un periodo di “commissariamento”, durante il quale la gestione de la Lombardia viene affidata da Giuseppe “Pino” Neri, avvocato tributarista, presunto boss del locale di Pavia – condannato negli anni ’90 per vicende di stupefacenti ma non (in ragione di cavilli tecnici) per 416-bis. È proprio Pino Neri a presiedere il summit tenuto il 31 ottobre 2009 presso il circolo ARCI per anziani “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, all’esito del quale il Gotha della ‘ndrangheta lombarda elegge come nuovo capo Pasquale Zappia. E tale rimarrà fino agli arresti della citata operazione Crimine-Infinito del 13 luglio di 12 anni fa.

Alessandro Girardin
Studente del V anno di Giurisprudenza, perennemente scisso tra lo studio di codici e codicilli e l’indagine sui fatti del mondo, con l’aggravante di una grafomania para-giornalistica in stadio avanzato. Cerco nel mio piccolo, come osservatore e attivista - con tutti i miei limiti! -, di analizzare fenomeni di criminalità organizzata, malaffare e intrecci fra Stato, mafia e massoneria. In una parola, mi occupo del Potere.

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