Del: 24 Luglio 2022 Di: Giulia Riva Commenti: 1
Un mondo in fiamme. Il futuro della generazione Z

«Gli allarmi della Thunberg sul clima sono privi di fondamento, lo conferma la scienza».

Così titolava il quotidiano Libero in un articolo del 26 settembre 2019, firmato dal politico, giornalista ed opinionista Renato Farina. Poco oltre, Farina proseguiva affermando che «solo una piccola minoranza [della comunità scientifica] appoggia il suo estremismo francamente fanatico».

E ancora, verso la conclusione dell’articolo, l’attivista Greta Thunberg veniva descritta come «una ragazzina ignorante come una capretta, la quale è competente solo sui suoi sentimenti montati come panna acida da chi finge di volerle bene, e invece le fa marinare la scuola».

Nello stesso periodo anche Vittorio Feltri, fondatore e direttore editoriale di Libero (nonché di altri quotidiani, tra cui Il Giornale), dichiarava in un’intervista: «Se avessi una figlia come Greta un paio di ceffoni glieli darei per rimandarla a scuola perché lei non va a scuola e chi non va a scuola non può arrogarsi il diritto di fare la professoressina. Un tempo la mortalità infantile era molto alta e l’età media era 50 anni. Oggi si vive molto più a lungo, io stesso ho 76 anni e lavoro come quando ne avevo 40, pur avendo fumato e bevuto. Se l’inquinamento avesse fatto tutti i danni che si descrivono, dovevamo stare peggio rispetto a 50 anni fa invece stiamo molto meglio. Quindi è la prova che sono tutte fesserie quelle che dicono i cretini ecologisti».

Si tratta di esempi italiani di una narrazione ingannevole e tutt’altro che celatamente orientata, diffusa purtroppo a livello globale e radicata su due elementi chiave: negazionismo climatico e svalutazione dei giovani e del loro potenziale contributo.

Con negazionismo climatico si intende quella corrente di pensiero espressa da opinionisti di varia estrazione e formazione (tra i quali anche scienziati più o meno rinomati), fin da quando, ormai negli anni ‘90, ha avuto inizio il dibattito intorno al cambiamento climatico, alle sue cause umane e agli effetti distruttivi che già allora la scienza iniziava a profilare sul nostro orizzonte.

I negazionisti climatici sostengono che le temperature non si stanno innalzando, oppure negano che le attività umane abbiano alcuna responsabilità in merito o ancora che il surriscaldamento globale possa avere gravi conseguenze.

Il negazionismo climatico si diffonde percorrendo diverse strade: non solo mediante siti e canali YouTube di scarsa credibilità ma anche grazie allo spazio che ad esso viene riservato all’interno di trasmissioni televisive ufficiali e a voci autorevoli, o presunte tali, che si prestano a fare disinformazione.

Nell’ormai famoso documentario Before the Flood (del 2016, diretto da Fisher Stevens), l’attivista per il clima Leonardo DiCaprio discute (minuto 22.40) di negazionismo climatico con il climatologo e geofisico statunitense Michael E. Mann, direttore dell’Earth System Science Center alla Pennsylvania State University.

Lo scienziato denuncia di essere stato vittima degli attacchi da parte del canale televisivo Fox News, della testata Wall Street Journal e di svariati membri del Congresso, nonché di anonime minacce di morte, per aver pubblicato i risultati degli studi compiuti insieme al suo team sui cambiamenti climatici degli ultimi 1000 anni.

Il grafico risultante, detto “hockey stick graph” per la sua forma peculiare, mostrava infatti un raffreddamento a lungo termine ed un repentino riscaldamento verificatosi a partire dal XX secolo, confermando così l’impatto dell’industrializzazione sul cambiamento climatico.

D’altro canto, come sottolinea Mann e come è stato confermato dai risultati di svariati studi indipendenti, ben il 97% dei climatologi si mostra concorde nel sostenere l’esistenza del cambiamento climatico e nell’identificarne le cause nelle attività umane.

E chi afferma il contrario, ha spesso a che fare con grandi industriali e lobby dei combustibili fossili, che pagano profumatamente per una disinformazione ad hoc: per esempio i fratelli David e Charles Koch, proprietari dell’azienda Koch Industries – impegnata nella produzione di energia, nella raffinazione del petrolio e in svariati altri settori fino all’allevamento di bestiame – nonché fondatori e finanziatori del gruppo politico lobbistico Americans for Prosperity, oppostosi a gran parte delle iniziative ambientali dell’amministrazione Obama.

Un’ulteriore strategia, oltre alla diffusione di fake news e alla minimizzazione del surriscaldamento globale, è infine quella del “greenwashing”, cioè un ecologismo di facciata adottato da imprese ma anche organizzazioni ed istituzioni politiche, allo scopo di negare il proprio dannoso impatto ambientale: di recente, come ha osservato la giornalista Stella Levantesi su Internazionale, questa tattica è stata adottata dalla multinazionale ExxonMobil, tra le principali compagnie petrolifere statunitensi, in un servizio andato in onda su Cnbc e subito denunciato dall’esperta di comunicazione sul clima Genevieve Guenther e dal sociologo Robert Brulle.

Anche in Italia, del resto, non mancano analoghi casi di disinformazione, spesso promossa da scienziati con curriculum di tutto rispetto ma privi della formazione necessaria in materia di clima, o ancora episodi di malcelata aggressività contro climatologi esperti, volti smentirne gli studi senza tuttavia addurre argomentazioni fondate e coerenti.

Tra i protagonisti di questo panorama, Franco Prodi, fratello del politico Romano Prodi e scienziato dalla precoce carriera: esperto di microclima e soprattutto della formazione di nubi, pur non essendosi mai occupato di studi sui cambiamenti climatici ha negli anni radicalizzato la propria posizione sul tema, divenendo uno dei principali punti di riferimento dei negazionisti climatici e sostenitore della tesi (già smentita dalla NASA) secondo cui le anomale ondate di calore sarebbero generate naturalmente dall’attività solare.

O ancora, il giornalista della Verità Francesco Borgonovo, che nella puntata del 7 giugno scorso (ultimi 20 minuti) della nota trasmissione televisiva Cartabianca si è scontrato con il climatologo Luca Mercalli, che aveva appena lanciato il suo allarme rispetto al “peggioramento di tutti gli indicatori del cambiamento climatico” sulla base dei dati prodotti dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dell’ultimo rapporto dell’IPCC (la Piattaforma Intergovernativa sul Cambiamento Climatico dell’ONU).

La situazione è degenerata quando Borgonovo ha definito l’IPCC “molto contestato” e citato le opinioni contrarie di “Shellenberger e altri”, commentando: «se posso credere a Mercalli posso sentire anche le opinioni di un altro» – affermazione tanto lecita quanto scontata: ognuno è libero di credere a quello che vuole, almeno nel nostro Paese e almeno per ora, ma nel corso di un dibattito televisivo che dovrebbe avere lo scopo di informare correttamente il pubblico sarebbe quantomeno opportuno addurre una qualche argomentazione fondata a sostegno delle proprie tesi.

Ma, come ormai accade sempre più di frequente, il dibattito si è chiuso senza che alcuna possibilità di reale confronto si sia mai profilata nei pochi minuti messi a disposizione: Mercalli, attaccato su tutti i fronti e di fatto impossibilitato a prendere parola per un tempo sufficiente ad impostare almeno un singolo ragionamento, abbandona la trasmissione e Borgonovo scherza “ha avuto un po’ di surriscaldamento globale, il professore”.

Dovrebbe farci ridere e invece ci lascia l’amarezza di sapere che su tutto, anche sul nostro futuro (drammatico, con ogni probabilità) si può fare dell’ironia.

Del resto, anche sugli attivisti climatici si può fare dell’ironia, tanto più se sono giovani. E così la creatività giornalistica si sfoga in giochi di parole più degni di conversazioni da bar che delle pagine di (presunti) strumenti di informazione.

Gretini ecologisti” – o cretini. Perché la denigrazione dell’altro, la sua svalutazione su un piano prima di tutto intellettuale, pare la strada più semplice e diffusa per continuare a negare una realtà che fa troppa paura, che imporrebbe ormai cambiamenti radicali.

Così si marginalizzano soprattutto quei giovani che vogliono e possono dare un contributo ad una lotta che si è resa ormai non solo necessaria ma inevitabile, per chiunque voglia garantirsi un domani degno di essere vissuto; e lo si fa sfruttando una narrazione già molto diffusa che li vorrebbe svogliati, furbi, cialtroni, spesso per giustificare un mondo del lavoro selvaggio e privo di prospettive e tutele.

Ed ecco che attivisti e studenti che sfilano per le strade durante le manifestazioni di Fridays For Future ci vengono immediatamente dipinti come i pigri che colgono l’occasione fortuita per sfuggire agli obblighi scolastici, a lezioni ed esami, alle proprie responsabilità.

Ma non si stanno, al contrario, facendo carico di responsabilità fin troppo grandi per i loro dieci, quindici, vent’anni? Responsabilità che nessun altro vuole assumersi? Perché a dieci, quindici, vent’anni, forse non dovremmo essere costretti a gridare tanto per farci sentire, affinché almeno un frammento di questo Pianeta, del nostro futuro, possa salvarsi. Ci rispondono di tornare a studiare, dedicarci alla nostra formazione, eccellere, affermarci: perché il mondo lo si cambia così, facendosi strada, accumulando conoscenze, con il tempo. Compiendo la scalata verso il vertice da cui si prendono le decisioni che contano.

E così il cambiamento viene rimandato: non è ancora il momento, non sei ancora pronto, impegnati anziché “marinare la scuola”, allora un giorno forse ci sarà uno spazio anche per te, lo spazio di una parola. Ma non c’è tempo di aspettare quel giorno e la retorica che esalta sempre e solo i vincenti, i giovani “da record”, dimentica di dirci che il mondo è di tutti, che ognuno ha il diritto di dire la sua, che una buona laurea non ci salverà.

Continueremo a trovare chi vorrà negarci la possibilità di fare la differenza; qualcuno disposto ad affermare, per interessi politici ed economici, proprio quello che in tanti vogliono sentirsi dire, che ci rincuori sostenendo che il riscaldamento globale non esiste, che l’essere umano non c’entra, che i rischi sono minimi, che ci adatteremo.

Ma i rischi non sono minimi e noi non ci adatteremo. Non ci stiamo adattando nemmeno ora, mentre in tutto il mondo le temperature raggiungono picchi mai visti, i fiumi sono in secca, i ghiacciai in scioglimento, le riserve idriche sempre più esigue e lo zero termico introvabile se non oltre i 4500 metri. Mentre gli incendi dilagano e il sole fonde l’asfalto delle strade.

Ed eppure, a molti il disastro sembra ancora lontano, surreale, improbabile. Come tutto quello che non è ancora accaduto e che pensiamo non potrà accadere mai, non in questo tempo, non a noi. La fantasia non riesce a spingersi così lontano, ad immaginare quel che sarà; ma, prima di quanto ci aspettiamo, la realtà farà irruzione, consumando il poco tempo che ci resta. E non sarà più necessario cercare di immaginare il disastro: si troverà tutt’intorno a noi.

Il punto di non ritorno è già arrivato: quanto tempo ancora servirà per ammetterlo?

Giulia Riva
Laureata in Storia, sto proseguendo i miei studi in Scienze Politiche, perché amo trovare nel passato le radici di oggi. Mi appassionano la politica e l’attualità, la buona letteratura e ogni storia che valga la pena di essere raccontata. Scrivere per professione è il mio sogno nel cassetto.

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