Del: 18 Agosto 2022 Di: Gaia Martinelli Commenti: 0
Art o Adv? Forse entrambe. La combinazione vincente

Ovvio è che la pubblicità sia un’arte, tuttavia, l’arte stessa può divenire pubblicità: opere ed artisti si rivelano sempre più frequentemente uno strumento prediletto di comunicazione di cui i brand si avvalgono per trasmettere determinati valori, emozioni e posizioni rilevanti socialmente.

Non c’è nulla di nuovo in questo, infatti, sono noti già dall’Ottocento e Novecento i casi in cui i business si sono affidati agli artisti, sia come figure stesse che ai loro lavori. I letterati, per esempio, fungevano da coloro che oggi si potrebbero denominare “copywriters”, realizzando slogan, bodycopy, giochi metrici o ritmici e filastrocche, al fine di generare un impatto a livello emozionale nella mente del consumatore.

Come prevedibile, il prodotto pubblicitario in questa epoca vive un miglioramento estetico che consente di avvicinare l’industria alla poeticità, liberandola dal manto freddo della tecnica ed al contrario adornandola con connotati prettamente artistici.


Un caso esemplare tutto italiano è quello che vede come protagonista D’Annunzio, sia genio in campo letterario sia talento ante litteram in ambito pubblicitario: si occupò di attività di naming, a lui si deve “La Rinascente”, e di branding per l’Amaro Montenegro, per esempio, definito dall’artista come “liquore delle virtù”. Un’altra marca che deve il suo nome e parte della sua fama D’Annunzio è la Saiwa, a cui egli dedica una frase riportata sulla confezione nel 1929:

Queste vostre novissime scatole di biscotti fini superano in finezza e in bontà le migliori d’Inghilterra. Son troppo squisite per me. Vi ringrazio, Vi lodo”.

Spostandosi in Spagna, l’arista degno di merito per eccellenza è indubbiamente Dalì. È proprio l’incredibile esponente del Surrealismo ad aver disegnato il logo del Chupa Chups nel 1969, che ancor oggi tutti riconoscono, e ad aver collaborato con molteplici altri brand ideando grafiche, vetrine, packaging e quadri. A testimoniare l’estro, la passione e la capacità di Dalì di destreggiare la comunicazione in ogni sua forma e strumento è la sua comparsa in diversi spot pubblicitari di aziende tra cui Alka Seltzer e Veterano Brandy.

Considerando l’oltreoceano, impossibile è non citare poi Andy Warhol, cui arte conduce proprio alla complessiva sfumatura dei confini tra arte stessa e prodotto industriale. La sua pop art dimostra efficacemente che l’esposizione di un’opera d’arte raffigurante un prodotto, comporta di conseguenza una più proficua esposizione del prodotto stesso. La zuppa di pomodoro in scatola promossa dal genio creativo attraverso il suo lavoro “Campbell’s Soup Cans”, esposto oggi al MOMA di New York, diviene iconica e così la sua casa produttrice: Campbell Soup Company.

Questo legame già evidentemente solido nel corso della storia, si complessifica e si intensifica sempre più in relazione alle fiorenti forme di comunicazione e possibilità di promozione che prosperano nel campo della pubblicità. L’intreccio assume differenti aspetti: la pubblicità si serve dell’arte in modi diversi, sempre più creativi, ad esempio appropriandosi di capolavori noti al grande pubblico o collaborando con gli artisti stessi o ancora creando vere e proprie nuove opere d’arte.

Appropriazione dell’opera d’arte

Fare propria un’opera d’arte consente a dare importanza al prodotto promosso e far si che sia più facilmente ricordato, conseguentemente di acquisire prestigio. Nel caso della pubblicità di Allianz assicurazioni, viene richiamato l’aspetto ed il significato del dipinto di Magritte La Trahison des images attraverso una serie di quattro parodie, tra cui una che ritrae un martello, con scritta apposta sotto che suggerisce: “This is not an hammer”. Uno small print e lo slogan poi chiarificano il senso del messaggio, rispettivamente: “This is a common finger squasher” e “Hopefully Allianz”. Insomma, il senso della raffigurazione degli oggetti quotidiani, tra cui un martello, non è la cosa in sé, bensì la rappresentazione del pericolo che evocano e di conseguenza la necessità dell’assicurazione per riparare ad eventuali danni.

Partnership con artisti e musei

Da “Off-White x Louvre” a “Swatch x MOMA” l’incontro tra pubblicità e arte contribuisce alla democratizzazione ed alla diffusione di quest’ultima ed al contempo favorisce l’immagine ed il prestigio dei brand. Sovente le eccellenze fashion instaurano partnership con celebri istituzioni museali dando vita a prodotti che strizzano l’occhio ad appassionati d’arte, nuove generazioni ed a chi coltiva un raffinato gusto estetico.

Per quanto concerne invece la figura individuale dell’artista ed il suo rapporto con un business, una collaborazione duratura e di successo è sicuramente stata quella intercorsa da Takashi Murakami e il celebre brand di lusso Louis Vuitton tra il 2002 ed il 2015. I design di Murakami, rinfrescanti, vividi ed allegri, erano in grado di aggiungere un tocco di qualità giocosa alle borse, capaci così di trasmettere entusiasmo e spensieratezza ai clienti.

Per questo l’arte e la pubblicità sono una combinazione vincente: i valori sono comunicati più autenticamente e l’emozione giunge direttamente al cuore del target. Inoltre, le creazioni che derivano dall’intreccio tra i due mondi -arte e pubblicità- sovente s’innalzano al livello di opere d’arte stesse.

Creazione di vere e proprie opere d’arte


Numerosi brand, diversi tra loro per settore, valori e nazionalità, dalla Comel alla Apple per intendersi, hanno saputo costruire un rapporto con l’arte basato sulla generazione di opere vere e proprie. Se la Comel promuove la creazione di opere d’arte, si può dire che la Apple si sia impegnata a dar vita ad una propria idea in modo pionieristico già nel 1997: il suo spot “Think Different”. Comel, azienda che produce alluminio, invece, dedica un premio ai giovani artisti, incentivando la realizzazione di progetti che rileggano in chiave artistica tale materiale industriale.

Dove inizia dunque l’arte? Dove finisce la pubblicità? Non è dato rispondere a tali domande, i confini risultano indefiniti, sempre più sfumati nel loro costante e vivido intreccio. Intendere una pubblicità come arte, intendere l’arte come pubblicità o intenderle come due unità scisse riconoscendo però la possibilità e la proficuità del loro intrecciarsi, è sufficiente per dar comunque merito alla loro stretta convivenza che spesso ed ancora si conferma una strategia vincente per i brand, gli artisti e l’arte stessa, non mercificata, ma sempre più democratica. Nell’era postmoderna arte e pubblicità possono occupare lo stesso posto, lo dimostra il graffitismo, possono comunicare gli stessi valori, come è evidente in certe campagne che promuovono azioni o diffondono credi d’interesse propriamente sociali (come la sostenibilità), possono giungere alla medesima maniera a chi osserva, lo dimostrano le reazioni positive dei clienti e spettatori.

Inoltre, arte e pubblicità coincidono per eccellenza quando concepite come mezzo per comunicare un messaggio, più precisamente un’emozione. Emozionarsi: forse è questa la meraviglia del non chiedersi se sia arte, pubblicità, o il loro insieme, semplicemente lasciarsi colpire dalla bellezza di qualcosa che riesce intensamente a raggiungere l’anima ed a smuoverla nel profondo.

Gaia Martinelli
Gaia di nome e di fatto – ma non sempre. 22 anni di tramonti, viaggi e poesie. A tratti studio anche corporate communication presso la Statale di Milano. Scrivo di cose belle perché amo l'idea di diffondere bellezza.

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