Negli ultimi giorni fatti di allarmi sul livello raggiunto dal prezzo del gas, che ha sfiorato quota 340 euro/megawattora, e di appelli politici per l’imposizione di un tetto massimo allo stesso, non è passata di certo inosservata una notizia che vede protagonisti i cittadini lucani, ai quali il gas nel prossimo inverno verrà sostanzialmente regalato da Eni. Può sembrare infatti un’assurdità o perfino una fake news, ma si tratta di realtà.
La recente legge regionale che renderà per il prossimo inverno il gas gratuito ai lucani non ha nulla di meraviglioso o straordinario, è solo la ciliegina su una torta fatta di sfruttamento territoriale e incuranza sanitaria e ambientale, ciò che in Basilicata è realtà da più di vent’anni.
Questa notizia, però, è stata interpretata spesso male, a volte malissimo, da molti giornali.
Come il caso de Il Foglio che, in un articolo del 25 agosto, definisce “miracoloso” l’evento che è conseguenza della legge regionale che permetterà durante il prossimo inverno ai cittadini lucani di non pagare nulla per le forniture di gas grazie a un fondo stanziato da Eni, che opera sul territorio con trivellazioni ormai da quasi trent’anni, una legge voluta anche soprattutto a livello locale per contrastare l’abbandono del territorio, un problema che da tempo affligge la Basilicata.
Non c’è però nulla di miracoloso in questo. Come ben raccontato da Ulderico Pesce in Petrolio, si tratta solo del pagamento dovuto per legge delle royalties da parte delle compagnie petrolifere che, se posizionate all’interno dei valori economici del business del fossile, assumono quasi un valore simbolico; spesso funzionano, così, da specchietto per le allodole, con un’utilità che si manifesta maggiormente nel mantenere l’opinione pubblica locale lontana dalle enormi gravità delle conseguenze sanitarie e ambientali che le perforazioni petrolifere hanno prodotto e continuano a produrre nella zona.
Negli anni precedenti, sempre per lo stesso motivo, era stato ideato il bonus carburante per i cittadini, mentre nel caso specifico si tratta di uno stanziamento da parte di Eni di circa 200 milioni di euro utili alla copertura delle spese per il gas nelle bollette di chi possiede almeno un contratto di fornitura di gas in Basilicata, una cifra irrisoria se confrontata con gli utili di Eni nel primo semestre del 2022, pari a circa 7 miliardi di euro.
Non è un elemento molto noto alle cronache nazionali ciò che rappresenta la realtà del petrolio e della sua estrazione in Basilicata.
In pochi sanno che risale ormai al 1994 la scoperta del più grande giacimento petrolifero dell’Europa continentale proprio in Basilicata, precisamente in Val d’Agri. Un elemento che ha senza dubbio rappresentato una svolta per l’economia regionale, che era ed è ancora oggi una di quelle con la più alta presenza di occupazione agricola e con i maggiori livelli di disoccupazione della penisola.
Ma questa svolta non si è registrata solo sul piano economico e dell’occupazione; il territorio e l’ambiente lucano sono profondamente cambiati dopo la penetrazione di Eni e Total al loro interno, che con le loro attività arrivano a estrarre fino a 85 mila barili di petrolio al giorno, rappresentando quindi un centro nevralgico per il funzionamento economico di queste imprese.
Nel corso degli anni in pochi si sono interessati al monitoraggio delle conseguenze di tali attività, e i tentativi non numerosi di denunciare pericolosità ambientali e sanitarie sono stati messi a tacere con vigore. È come se sui centri di estrazione della Val d’Agri, i più grandi d’Europa, fosse calata un’ombra che ha per lungo tempo distolto i riflettori da un tale primato e portato a disinformazione e mancanza di conoscenza.
Nel 2017 però si è arrivati alla presa di coscienza del grande scandalo ambientale e sanitario che ha successivamente portato a una chiusura temporanea dei centri estrattivi presenti nel territorio.
Questo grazie a un’inchiesta condotta dalla procura di Potenza nei confronti di Eni: sono stati coinvolti i più alti rami del potere centrale e ciò ha portato alle dimissioni del ministro Guidi all’epoca del governo Renzi. Improvvisamente, infatti, è stato reso noto tramite una serie di denunce pubbliche che un malfunzionamento dei serbatoi del centro oli di Viggiano rendeva possibile lo sversamento di enormi quantità (pari a circa 400 tonnellate) di petrolio nella falda acquifera del territorio oltre ad andare direttamente a contaminare l’acqua presente nella diga del Pertusillo, enorme giacimento di acqua potabile usata anche per scopi agricoli in Puglia e Basilicata. Da quel giorno per qualche settimana la Val d’Agri e i suoi giacimenti sono stati netti protagonisti su tutti i giornali italiani, per poi tornare in secondo piano successivamente.
Non è noto come le denunce abbiano portato al sequestro del centro e alla successiva inchiesta giudiziaria, ma si può supporre che esse siano arrivate dall’interno e abbiano dovuto superare diversi livelli di segretezza che hanno potuto indurre facilmente a pensare alla presenza di un impegno più o meno generalizzato verso l’insabbiamento del caso. Inoltre, ci siano stati casi di sospette tragedie poco trasparenti che hanno avuto una connessione con i fatti di Viggiano.
Ciò che infatti ha destato molto scalpore sul piano della cronaca sono stati i casi delle morti piuttosto insolite di Gianluca Griffa e Guido Conti.
Il primo era responsabile per la sicurezza del Centro Oli di Viggiano (Cova): ufficialmente suicidatosi nel 2013, aveva reso noto in un memoriale trovato in seguito i problemi relativi ai serbatoi danneggiati e alle emissioni inquinanti disperse in atmosfera dovute alle perforazioni. Le denunce successive della madre hanno permesso di sapere che i risultati della sua autopsia non sono stati resi noti alla famiglia e, in qualunque caso si sia verificata la sua morte, questo permette di dedurre che Eni fosse a conoscenza dei danni presenti nei propri serbatoi e abbia omesso la realtà dei fatti per non rischiare di dover interrompere le attività.
Il secondo invece, è noto per le sue numerose inchieste in tema di sicurezza ambientale svolte nel ruolo di Generale della Guardia di Finanza; anch’esso ufficialmente morto suicida in circostanze sospette nel 2017, aveva recentemente assunto l’incarico di lavoro con la multinazionale Total che gestisce il centro estrattivo “Tempa Rossa” in Basilicata, in qualità di responsabile ambiente e sicurezza.
L’allarme creatosi, oltre ad aver portato a una condanna per traffico illecito di rifiuti per Eni, ha in seguito condotto allo svolgimento di alcune ricerche indipendenti commissariate dai comuni di Grumento Nova e Viggiano. Queste sono in seguito state svolte dal CNR di Pisa e hanno certificato un vertiginoso aumento dell’incidenza sulla mortalità per tumore nei residenti nelle zone circostanti agli impianti petroliferi, il tutto avvolto in una nuvola di mancata trasparenza informativa e difficoltà di accesso alle informazioni sul piano locale e nazionale che ha sempre contraddistinto questa realtà.
Ma questo dato non è l’unico elemento che dovrebbe creare sgomento e preoccupazione per ciò che accade in Val d’Agri.
Esiste infatti un gas tossico che si chiama H2S, ovvero acido solfidrico, ed è coinvolto nel processo di estrazione insieme ad altre componenti che vengono portate in maniera involontaria in superficie. Le numerose ricerche e gli studi condotti a livello internazionale hanno portato l’OMS a stabilire che esso debba essere bruciato con una presenza effettiva di gas inferiore allo 0,01% data la sua elevata natura cancerogena; ma la particolarità italiana, che sta nell’assenza di una effettiva legislazione che crea quindi un vuoto normativo, di fatto permette che Eni e Total siano arrivati e arrivino a bruciare tale gas fino a quote che sfiorano il 30%, con delle conseguenze difficilmente immaginabili in termini di danni per la salute dei cittadini lucani.
Insomma sembra che in Val d’Agri nulla si muova, che tutto debba rimanere così com’è perché è così che deve essere. Che l’accesso alle informazioni sia reso difficoltoso se si tratta di approfondire il tema da un punto di vista più complessivo, tenendo quindi conto anche della dimensione sanitaria e sociale; e che invece sia molto semplice quando si tratta di ingiustificate glorificazioni di ciò che il petrolio stia producendo in questo territorio, come nel caso dell’articolo del quotidiano Il Foglio.
Il territorio lucano si trova da una parte condannato a rimanere nel dimenticatoio delle priorità politiche dello stato centrale e dall’altro a dover affrontare il duro e tristemente noto conflitto fra diritto al lavoro e diritto alla salute e all’ambiente salubre, raccogliendo però le briciole dei regali di Eni e Total che nulla sono in confronto a ciò che queste aziende stanno causando alla popolazione locale e al suo territorio.