Del: 16 Agosto 2022 Di: Daniele Di Bella Commenti: 0
Olinguiti, storia della scoperta di una nuova specie

È il 2003 e Kristofer Helgen è il curatore della sezione mammiferi allo Smithsonian National Museum of Natural History, quando decide di redigere, insieme ad alcuni colleghi, il primo studio ad ampio spettro sugli olingos (Bassaricyon), piccoli carnivori arboricoli afferenti alla famiglia dei Procionidi. Uno studio di questo tipo richiede la consultazione di immense moli di materiale che comprendono documenti scritti, prove fotografiche e reperti provenienti da musei.

«Mentre mi trovavo al Field Museum di Chicago,» dice Helgen, «ho aperto un cassetto e vi ho trovato alcune pelli di carnivori che non avevo mai visto prima. Erano coperte da un fluente manto rossiccio.» Analizzando meglio questi reperti, diventava sempre più difficile ricondurli a una specie conosciuta del genere Bassaricyon: le orecchie erano più piccole e più pelose, il manto più denso e più lungo e la coda, senza strisce distinguibili, proporzionalmente più corta rispetto al resto degli altri olingos. Occorreva approfondire.

Le analisi dei teschi di questi animali confermarono i sospetti di Helgen: le forme dei crani erano insolite, ed i denti troppo piccoli rispetto agli altri olingos. Aveva scoperto una nuova specie.

Purtroppo, tutti i reperti a disposizione erano stati raccolti durante il XX secolo, dunque non era possibile stabilire, solo sulla base di quelli, se alcuni olinguiti (a causa delle piccole dimensioni si incominciò a utilizzare questo nome per riferirsi informalmente alla nuova specie) fossero ancora presenti sul pianeta o se la specie si fosse estinta nel corso degli anni.

Era ormai il 2006 e, grazie alle sue indagini, Helgen era riuscito a circoscrivere un areale in cui cercare la nuova specie: le foreste nebulose delle Ande colombiane ed ecuadoriane. Contattò quindi Roland Kays, direttore del Biodiversity and Earth Observation Laboratory presso il North Carolina Museum of Natural Sciences, al fine di organizzare una spedizione sul campo, che venne effettuata qualche tempo dopo a fronte di ottimi auspici: prima che partissero, Miguel Pinto, uno zoologo ecuadoregno, aveva inviato ai due studiosi una sgranata registrazione che ritraeva un piccolo carnivoro del genere Bassaricyon. Non c’erano dubbi, era l’olinguito.

Helgen e Kays si gettarono a capofitto all’interno di un ecosistema che sembrava perfetto per ospitare una specie misteriosa: le foreste nebulose hanno questo nome poiché si tratta di umidi boschi sempreverdi caratterizzati da una persistente coltre di nebbia che rimane a bassa quota. Non sono tipiche del Sudamerica, si trovano anche in Africa e nel Sud-est asiatico, ma le Ande ne posseggono di spettacolari, ricettacoli di specie che non è possibile trovare altrove, molte delle quali, purtroppo, minacciate o in pericolo.

Ecuador

Qui, Helgen e Kays appurarono che l’olinguito (che nel frattempo era stato nominato Bassaricyon neblina, dal termine che in spagnolo significa ‘nebbiolina’) non era estinto in natura.

Inoltre, riuscirono ad ottenere nuovi dati sulla specie: si tratta di un animale prevalentemente notturno, strettamente arboricolo e che si nutre prevalentemente di frutta. Pare insolito che un appartenente dell’ordine Carnivora si nutra di vegetali, ma non è l’unico caso. Il panda gigante, ad esempio, afferisce al medesimo gruppo e si nutre di bamboo.

Il 15 agosto di nove anni fa, Helgen e Kays annunciarono la scoperta della specie e redassero un lungo articolo nel quale riportarono non solo le informazioni che avevano raccolto riguardo a Bassaricyon neblina, ma anche le osservazioni che avevano condotto sull’ecosistema che esso abita.

Purtroppo, nonostante le foreste nebulose andine rechino diversi benefici agli esseri umani (non solo a quelli che vivono in prossimità delle stesse), la galoppante crescita industriale di Ecuador e Colombia non sembra riuscire ad essere meno aggressiva nei loro confronti: il 42% dell’habitat storicamente idoneo per la sopravvivenza degli olinguiti è stato disboscato e convertito a territorio urbano o agricolo, e un ulteriore 21% non è antropizzato, ma è largamente deforestato. Soltanto il rimanente 37% (40 760 km2) rimane adatto per la sopravvivenza della specie.

Di fronte a questi dati scoraggianti, Helgen e Kays speravano che Bassaricyon neblina potesse diventare una specie bandiera, che concentrasse l’attenzione degli esseri umani su un territorio prezioso che sta venendo velocemente eroso. La scoperta della specie venne accompagnata da una larga copertura mediatica, e per circa un anno tale speranza sembrò concretizzarsi: diversi cittadini spedirono ai due scienziati prove fotografiche che aiutarono ad affinare la conoscenza umana riguardo a Bassaricyon neblina.

Sono state individuate, in Colombia, alcune nuove aree che potrebbero supportare la presenza della specie, ed è stato appurato che essa vive in condizioni di intensa umidità, a una temperatura media di 17.7°C e non sopra i 2890m s.l.m.

La variazione di questi parametri potrebbe rivelarsi pericolosissima per gli olinguiti che, quindi, come il resto delle specie che abitano le foreste nebulose, sono molto vulnerabili al cambiamento climatico.

Per tale motivo sono stati classificati come near threatened dall’IUCN. Come riportano Helgen e Kays nel loro articolo, «la sopravvivenza sul lungo termine di B. neblina dipenderà dalla conservazione dei frammenti che rimangono di queste foreste, e dalla restaurazione degli habitat degradati, in modo da mantenere la connettività fra le popolazioni.»

Daniele Di Bella
Sono Daniele, da grande voglio fare il biofisico, esplorare l'Artide e lavorare in Antartide. Al momento studio Quantitative Biology, leggo, mi interesso di ambiente e scrivo per Vulcano.

Commenta