Del: 16 Settembre 2022 Di: Giulia Riva Commenti: 0
Elezioni in Svezia l'ascesa dell'estrema destra

Domenica 11 settembre si sono tenute in Svezia le elezioni per il rinnovo del Riksdag (il Parlamento monocamerale di 349 seggi) e dei consigli regionali e comunali.

Se i sondaggi elettorali, confermati dai primi risultati, davano la coalizione di centro sinistra (tra il 49,6% e il 51,6%) in leggerissimo vantaggio sulla destra (47,6-49,4%), le previsioni sono rapidamente mutate a causa del risultato storico ottenuto dai Democratici svedesi (SD), partito di estrema destra di crescente successo.

Pur seguendo i Socialdemocratici (30% dei voti circa), partito leader del centro-sinistra guidato dalla premier uscente Magdalena Andersson, come secondo partito più votato, l’SD ha ottenuto più del 20% dei voti, superando così i Moderati conservatori (19% dei voti) guidati da Ulf Kristersson e considerati primo partito della coalizione di centro-destra.

Ciò ha di fatto stravolto i rapporti di forza all’interno di quest’ultima, profilando la possibilità di un governo guidato dallo stesso leader dei Democratici svedesi, il quarantatreenne Jimmie Akesson.

L’SD è di fatto diretto discendente dei neonazisti svedesi, fuoriuscito dal movimento Keep Sweden Swedish, e in Parlamento Europeo fa parte del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR), dal 2020 guidato da Giorgia Meloni.

Akesson si unì ai Democratici Svedesi nel 1995, dopo una prima esperienza tra i Moderati conservatori, che scelse di abbandonare per l’orientamento a suo parere troppo europeista e a seguito dell’espulsione del segretario Anders Klarstrom, appartenente alla formazione suprematista Nordiska Rikspartiet.

Akesson ha in seguito assunto la leadership del partito nel 2005, quando la base elettorale era ancora del 1%. Ha quindi puntato tutto su un processo di rinnovamento (apparente) del SD, lavorando per normalizzarlo e aumentarne i consensi, espellendo le frange più radicali e sostituendo l’originario logo con la fiamma con quello più rassicurante di una margherita blu.

Riuscito nel 2010 a portare nel Parlamento di Stoccolma 20 deputati, con il 5,7% di voti, ha ottenuto un altro successo nel 2014, vedendo aumentare la base di consenso fino al 10,4% e divenendo così terza forza nazionale alle elezioni, vinte comunque dalla coalizione di centro-sinistra. Espulsi negli anni successivi altri membri che avevano espresso pericolose tesi razziste e filo-naziste (tra questi anche la stessa suocera di Akesson, per le posizioni apertamente antisemite), nel 2018 l’SD ha infine raggiunto il 17,2% dei voti, portando in Parlamento ben 62 deputati.

Proprio nel 2018 l’SD è dunque entrato per la prima volta nella coalizione di centro-destra con i Moderati conservatori e i Cristiano democratici, in alcuni comuni come quello di Sölvesborg, città natale di Akesson divenuta roccaforte del partito.

Giungiamo quindi alle elezioni dello scorso 11 settembre, preparate da una campagna elettorale senza esclusione di colpi e giocata quasi interamente su un unico tema che l’SD è riuscito ad imporre come cruciale: l’immigrazione.

Già in prossimità delle elezioni del 2018, del resto, il senatore Matteo Salvini aveva fatto i propri auguri a Jimmie Akesson, affermando che «come denuncia il partito dei Democratici svedesi, la generosità dello Stato fa da calamita per una miriade di clandestini».

Al centro della questione c’è dunque anche la gestione del Welfare State svedese che, secondo la posizione del SD, dovrebbe privilegiare prioritariamente i cittadini nativi.

Cavalcando la critica al governo socialdemocratico in carica, in merito alla gestione della pandemia da Covid19 e della crisi energetica, l’SD ha potuto sfruttare anche il recente aumento della criminalità in Svezia, a lungo considerata uno dei Paesi più sicuri al mondo, e il senso di insicurezza sperimentato dai cittadini.

Alle argomentazioni populiste sfruttate dall’intera coalizione di centro-destra, che hanno legato le violenze delle gang alla crescita delle comunità di immigrati nel Paese, si è più o meno imprevedibilmente adeguata anche la leader dei Socialdemocratici e premier Magdalena Andersson, giungendo ad affermare a pochi giorni dalle elezioni: «Non vogliamo Chinatown in Svezia, neanche Somalitown o Little Italy».

Gli stessi partiti della coalizione di destra hanno di fatto cambiato radicalmente la propria posizione ammettendo i Democratici svedesi, fino al 2018-2019 marginalizzati per le loro posizioni razziste e filonaziste, entro la coalizione stessa prima a livello locale e poi in Parlamento, contribuendo così a normalizzarli e introdurli nell’arco costituzionale.

Le posizioni estremiste dei DS hanno dunque continuato a raccogliere crescente approvazione, anche in seguito ai disordini dello scorso aprile, scatenati dall’avvocato Rasmus Paludan, leader e fondatore del partito anti-islamico e xenofobo Stram Kurs.

Paludan aveva infatti organizzato svariate manifestazioni anti-islamiche in molte città del Paese e annunciato di voler bruciare in pubblico copie del Corano; ciò scatenò animate contromanifestazioni da parte di membri delle comunità musulmane nel sud del Paese e gli scontri violenti tra questi ultimi e la polizia.

In tale occasione la premier Andersson aveva sottolineato che «In Svezia è permesso esprimere le proprie opinioni, anche quelle di cattivo gusto, ed è parte della nostra democrazia»; sollevando così per l’ennesima volta la spinosa (e irrisolta) questione di dove (e se) debba finire la libertà d’espressione, anche in rapporto al rispetto dell’altro.

Proprio per cercare di togliere voti all’estrema destra, il ministro della Migrazione, Anders Ygeman, aveva proposto di seguire l’esempio della vicina Danimarca per risolvere il problema dei ghetti: integrando i quartieri abitati da soli stranieri (negli ultimi 10 anni sono stati molti i rifugiati di Africa, Asia e Medio Oriente a stabilirsi nel Paese, in aree presto divenute sovraffollate) con almeno il 50% di popolazione autoctona.

Che si ipotizzino forme di integrazione (più o meno realizzabili) o che si affermi piuttosto la necessità di rimandare gli immigrati nei Paesi di provenienza, come fanno i Democratici svedesi, la questione si è comunque ormai affermata come imprescindibile, mettendo in luce come anche in un Paese da sempre considerato roccaforte della socialdemocrazia l’incertezza di questo periodo storico, la diffidenza reciproca ed un razzismo latente continuino a piagare la società civile.

Nella serata di mercoledì 14 settembre, dopo un lungo scrutinio, sono infine giunti i risultati definitivi di queste elezioni, che hanno visto il centro-destra trionfare con un margine assai ridotto di voti (il 49,6% contro il 48,9%).

Già mentre si contavano gli ultimi voti sono giunte le dimissioni di Magdalena Andersson, che, subentrata a fine novembre 2021 come prima premier donna alle dimissioni del predecessore, Stefan Lofven, si è tuttavia confermata leader del partito più votato.

Durante i 10 mesi trascorsi alla guida di un governo di minoranza, la Andersson aveva impresso una svolta storica alla politica estera svedese, esprimendo pieno appoggio all’Ucraina e decidendo, con ampio consenso della popolazione, per l’ingresso del Paese nella NATO, dopo la formale neutralità mantenuta fino ad oggi.

Nonostante tutto ciò, ora sarà la destra a guidare il Paese, con una maggioranza risicata nel Riksdag di 176 seggi contro 173.

Si pensa che a ricoprire la carica di Primo ministro non sarà però Jimmie Akesson, di fatto vincitore di queste elezioni insieme con i Democratici svedesi, bensì Ulf Kristersson (Moderati conservatori): anche perché gli stessi partiti di centro-destra avevano affermato durante la campagna elettorale di non voler supportare un governo a guida SD e con membri del partito in posizioni chiave.

Resta ora da vedere come l’arretramento dei Moderati conservatori e il mutamento delle gerarchie entro la coalizione impatteranno sulle promesse fatte in precedenza: l’appoggio del SD risulta ormai imprescindibile per la formazione di un governo e i partiti di centro-sinistra non esitano a denunciare la minaccia per la democrazia.

Giulia Riva
Laureata in Storia contemporanea, sto proseguendo i miei studi in Scienze Politiche, perché amo trovare nel passato le radici di oggi. Mi appassionano la politica e l’attualità, la buona letteratura, le menti creative e ogni storia che valga la pena di essere raccontata. Scrivere per professione è il mio sogno nel cassetto.

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