Del: 27 Settembre 2022 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
Povertà in Italia, un allarme sempre più drastico

Il dibattito sulla povertà in questa campagna elettorale è stato affrontato in maniera ideologica e senza il supporto di dati che evidenzino chiare tendenze, polarizzando spesso la questione e utilizzando il meccanismo della colpa nei confronti di chi ha meno e ha bisogno di essere aiutato.

Il concetto di policrisi è stato introdotto recentemente all’interno della sociologia economica dal filosofo e sociologo francese Edgar Morin. Esso fa riferimento di fatto ad una molteplice crisi la cui principale caratteristica è quella di colpire su più fronti contemporaneamente. Il periodo storico che stiamo attraversando, almeno da due anni a questa parte, non può che essere facilmente inserito nel campo di questa definizione. Staremmo infatti vivendo una policrisi, dal momento che alle crisi climatica e sociale, latenti ma che costantemente mietono danni economico-sociali, si sono aggiunte prima la crisi sanitaria innescata dalla pandemia di covid-19, con le relative conseguenze devastanti, e poi più recentemente la crisi politica, innescata dall’invasione russa dell’Ucraina all’interno del contesto della guerra del Donbass, trasformatasi poi anch’essa in crisi economica ed energetica favorita anche da una speculazione finanziaria ancora in atto.

Vari settori dell’economia europea si trovano dunque sotto grande pressione.

A farne le principali spese sono le fasce di popolazione più svantaggiate e con livelli di reddito inferiori, permettendoci senza difficoltà di affermare che esiste in Italia una vera e propria emergenza povertà e che, indipendentemente dal racconto che ne possono fare forze politiche e media, essa viene certificata dall’osservazione dei dati prodotti e recentemente pubblicati.

Per avere una panoramica complessiva occorre partire con un’analisi di quella che è stata definita e glorificata come ‘ripresa post-Covid’ che, indipendentemente dal governo in carica alla guida del paese, sarebbe comunque avvenuta poiché favorita dal cosiddetto rimbalzo del PIL dopo la forte crisi prodotta dai lockdown e le altre chiusure dei mesi precedenti. Nel 2021 il PIL italiano ha infatti avuto un vertiginoso aumento del 6,6% dopo essere drasticamente calato nei mesi precedenti, ma i dati sulla povertà non hanno avuto alcuna variazione. Nello specifico fra l’anno 2020 e il 2021 a fronte della crescita economica corposa citata precedentemente, il numero di poveri assoluti presenti nel nostro paese è rimasto invariato e pari a 5,6 milioni (di cui 1,4 minori). A partire da questo elemento potremmo strutturare una riflessione più ampia sulla natura ormai evidentemente anacronistica del Prodotto interno lordo come indicatore della misura di benessere economico e sociale di un paese, ma non essendo questa la sede possiamo limitarci a riconoscere come la ripresa avvenuta successivamente alla pandemia sia stata diseguale e abbia coinvolto solo le fasce più ricche.

Allo stesso modo è utile invece porre l’attenzione su due dati più recenti, inerenti al tema della povertà che rendono efficacemente conto di quello che è l’impatto del problema sul paese in questo preciso momento. Il primo dato è quello certificato dall’Eurostat in una relazione ancora provvisoria ma del tutto attendibile, nella quale ciò che sembra emergere a livello europeo è un incremento preoccupante del fenomeno della povertà. Si stima infatti sia aumentata di circa 600 mila unità solo fra il 2020 e il 2021. La stessa relazione invece, soffermandosi sul caso italiano, conclude con l’evidenziare che il trend europeo è addirittura accentuato in Italia; dove le persone a rischio povertà sono il 25,2% dell’intera popolazione (coefficiente in lieve incremento rispetto al 2020) contro una media europea del 21,7% (per intenderci in paesi come Francia e Germania questo dato si aggira attorno al 19-21%).

Il secondo e non meno rilevante dato a nostra disposizione attiene invece al tema della distribuzione complessiva della ricchezza nel nostro paese, dove un recente report di Bankitalia dimostra come le disuguaglianze patrimoniali in Italia rispetto all’ultima tornata elettorale siano in aumento e maggiori del previsto. La metà della ricchezza presente è infatti in possesso solamente del 7% della popolazione più ricca del paese, mentre al 50% della popolazione rimane la quota del solo 8% di ricchezza complessiva. Un dato estremamente polarizzato, che vede al suo interno una classe media sempre più compressa.

A fronte di questi dati preoccupanti la risposta della politica è stata almeno fino ad oggi nelle intenzioni piuttosto indecisa e insignificante.

Nel corso della campagna elettorale appena conclusa la questione di cui abbiamo parlato è stata spesso toccata ma solo ed esclusivamente in relazione al tema del Reddito di cittadinanza e a quali saranno, nel corso della prossima legislatura, le intenzioni dei partiti in merito a questo schema di reddito minimo.  Il contrasto alla povertà è infatti una delle due grandi ragioni che hanno portato all’introduzione del RdC nel 2019, probabilmente l’unico degli obiettivi raggiunti. L’Istat ha infatti certificato proprio come questa misura sia stata determinante nel mantenere circa 1 milione di persone al di fuori della soglia di povertà. Il versante delle politiche attive è invece stato il lato della misura laddove le cose non hanno funzionato e, indipendentemente da quale sarà l’esito delle urne, è altamente probabile che nella prossima legislatura ci saranno ulteriori interventi correttivi su questo fronte.

Proprio in virtù di questa recrudescenza di povertà innescata dalle molteplici crisi che stiamo vivendo, in tutta Europa la direzione politica intrapresa da vari governi, due fra tutti quelli di Spagna e Germania, è quella di dare maggiore corposità agli schemi di reddito minimo presenti e ridurre le condizionalità per potervi accedere, favorendo inoltre gli investimenti su politiche attive e formazione dei percettori. Il paradosso del dibattito italiano sta invece nell’assurdità di quelle forze politiche che in questa campagna elettorale hanno addirittura fatto della guerra ai poveri il loro cavallo di battaglia, concentrandosi sull’eliminazione del RdC come obiettivo finale delle loro intenzioni politiche, una tendenza già consolidata nel nostro sistema politico che ha portato in passato importanti sociologi come Chiara Saraceno a parlare di una ‘assurda retorica anti-poveri’ presente nel nostro paese.

È chiaro a tutti che la lotta alla povertà non si può e non si deve fermare alla difesa del RdC e che lo stesso ha bisogno di correttivi.

È giusto essere aperti ad essi, ma l’efficacia del provvedimento è suffragata dai dati, e la negazione di questo fatto di realtà rischia di avere un impatto estremamente negativo da un punto di vista sociale. Inoltre, il tema della povertà è purtroppo trasversale e non si limita alla mancanza di occupazione ma dipende anche e soprattutto dalla sua qualità; dal momento che ci sono oggi in Italia circa 4 milioni di persone che pur lavorando non raggiungono livelli di reddito lordo pari a 1000 euro al mese. Ed è per questo che accanto alla difesa del reddito minimo garantito va portata avanti la battaglia per il salario minimo orario, che è oggi sulle bocche di tutti nello spazio del centrosinistra, ma solo domani avremo occasione di verificare chi veramente difenderà e lotterà per questa misura. La certezza che ci rimane per il momento è che quando si affronta il tema della povertà occorre meno ideologia e più oggettività basata sull’osservazione dei dati riportati dagli istituti di ricerca e che il prossimo governo, a prescindere dal colore, dovrà necessariamente occuparsi del tema in maniera urgente.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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