Il Tempio del Futuro Perduto, spazio autogestito nato nel 2018, a pochi metri dal Cimitero Monumentale di Milano, è uno di quei luoghi di cui è impossibile non rimanere affascinati. L’energia pulsante che lo anima, infatti, finisce inevitabilmente per magnetizzare chiunque vi entri, facendolo sentire parte di un universo parallelo e intriso di armonia. Una volta che si varca la sua soglia non si può fare a meno di percepire la forza che viene sprigionata da ogni suo angolo e di instaurarci una profonda e intensa connessione.
Centro culturale, multidisciplinare e polifunzionale, il Tempio si propone sia come luogo di ricerca e di sperimentazione artistica che come spazio di solidarietà, accoglienza e condivisione. Uno dei motivi per cui tale luogo ha avuto tanto risonanza a livello sociale, non a caso, è stato il Muro della Gentilezza. Chiunque si trovi nei pressi di via Luigi Nono, di fatto, non può non notare i vestiti appesi alle pareti esterne dell’edificio, consegnati gratuitamente ai volontari e messi a disposizione per i più bisognosi.
La storia del Tempio prende avvio circa 5 anni fa, quando lo stabile dove ha sede ancora oggi, all’epoca destinato a uno stato di eterno abbandono, è stato oggetto di un’opera di riqualificazione. Gli interventi dei primi due anni, volti a rigenerare uno spazio di cui nessun ente pubblico voleva prendersi cura, hanno dato genesi agli spazi-emblema del sito: l’Agorà, la Mediateca, il Giardino, il Muro della Gentilezza e Sala Nera.
Fin dai suoi albori, il Tempio si è proposto come un luogo di sana aggregazione, rivolto a chiunque ami la musica e le arti performative.
Tale idea, assieme al proposito di occuparlo (in maniera tuttavia illegale) nelle fasce diurne con attività attinenti alla danza, ha dato il via, in principio, al progetto Daylight, messo a punto da tre giovani danzatrici. L’obiettivo delle tre co-founders, a cui poi si è aggiunto un numeroso collettivo di artisti, era specialmente quello di ribellarsi alla formazione rigida, oltre che all’arrivismo e all’individualismo, che contrassegnano problematicamente gli ambienti della danza. Le giovani ballerine sono diventate dunque artefici di uno spazio sui generis, dove la danza si propone come espressione libera ed è sinonimo di gioia e di benessere fisico e mentale. L’intento era inoltre di dissociarla da quell’idea di distruttivo perfezionismo e di estenuante sacrificio che caratterizza l’ambito accademico-teatrale.
Nel 2022 il progetto Daylight ha subito una metamorfosi, dando origine a Sala Nera: un concept nato proprio a gennaio di quest’anno che sta portando avanti l’idea di uno “spazio fisico” da riempire con i movimenti del corpo e non solo. Negli intenti del nuovo progetto, infatti, la gestione di tale luogo non sarebbe avvenuta meramente con la danza. Per tale ragione, al Tempio, si sono organizzati corsi di yoga, autodifesa, teatro, sperimentazione corporea e meditazione.
L’idea che sta alla base di ogni attività è di concedere spazio ad aspetti artistici, olistici e personali. Nella Sala, infatti, ognuno è libero di avanzare le proprie proposte, anche le più avanguardistiche, che vengono successivamente intercettate e concretizzate in uno spazio che nasce, appunto, per essere sperimentale e libero. Tali attività hanno luogo in una sala oscura, illuminata solamente dalla luce esterna (appunto, la Sala Nera) e sono rivolti a chiunque voglia prendersi cura non solo di sé ma anche del Tempio, il quale vive grazie a chi lo anima con la propria presenza.
Ciò che rende il Tempio un centro artistico completo è il suo essere un luogo di intrattenimento che, con le sue serate evento, dedicate in particolare alla musica tecno, si prefissa l’obiettivo di garantire un divertimento sano, associato a un’arte di qualità, indirizzato a tutti coloro che sono intenzionati a cercarlo non tanto nell’eccesso, quanto nelle incursioni performative, nelle installazioni corporee magistralmente preparate e nella qualità del dj set.
Stiamo parlando, insomma, di una forma di svago quasi sconosciuta e rara nel nostro Paese, somigliante a ciò che si si può godere piuttosto nei club del nord Europa, a cui il Tempio si richiama.
Se ci si sofferma, in particolare, sulle performance che animano le serate-evento, che hanno luogo principalmente il sabato, ci si rende conto che si basano su un lavoro coreografico che deve tenere conto dell’imprevisto (il quale è sempre dietro l’angolo e che, per questo, necessita di un gruppo coeso) e su uno sforzo di memoria e di fiato sconosciuto e invisibile all’esterno. Le incursioni performative in questione, come ci racconta la co-founder e performer Silvia Fontana, a differenza delle installazioni corporee, hanno il loro fulcro nella velocità, nella reattività e in quei quadri ciclici, ripetitivi e ipnotici che sono poi reiterati nei brani tecno che riecheggiano nelle sale.
Il Tempio, tuttavia, continua a dirci Silvia, non è un luogo preposto alla danza, ma piuttosto un contesto che, a metà tra lo spazio di intrattenimento e quello artistico, funge da cassa di risonanza a una musica che accelera quel processo di integrazione simbiotica tra le performance proposte, il sottofondo musicale e lo spettatore stesso. A quest’ultimo infatti, una volta coinvolto da ciò che fruisce a livello uditivo e visivo, non resta che aderire sia fisicamente che spiritualmente a una danza che prende sempre di più le sembianze di un rituale sacro e collettivo. E tale è proprio l’obiettivo che si prefissa Mechanica: trasmettere, mediante le coreografie proposte, dei contenuti artistici che siano in grado di amplificare il senso della musica e quindi di innescare nel pubblico un desiderio incontenibile di ballare e un coinvolgimento totale e armonico.
Riunire un collettivo di artisti in tale spazio si sta rivelando fondamentale per creare una realtà dove l’arte non solo venga apprezzata e difesa ma soprattutto riconosciuta sia come collante sociale che come stimolo per organizzare e patrocinare eventi costruttivi e artisticamente validi, che permettano a un sito come il Tempio di riemergere dalle macerie e continuare a vivere. Ci troviamo davanti a un caso esemplare dove l’Arte (ri)genera e sostenta sé stessa, il che conferisce al Tempio un vero e proprio primato in un Paese dove chi pratica arte fatica a guadagnare, e non solo in termini economici.
L’ambizione di chi ha permesso al Tempio di rinascere è quindi di curare un luogo che un tempo era abbandonato a sé stesso e che aveva limitate (se non nulle) prospettive future e nutrirlo con la danza, con dei contenuti e soprattutto con la volontà di Esserci e di attivarsi per permettergli di vivere.
Ma il Tempio detiene anche un altro primato.
A differenza di altre realtà autogestite verso cui sono state sporte denunce verso ignoti ─ e che ancora oggi sono sotto accusa ─ per aver invaso illegalmente terreni di proprietà pubblica, il Tempio, dopo essere stato citato in giudizio nel 2018 da Palazzo Marino, ha deciso di reagire, procedendo per vie legali.
Tommaso Dapri, il fondatore del Tempio, ha risposto infatti in prima persona alle contestazioni del Comune e ha accettato di portare avanti il processo, il cui esito positivo è stato fondamentale per avviare la legalizzazione del Tempio. Dapri infatti è stato assolto da tutte le accuse, sia perché «il fatto non costituisce reato», sia per la «mancanza dell’elemento soggettivo del reato (il dolo)», siccome lo scopo dell’occupazione dello stabile non era «da rinvenirsi nel profitto, ma nello svolgere opere di rigenerazione urbana e beneficenza».
Tale conclusione del processo ha quindi simboleggiato la volontà e l’urgenza di salvaguardare un luogo che sta diventando non solo sempre più rilevante a livello artistico ma anche, e specialmente, un punto di riferimento per i giovani.
La legalizzazione di uno spazio come il Tempio, tuttavia, potrebbe non sembrare così tanto utopica in una città come Milano che si è sempre mostrata dinamica, all’avanguardia e connessa con il futuro. Non ci si stupirebbe infatti se in un domani si popolasse di centri simili, i quali, in fondo, sono consoni al suo essere immancabilmente al passo con le tendenze dettate dal progresso.
Tuttavia, se si pensasse di esportare un progetto simile in altre città italiane, come ad esempio nel Sud Italia, l’impatto sociale potrebbe essere anche nettamente superiore, soprattutto in quei contesti dove un gemello del Tempio potrebbe fungere, specialmente per le nuove generazioni, da alternativa alle realtà criminali locali e da punto di riferimento, se non di svolta.
Capire che la cultura non è un reato e incentivare realtà come questa nel nostro Paese non sarebbe dunque che un enorme passo in avanti per promuovere un Futuro dove l’arte, la bellezza, la solidarietà e soprattutto la libertà avranno lo spazio che meritano.