Sullo sfondo dell’apparente mobilitazione parziale di oltre 300,000 nuovi soldati voluta dal presidente russo, mercoledì 21 settembre, la Russia ha indetto, a partire da venerdì 23 settembre, una serie di referendum nelle zone occupate dell’Ucraina. Questi referendum, della durata prevista di cinque giorni e alcuni pianificati già a partire dai primi mesi dell’invasione, vertono sulla possibilità delle regioni occupate di divenire entità autonome dall’Ucraina per poi diventare parte integrante del territorio della Federazione Russa.
Le votazioni stanno avendo luogo non solo nelle autoproclamante repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk, ma anche nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhya.
Attualmente la Russia non controlla in maniera solida nessuno di questi territori, in cui le ostilità proseguono tutt’ora e da cui la maggior parte della popolazione civile è fuggita in seguito all’inizio dell’invasione. La Russia ha già giocato la carta del referendum nel 2014, in seguito all’invasione della Crimea, indicendo una votazione dichiarata illegale dalla comunità internazionale. Il controverso e discutibile esito positivo di quest’ultima ha portato all’annessione unilaterale della penisola alla Russia. Non si è fatta attendere la reazione internazionale agli attuali referendum. Se da una parte Mosca ha annunciato che si impegnerà ad aiutare i nuovi territori annessi alla Federazione Russa, in caso il voto sancisca tale risultato, dall’altra le votazioni sono considerato una farsa dall’amministrazione Biden e dal G7. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres le ha descritte come una violazione dello Statuto delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
L’Unione Europea ha annunciato l’intenzione di imporre nuove sanzioni alla Russia, mentre il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha promesso un aumento degli aiuti materiali all’Ucraina in risposta alle votazioni. Le autorità ucraine avevano già annunciato in precedenza che non avrebbero mai riconosciuto alcun tipo di annessione territoriale da parte russa, sia essa di tipo militare o elettorale, aggiungendo che la controffensiva in atto nell’est del paese non verrà interrotta qualsiasi sia il risultato del voto. Anche paesi che finora hanno mantenuto un approccio più morbido nei confronti della Russia, quali India e Cina, hanno espresso il proprio disappunto, tanto che la prima ha affermato di supportare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’annessione delle regioni occupate, l’esito che appare il più scontato, potrebbe portare ad un’escalation delle violenze da parte russa, in quanto gli attacchi delle forze ucraine verrebbero considerati come attacchi diretti alla Russia, portando quest’ultima a minacciare anche l’uso di armi nucleari come dichiarato su Telegram dell’ex-presidente Dmitry Medvedev, attuale vicecapo del consiglio di sicurezza russo.
Non è ben chiaro però quanto sia sostanziale o credibile la minaccia di ritorsioni più dure da parte di Mosca, in quanto nei mesi scorsi vi sono già stati diversi attacchi sul suo suolo nazionale o su territori che già considera come suoi, ovvero la Crimea, a cui non sono seguiti significativi aumenti dell’intensità dei combattimenti.
Secondo il sindaco in esilio di Melitopol, Ivan Fedorov, i referendum sono una scusa per annunciare in maniera ufficiale che la Russia, nella fattispecie i territori ucraini invasi e annessi, è direttamente sotto attacco da parte dall’Occidente e dalla NATO, poiché questi foraggiano di armi l’Ucraina, giustificando pertanto la mobilitazione. Si ripeterebbe quindi in parte, sempre secondo Fedorov, il copione visto il 19 febbraio con la mobilitazione dei cittadini delle repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk, a cui era seguito il riconoscimento di queste come parte integrante della Russia. È da sottolineare come la Russia stia avendo gravi difficoltà a reclutare abbastanza soldati per combattere in Ucraina, nonostante il numero ufficiale di soldati russi morti in azione da febbraio sia 5937, tanto da aver indetto la già citata mobilitazione parziale di mercoledì, la quale sembrerebbe interessare maggiormente le aree orientali della Russia abitate principalmente da minoranze etniche, nonché aver iniziato a reclutare possibili soldati tra i detenuti. Finora, infatti, Putin ha tentato di evitare di mandare in Ucraina gli abitanti delle maggiori città russe, specialmente di Mosca e San Pietroburgo, per cercare di mantenere un’apparenza di normalità ed evitare malcontenti popolari.
Nel frattempo, dai territori occupati in cui sono in corso i referendum giungono notizie di persone costrette a votare a favore dell’annessione al posto di altri più volte di seguito o di militari presenti per sincerarsi che il voto espresso coincida con l’esito voluto dal Cremlino.
Tutto ciò nonostante l’agenzia di stampa russa TASS affermi che, per garantire il corretto svolgimento delle votazioni, sul campo siano presenti centinaia d’osservatori internazionali, provenienti da Europa, Sud America e Africa. Citando ragioni di sicurezza, gli ufficiali elettorali filorussi hanno annunciato che i seggi fisici veri e propri saranno aperti solo l’ultimo giorno del referendum, ossia martedì 27 settembre. A queste votazioni possono partecipare anche gli ucraini rifugiati o sfollati in Russia. Nel frattempo il voto sta avvenendo secondo diverse modalità: online, oppure in seggi mobili allestiti in parcheggi e altri luoghi pubblici quali bar e cortili, o casa per casa, con clip che circolano sui social media in cui si vede un gruppo di funzionari elettorali accompagnati da un paio di uomini armati intenti a raccogliere i voti porta a porta portando con sé l’urna elettorale. Malgrado la popolazione venga costretta a votare, i referendum non sembrano essere particolarmente apprezzati. Agenzie di stampa russe hanno riportato un’affluenza media che fluttua tra il 15% e il 24% a seconda della regione, mentre sono diverse le testimonianze, riportate dalla BBC, di persone che hanno tentato di evitare di votare, facendo finta di non essere in casa o di aver dimenticato i documenti. Considerate l’intimidazione a cui è soggetta la popolazione civile e la vistosa assenza di rigore ed integrità del processo elettorale, il risultato dei referendum appare già deciso in partenza e via via sempre più scontato.
Articolo di Lorenzo Pellegrini