Brescia non è una grande città, ma qualcosa sta cambiando.
A settembre ha aperto il Centro Aristofane, con la volontà di contrastare le discriminazioni basate su orientamento sessuale ed identità di genere. La gestione è in mano all’Associazione ADL a Zavidovici, Arcigay Orlando Brescia e Centro antiviolenza Butterfly. Il progetto è stato promosso da UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e dal Dipartimento per la Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri.
I servizi offerti sono molti: si va dall’assistenza legale all’ascolto e counseling, insieme all’inserimento lavorativo ed altro ancora.
Un’equipe di professionistə si impegna a riunire le proprie competenze per offrire un supporto alle persone della comunità LGBTQIA+ che si sentono vittime di discriminazioni. Questo luogo vuole diventare uno spazio di ascolto e sostegno sicuro, in cui gli stereotipi vengano lasciati fuori dalla porta, con l’intento finale di costruire una società che tuteli i diritti delle persone.
La creazione del centro nasce come risposta ad un’esigenza: le discriminazioni verso lə membrə della comunità LGBTQIA+ sono all’ordine del giorno e a Brescia non esisteva ancora una realtà operante in questo senso. I centri anti-discriminazioni sono sempre più fondamentali in un paese in cui il primo partito vorrebbe una riduzione degli spazi e della parola di una comunità che, molto spesso, viene presa di mira da chi si sente parte di una presunta normalità.
Uno degli obiettivi fondamentali è anche la raccolta dati su questa tematica. Ad oggi non abbiamo dei numeri riguardanti le discriminazioni sul territorio bresciano, ci sono dati nazionali, europei, internazionali, ma nel locale si aggira una nebbia molto fitta. Le realtà che sostengono questo centro vogliono fare chiarezza, raccogliere le segnalazioni e numerarle, per poter fornire dei dati reali di ciò che accade sul territorio.
Potrebbe sembrare soltanto una collezione di francobolli fine a se stessa, ma con i numeri alla mano ci si può muovere e chiedere un dialogo più costruttivo alle istituzioni, anche in realtà piccole come Brescia.
Gli unici dati che abbiamo a disposizione riguardano realtà più ampie, come l’Unione Europea, ad esempio.
Secondo un’indagine della FRA (European Union Agency for Fundamental Rights) condotta nel 2020 in Unione Europea, il 53% delle persone, nella fascia 15-17 anni, è stata vittima di discriminazione in almeno un ambito della vita. Un numero elevato, considerando che le percentuali si alzano quando si tratta di persone transgender (69%) o intersex (62%).
Numero enorme, se pensiamo che sono stati considerati più momenti della vita di una persona, come il lavoro, l’università, la scuola, la frequentazione di negozi, bar, ristoranti, caffetterie o anche l’interfacciarsi al sistema sanitario. Come ci sentiremmo se in almeno una di queste occasioni, qualcuno dovesse ricordarci perché non facciamo parte di ciò che loro considerano giusto?
Giungiamo all’Italia. L’ISTAT propone una ricerca che riguarda le discriminazioni lavorative verso persone LGBTQIA+ a livello lavorativo, nonostante si estenda anche ad altri settori. Il dato impressionante riguarda quante persone evitano di tenersi per mano con lə partner dello stesso sesso in pubblico per paura di aggressioni: siamo al 68,2%. Sono quasi 7 persone su 10.
A questo punto ci rendiamo conto della realtà dei fatti: le aggressioni e le discriminazioni continuano, nonostante non molto tempo fa qualcuno ricordava come esistesse già un reato per i crimini d’odio.
Era un periodo diverso e i social erano pieni di mani con la scritta “DDL Zan”.
Il disegno di legge aggiungeva all’aggravante di crimine d’odio, anche la discriminazione nei confronti di persone della comunità LGBTQIA+ e persone con disabilità (ne avevamo parlato qui). È già passato un anno da quando veniva accantonato in Senato e ad oggi ci si rende sempre più conto di come sarebbe importante criminalizzare dei gesti prodotti con una volontà ben precisa: non è una violenza generica, chi colpisce una persona della comunità spesso lo fa per odio verso quella minoranza.
Se, tu che stai leggendo, sei parte della comunità LGBTQIA+ e senti di essere una vittima di discriminazioni, non esitare a chiedere aiuto. Le reti sono ancora accentrate nelle grandi città, ma poco a poco si stanno espandendo. Esistono dei luoghi sicuri, come il Centro Aristofane, ma per ora non si garantisce la presenza in modo capillare in ogni regione o città.
Ovunque ti trovi in Italia, puoi contattare questi servizi. Basta una chiamata, una richiesta in chat per ricevere supporto.