Lo scorso 15 ottobre al congresso dei socialisti europei tenutosi a Berlino, il leader del Partito Democratico Enrico Letta ha espresso con schiettezza le sue perplessità sulla nuova legislatura: «La legislatura comincia con una logica incendiaria da parte di chi ha vinto le elezioni. Chi ha vinto, invece di riappacificare il paese, lo sta dividendo». A scatenare la dura reazione del segretario del PD sono state le elezioni dei presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, due figure profondamente divisive e inequivocabilmente nella zona più a destra dello spettro politico.
Non è di certo la prima volta che le scelte nei palazzi della politica alimentano il dibattito all’interno della popolazione italiana.
Uno degli esempi più indicativi, seppur estremi, in questo senso è dato dagli eventi che hanno caratterizzato la primavera e l’estate del 1960 e che vede protagonista il Movimento sociale italiano, di cui Fratelli d’Italia mantiene tutt’oggi il simbolo, affiancandovi fino al 2017 anche il nome del partito post-fascista.
Fernando Tambroni, allora esponente della Democrazia Cristiana, si presenta al Parlamento per ottenere la fiducia con un governo formato solo da ministri democristiani. Determinante per l’esecutivo monocolore è il voto del Movimento sociale italiano, partito di estrema destra.
Le prime mosse di Tambroni delineano i contorni di una svolta a destra e populista: rilascia dichiarazioni contro partiti e parlamentari, lancia un grido di allarme per l’incombente pericolo comunista e viene scelta una gestione dell’ordine pubblico improntata sulla repressione. In questo clima, il MSI decide, e tale decisione verrà appoggiata dalla presidenza del consiglio, di tenere il proprio congresso nazionale a Genova, facendolo presiedere da Carlo Emanuele Basile, prefetto della provincia durante la Repubblica Sociale Italiana. La scelta missina del capoluogo ligure, città che vanta la medaglia d’oro alla resistenza, è un’evidente provocazione e il governo sembra volersi mettere alla prova, dimostrare di non essere debole o vacillante, nonostante la piena consapevolezza dei rischi.
La situazione sfugge ben presto di mano: nelle strade genovesi si riversano manifestazioni di protesta e viene indetto uno sciopero generale a cui partecipano, secondo le stime della prefettura, centomila persone. L’atmosfera è sempre più pesante: la polizia carica sulla folla e il centro della città diventa il palcoscenico di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Ma la miccia è ormai stata accesa e la rivolta si estende in tutta Italia, provocando la morte di nove persone (per approfondire, l’articolo di Radici).
Fernando Tambroni è costretto alle dimissioni, dimostrando che la destra più estrema non è un’alleata di governo contemplabile per la DC e che alimentare le spaccature interne alla popolazione, innalzando i livelli di tensione e favorendo lo scontro diretto, genera solo una tragica bolgia, lezione valida anche più di sessant’anni dopo.
L’istigazione alla lotta politica più cruenta ha conseguenze pesantemente negative anche se esercitata dai partiti.
Ce lo dimostrano esempi storici, come il coinvolgimento dello stesso MSI e della sinistra extraparlamentare nell’escalation delle violenze interne alla comunità studentesca sul finire degli anni Sessanta. Le frange più estreme che popolano piazze e sedi universitarie, chi in rivolta contro un sistema obsoleto e chi contro il pericolo rosso, hanno trovato così legittimazione e appoggio presso strutture partitiche. Ma per dare il fianco a gruppi di tale genere non è strettamente necessaria l’azione concreta, ma sono più che sufficienti parole e dichiarazioni, come accaduto più recentemente durante l’attacco alla sede nazionale della Cgil.
Nell’ottobre 2021, infatti, movimenti No Vax e No Green Pass si sono riuniti a Roma per protestare contro l’introduzione del certificato verde obbligatorio per lavorare sia in luoghi pubblici che privati. L’organizzazione della manifestazione, però, è stata rivendicata da militanti di Forza Nuova, partito politico neofascista, i cui esponenti inviteranno a gran voce la folla a fare irruzione all’interno della sede del sindacato. La ferocia della folla si tramuta in distruzione che si riversa, oltre che contro le forze di polizia, su qualsiasi cosa sia a portata di mano: vetrate, computer, uffici, telecamere.
Nonostante siano giunte condanne da tutte le parti politiche, nel centrodestra sia Salvini che Meloni hanno negato l’esistenza di un’evidente matrice di destra eversiva, preferendo condannare, giustamente, la violenza, senza entrare nel merito dell’affiliazione politica dei manifestanti. L’accettare tacitamente l’esistenza di organizzazioni di estrema destra è certamente una strategia per cercare di accaparrarsi voti anche da quel settore di elettorato, ma è un gioco molto pericoloso: è un modo, per quanto sottile, per riconoscerne la forza.
Le conseguenze sono un rischio per l’equilibrio sociale del Paese, come ci ha largamente dimostrato l’assalto a Capitol Hill, il Congresso statunitense, avvenuto a gennaio 2021.
L’ex presidente Donald Trump si rifiuta di accettare l’esito delle elezioni che hanno decretato Joe Biden vincitore, ostinandosi a chiedere riconteggi. Il giorno in cui il Congresso avrebbe dovuto ratificare l’esito della votazione, un consistente gruppo delle migliaia di persone radunate a manifestare in favore di Trump penetra all’interno del Campidoglio scatenando il panico. Oltre alla devastazione e ai furti ai danni di uffici ed altre stanze, si generano scontri con la polizia, durante i quali perderanno la vita cinque manifestanti. Non arrivano, però, rimproveri da parte di Donald Trump, anzi: «Andate a casa, siete speciali, vedremo cosa accadrà», è quello che dice ai rivoltosi invitandoli cautamente a cessare i disordini.
Ma ad ogni azione corrisponde una reazione: siamo testimoni di come basti poco a risvegliare antichi contrasti. Ad esempio, subito dopo la vittoria della destra alle elezioni di settembre a Milano sono comparsi sia fuori dai licei Parini e Volta sia presso la Statale manifesti neofascisti, raffiguranti istituti scolastici dati alle fiamme e firmati Rete Studentesca. Dall’altra parte, a Roma un corteo studentesco si è reso protagonista dell’impiccagione di due manichini aventi le fattezze dei neopresidenti delle Camere. Sempre presso la capitale, sono stati appesi striscioni di ironico benvenuto a Ignazio La Russa, il cui nome è stato scritto al contrario, chiaro richiamo alla pubblica esposizione del cadavere di Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.
Non è necessario un pericolo di ritorno della dittatura fascista per dare legittimazione a gruppi fanatici, potrebbero anche essere sufficienti alte cariche dello Stato e di governo quantomeno controverse. L’inasprimento e l’estremizzazione del dibattito politico non portano mai a nulla di buono, ne sono da monito sia i resoconti che ci giungono dagli Stati Uniti sia la nostra storia repubblicana. È evidente come dare più o meno esplicitamente manforte alle sezioni più estreme dei propri elettori possa facilmente sfuggire di mano, anche se non è l’intenzione originale. E una volta spezzato, l’equilibrio è difficile da ricostruire.
Bibliografia: Guido Crainz, Storia della Repubblica: L’Italia dalla Liberazione ad oggi, 2016; Giorgio Vecchio, Paolo Trionfini, Storia dell’Italia Repubblicana (1946-2018), 2019.