Durante il percorso formativo di ogni persona possono esser partorite idee che, se correttamente sviluppate, si rivelerebbero un prezioso contributo alla società, e nella migliore delle ipotesi, una fonte di profitto ineguagliabile. “Quale sia l’approccio più idoneo” è certamente una domanda a senso unico. I più avversi al rischio, prima di investire i propri risparmi, consiglierebbero di maturare una lunga esperienza sul campo e di accumulare capitale. Di contro, c’è chi preferisce un approccio più dinamico, esplorando già da giovanissimo/a segmenti di mercato ancora poco conosciuti, rimettendo la realizzazione del progetto al capitale che man mano si riuscirà a procurare.
Entrambe le soluzioni presentano criticità: nel primo caso l’apparente minor rischio (“apparente” poiché il mercato è imprevedibile, né un discreto capitale né una maggior esperienza danno la certezza di riuscita) è gravato da tempi – e almeno teoricamente, costi – più lunghi, nonché dalla possibilità di esser anticipati dalla concorrenza; nel secondo, è molto più facile che ulteriore capitale non venga erogato o che non si riesca neppure a pagare i finanziamenti precedenti, dovendo, nella peggiore delle ipotesi, rinunciare definitivamente alla propria idea.
Tuttavia, prima di cadere in inutili allarmismi, è necessario precisare che quanto appena detto non è altro che una delle molteplici conseguenze del rischio di impresa: cosa tanto comune all’imprenditore più cauto, quanto a quello più visionario. Perciò se si è giovani, ambiziosi e sicuri delle proprie idee non esistono validi motivi per scoraggiarsi: le migliori aziende del mondo sono state create proprio da ragazzi. Bill Gates, Steve Jobs, ma anche Walt Disney avevano circa venti anni, Zuckerberg perfino diciannove. Questi appena elencati sono sicuramente i più celebri, ma ce ne sono molti altri, meno conosciuti, che in poco tempo hanno costruito veri e propri imperi tecnologici, partorendo imprese estremamente profittevoli e contribuendo irreversibilmente allo sviluppo della nostra società.
Il breve tempo di realizzazione (del progetto) e l’oggetto d’impresa (ad “alto contenuto tecnologico”) sono, non a caso, attributi di estrema importanza, tali da spingere il legislatore ad incentivare le attività di questo tipo attraverso la costituzione di un modello societario ad-hoc: la start up innovativa.
Perché è importante parlare di start up?
La scelta di un modello societario coerente al progetto che si intende sviluppare è uno dei passaggi più rilevanti: esso influirà sulle future modalità di finanziamento, il rapporto tra soci o il regime di tassazione che sarà applicato (e molto altro).
Le società (ed in questo caso si fa riferimento a quelle di capitali, come s.r.l. e s.p.a. ma anche s.r.l.s e s.a.p.a) sono infatti un utilissimo strumento per svolgere l’attività d’impresa, rimanendo maggiormente al riparo dalle pretese dei creditori. Ad esse l’ordinamento riconosce un’autonomia patrimoniale perfetta, il fenomeno che comporta l’assoluta separazione tra il patrimonio dell’ente e quello dei suoi membri: perciò non saranno i singoli soci a pagare per i debiti sociali, l’adempimento di quest’ultimi sarà imputabile unicamente al patrimonio che è stato conferito alla società (si ricordi che oltre a limitare la responsabilità dei soci nei confronti dei creditori, l’autonomia patrimoniale perfetta comporta positive conseguenze anche in caso di fallimento).
Venendo al dunque, la start up innovativa è una società di capitali alla quale è riservato uno specifico trattamento fiscale e amministrativo. La sua definizione è contenuta nell’art. 25 del decreto 179/2012, secondo il quale può definirsi start-up innovativa una società di capitali, “costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione”.
In poche parole, esse possono costituirsi nella forma giuridica della società a “responsabilità limitata” (s.r.l.) “per azioni” (s.p.a.) o come “cooperativa”. Le differenze tra le tre tipologie sono varie ed estremamente complesse, necessitando di un approfondimento separato. In questa sede ci si limiterà a rilevare che nella pratica, non v’è alcun dubbio che la veste tipica delle start up sia la “s.r.l.”.
La seconda parte della disposizione fa invece riferimento, in modo un po’ più ambiguo, al tipo di attività che il legislatore intende incentivare, ovvero “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”.
Da un’interpretazione letterale, pare che non sia sufficiente che il prodotto o servizio sia di per sé innovativo, in quanto anche il procedimento che ha portato al suo sviluppo debba essere il risultato o l’espressione di una tecnologia avanzata. Oltre a quello appena menzionato, sono previsti ulteriori requisiti obbligatori consultabili direttamente nel sito del MISE.
Per la sua costituzione è previsto, a libera scelta del socio, un iter online ed uno dal notaio. Il procedimento online, sebbene più economico, richiede particolari accorgimenti nell’invio della documentazione alla Camera di Commercio, che, senza la dovuta esperienza, possono venir a mancare. Il notaio risulterà sicuramente più oneroso (solitamente la spesa è di 2.500 euro per un capitale sociale di 10.000), ma effettuerà un lavoro più rapido e di maggior qualità, occupandosi di tutte le questioni burocratiche e fiscali. Infine, esiste la possibilità di un compromesso: il valersi della procedura online con l’assistenza di un professionista, come un commercialista o un avvocato, il quale potrà fornire un servizio di discreta qualità ad un prezzo più accessibile.
Una delle caratteristiche principali della start up è la sua scalabilità: la capacità di sostenere ad un ritmo elevato la crescita economica e quella operativa.
Occorre dunque un pianificazione dei round di finanziamento precisa ed approfondita, queste società sono state concepite proprio per reperire fondi in poco tempo e attraverso più canali (campagne di crowdfunding, società di venture capital o semplici banche). Fondamentale è anche l’interessamento di enti governativi (Unione Europea, Stato, Regioni), fondazioni e aziende, le quali pubblicano bandi e call per startup per supportare la nascita di nuovi progetti imprenditoriali tramite finanziamenti a tasso agevolato o contributi a fondo perduto (ad esempio il programma “Smart&Smart” gestito da Invitalia, il quale prevede l’erogazione di finanziamenti a tasso zero che coprono l’80% delle spese ammissibili). Per ottenerli è “sufficiente” soddisfare i requisiti del bando e fare domande entro i termini definiti.
Tuttavia, per quanto un’idea possa esser promettente, difficilmente basterà (da sola) a convincere un investitore a finanziarla. È molto probabile che egli sarà trattenuto fin quando non avrà prova delle prime conquiste sul mercato. In situazioni simili sarà dunque necessario attingere a fondi propri. Un aiuto, in questo senso, lo dà certamente il mondo digitale: i costi medi per avviare un’impresa online sono nettamente inferiori a quelli previsti per qualsiasi altra attività “fisica”.
Se invece si sposta lo sguardo al trattamento fiscale, per chi ha appena aperto un’attività di lavoro, anche sotto forma di start up, è prevista la facoltativa adozione del regime forfettario. Un regime di tassazione, sostitutivo all’IVA, agevolato al 5% per i primi cinque anni di attività (ai fini del forfettario è necessario, tuttavia, il rispetto di alcuni limiti di fatturato e di altri requisiti obbligatori). Un migliore trattamento fiscale significa avere le possibilità di vendere al consumatore un prodotto più accessibile, e quindi più competitivo. Per ultimo si può menzionare un ulteriore incentivo promosso dal MISE che prevede una detrazione IRPEF del 50% per chi investa fino a cento mila euro nel capitale di rischio di una start up.
Le possibilità sono molte e gli incentivi, soprattutto per i giovani, ancora di più. Sviluppare un’idea, rimane ancora oggi, il miglior modo per misurarsi in ambienti competitivi cercando al tempo stesso di ricavarne un guadagno.