Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Crescono i numeri delle start-up e parallelamente le necessità di finanziamento; ma l’Italia è finalmente pronta a lasciare al venture capital lo spazio che merita?
Si parla di venture capital quando ci si riferisce ad investimenti ad alto rischio fatti da operatori specializzati verso nuove imprese in fase di sviluppo. Solitamente vengono finanziate attività che necessitano di un consistente capitale per immettersi nel mercato e per mantenere il passo con i rapidi progressi della tecnologia. Talvolta tuttavia i finanziamenti sono rivolti anche ad imprese già avviate, che tentano di espandersi in un settore ad alto potenziale.
Gli investitori mirano principalmente a start-up improntate all’high-tech, che abbiano grandi prospettive di crescita e possano generare un sostanzioso ritorno economico. I venture capital sono finanziamenti a medio o lungo termine, solitamente sotto forma di partecipazione al capitale azionario o titoli convertibili. Si tratta di una forma di investimento che porta indubbiamente diversi benefici ad entrambe le parti. In primisalle start-up, che difficilmente riuscirebbero a reperire finanziamenti di grossa portata dalle banche, senza doverli assicurare con importanti forme di garanzia.
Attraverso il venture capital non solo è possibile per le neo-realtà imprenditoriali ottenere somme elevate basate sulla fiducia dell’investitore, ma si facilita addirittura il loro ingresso nel mercato. Inutile dire che il sostegno di un finanziatore rinomato non passa inosservato agli occhi degli acquirenti più esperti: una sorta di pubblicità gratuita per la start-up finanziata, che può vantare l’appoggio e la garanzia dei suoi investitori e acquisire credibilità nel settore.
Non è da trascurare poi la velocità del processo di finanziamento. All’investitore basterà eseguire un analisi preliminare della start-up, la negoziazione dei termini e la finalizzazione del contratto. Un notevole vantaggio, considerato il bisogno di muoversi con rapidità nei settori ad alta intensità tecnologica.
Gli investitori, dal canto loro, scommettono con il proprio intuito. Se hanno la giusta perspicacia (e, perché no, un po’ di fortuna) e il progetto finanziato decolla, ottengono grossi ritorni economici e aumentano la propria credibilità nel mondo dei mercati finanziari. Tra i venture capitalist sono passati alla storia importanti personalità come Ben Horowitz, Brad Feld e Mark Cuban: investitori leggendari che hanno fatto la propria fortuna investendo in capitali ad alto rischio.
Gli investitori di venture capital si dividono in due categorie: operatori di venture capital e business angels.
I primi si occupano di gestire il capitale di rischio per terze parti: hanno cioè il compito di trovare la giusta impresa in cui investire il capitale di chi glielo ha affidato. Devono seguire specifici regolamenti e controllare le uscite dei fondi di investimento di cui sono responsabili. I business angels, invece, sono soggetti privati che investono il proprio patrimonio personale e il più delle volte entrano a far parte della gestione dell’impresa sovvenzionata. Molto spesso infatti le realtà imprenditoriali che sfruttano il venture capital sono nella fase seed, un momento molto delicato in cui si acquisiscono le competenze manageriali e finanziarie di base.
Anche il private equity, come il venture capital, è un investimento ad alto tasso di rischio. I due però non vanno confusi, in quanto presentano sostanziali differenze.
Innanzitutto, il venture capital si occupa dei finanziamenti per nuove imprese, attività economiche che sono quindi agli arbori e che operano sull’innovazione. Un’eccezione viene però fatta, come già citato, nel caso dell’expansion financing: in questo caso il venture capitalist decide di investire in imprese già esistenti, perché possano velocizzare l’inserimento di un nuovo brand nel mercato.
Il private equity invece è una forma di investimento di grossa dimensione, dedicato ad attività economiche già sviluppate ma non ancora quotate in borsa. Di norma è dedicato a qualsiasi tipo di impresa, indipendentemente dal settore in cui essa è inserita (a differenza del venture capital, rivolto unicamente a settori innovativi e in rapida espansione). Il private equity, inoltre, viene sfruttato dall’investitore per rilanciare imprese rilevate in precedenza per il 100% delle quote. Una forma di finanziamento assai diversa dal venture capital, dove l’investitore può solo prendere parte alla gestione finanziaria dell’impresa.
Le analisi rilasciate da Cassa Deposti e da AIFI (Associazione Italiana del Private Equity) danno finalmente un segnale positivo: gli investimenti in capitale di rischio stanno prendendo sempre più piede anche in Italia.
E’ ciò che è emerso a settembre in base ai dati del terzo trimestre del 2022 analizzati nel VeMTM (Venture Capital Monitor) di AIFI. Secondo l’associazione, che si occupa di monitorare la situazione del Venture Capital, gli investimenti in corso sono aumentanti: da 230 nel 2021 a 250, con un aumento numerico del 9%. Gli investimenti initial sono invece passati da 208 a 223.
Oltre a questa grande accelerata, l’aspetto interessante che riguarda il nostro Paese è l’attenzione che arriva dall’Estero per le start-up italiane, considerate una rete di nuove imprese con grandi potenzialità ma con pochi finanziatori. A tal proposito si è espresso Dario Scannapieco, amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti (CdP):
Il venture capital sta dando in Italia segnali di vitalità. Siamo indietro rispetto all’Europa ma stiamo registrando una accelerazione. […] C’è molto interesse per il nostro Paese da parte di investitori esteri, ma serve una narrativa diversa e sta a noi come CdP fare rete tra i vari soggetti.
L’Italia quindi sta procedendo nella giusta direzione, ma deve recuperare il ritardo rispetto agli altri Paesi: sviluppare l’impiego del venture capital è fondamentale per una comunità finanziaria come quella italiana, che fatica a mettersi in gioco e tende ad evitare forme di investimento rischiose.