
Anche questo lungo 2022 sta per concludersi e la redazione di Vulcano Statale ha preparato una lista dei 10 album più “vulcanici” di quest’anno.
A cura di Laura Colombi e Gabriele Benizio Scotti
Disclaimer: questa lista non è una classifica e l’ordine è quindi casuale.
Electricity (Ibibio Sound Machine)
Genere: funk, elettronica

Una buona proposta afro, senza cadere nello stereotipo. Con Electricity, gli Ibibio Sound Machine riescono nell’impresa di proporre un disco che rappresenti adeguatamente la cultura nera. L’impresa è quasi una vocazione, a partire dal nome della band: Ibibio è una delle lingue precoloniali della costa occidentale africana, sul golfo di Guinea, parlata dalla madre della cantante e frontwoman Eno Williams, la quale invece è nata e cresciuta a Londra.
Electricity è un album tutto da scoprire, traccia dopo traccia. L’invito è a non farsi tradire dall’inizio scoppiettante di Protection From Evil (traccia notevole, dalle molteplici ispirazioni) e ad attendere pazientemente lo scorrere dei minuti, perché l’album è in divenire e trascina progressivamente alla danza. Questa costruzione del lavoro prevede una forte continuità tra le tracce, attraverso le quali l’ascoltatore può compiere un vero e proprio percorso tra storia e cultura: ad esempio, in 17 18 19 abbiamo una riproposizione in chiave pop della disco music che ci proietta in un immaginario anni Settanta. Per questo motivo è consigliato l’ascolto dell’album per intero (come per tutti i lavori, ma qui ascoltare la singola traccia è davvero molto riduttivo). La linea di confine tra quella dimensione tribale che rischiava di essere riportata in ottica primitivista e le sonorità più proprie della band era davvero sottile. Invece, con Electricity gli Ibibio riescono a trarre numerosi spunti originali, confermando il forte dinamismo che sempre più caratterizza l’elettronica.
Recensione di Laura Colombi.
I love you Jennifer B (Jockstrap)
Genere: glich-pop, art-pop

Tra le chicche che il 2022 ci ha regalato, come non menzionare, poi, il primo lavoro in studio del duo inglese Jockstrap. I Love Jennifer B è un buon lavoro pop in chiave attuale, finalmente una ventata d’aria fresca in mezzo a tante produzioni che rischiano di assomigliarsi tutte. Tre sono gli ingredienti fondamentali: la sofisticata e assolutamente protagonista voce di Georgia Ellery, un pacchetto di sentimenti a scadere, e un pizzico di follia. E così i Jockstrap ci offrono 44 minuti tra sperimentazioni elettroniche, che guardano anche ai ’90, e ballate acustiche. Un album che lascia forse perplessi e divertiti al primo ascolto, ma poi capace di ipnotizzare. Fino alla perdita della sanità mentale (siete avvisati).
Recensione di Laura Colombi.
Tissues (Pan Dajing)
Genere: post-industrial, opera, experimental

Un incubo lungo quasi un’ora in cui si alterna musica post-industriale, opera e musica d’avanguardia. La compositrice cinese Pan Dajing realizza un capolavoro di musica sperimentale che mixa elementi di musica classica e industriale in un composto infernale. Le atmosfere disturbanti e surreali accompagnano la voce straziata che si dimena tra i suoni meccanici e distorti in sottofondo. L’inizio più evocativo e letargico fa spazio a una seconda parte più marziale e in cui la Dajing si slancia in vocalizzi che sembrano da lontano ricordare Meredith Monk. La vena più industriale nel disco esce totalmente nell’ultima parte con suoni di sottofondo caotici e dissonanti. Di sicuro Tissue si presenta come uno dei dischi più interessanti non sono dell’anno ma anche degli ultimi 10 anni, un modo più che interessante di accostare il vecchio e il nuovo suonando assolutamente al passo coi tempi.
Recensione di Gabriele Benizio Scotti.
Trouble water (Show me the body)
Genere: post-hardcore, noise rock

Gli Show me the body tornano col loro terzo album ufficiale più agguerriti che mai. Partiti con un insolito mix di post-hardcore e rap, si presentano a questo giro nelle vesti di un band post-hardcore con venature sludge e industrial metal, in quello che risulta il loro disco più conciso ed efficace. Le sferzate industriali si adattano bene allo stile grezzo e rabbioso del punk degli Show me the body, che riflette tutta la caoticità e il nervosismo newyorkese, città dove la band nasce. Gli inizi hip hop agiscono ancora in certi pezzi sottotraccia, come per esempio in We came to play, mentre in pezzi come Food for plate e War not beef emerge la componente più industriale e frenetica che caratterizza in maniera particolare questa loro ultima fatica. Gli Show me the body riescono questa volta ad alzare l’asticella, confezionando un prodotto estremamente valido e meritevole di essere menzionato tra i migliori dischi del 2022.
Recensione di Gabriele Benizio Scotti.
Comradely Objects (Horse Lords)
Genere: Math rock, rock sperimentale

Un album rock tutto da ballare è Comradely Objects, con il quale gli Horse Lords scrivono una sorta di inno alla variazione. E in questo senso Zero Degree Machine, traccia d’apertura, rappresenta un vero e proprio manifesto. L’album, il quarto per la rock band di Baltimora, può sembrare il classico lavoro sperimentale un po’ ardito, e in effetti è un po’ complicato capire dove questi “oggetti” andrebbero collocati. Però tutto insieme funziona alla grande, con le sue percussioni al posto giusto e pure sorprendenti, con le sue tante influenze. Quando non si lasciano andare in virtuosismi fini a sé stessi (come nel caso di May Brigade, andate avanti senza farvi scoraggiare), fiati e chitarre ci regalano tracce apprezzabilissime, come Mess Mend e Rundling. L’effetto finale, lo ammettiamo ignorandone il perché, è un po’ quello di un ritorno ai novanta. Ma di quelli che non dispiacciono affatto.
Recensione di Laura Colombi.
Da todas las flores (Natalia Lafourcade)
Genere: chamber folk, vocal jazz

Un disco estremamente elegante da una delle cantautrici messicane di punta come Lafourcade. Da todas las flores presenta una forte componente folk, a cui vengono uniti elementi tradizionali della musica messicana e jazz. L’anima pop che sta alla base del disco non intacca minimamente l’eleganza dei brani, la profondità delle composizioni mai scontate e la delicata atmosfera che si va a formare lungo tutta l’ora di ascolto. Magistrale l’apertura con gli archi nella prima traccia, toccanti le tinte di Pajarito colibrí ed estremamente coinvolgente la sensualità di brani come Mi manera de querer. Ennesimo lavoro ben riuscito di una artista già molto apprezzata, ma che a questo giro è riuscita a superarsi ulteriormente con quello che è probabilmente il suo lavoro più riuscito.
Recensione di Gabriele Benizio Scotti.
Ugly Season (Perfume Genius)
Genere: art-pop, vari

Perfume Genius ci ha piacevolmente stupito con un disco art pop con elementi di musica psichedelica, ambientale e classica.
Un cambiamento inaspettato per un artista noto finora nell’indie pop, ma che a ben vedere lasciava intravedere nell’ultimo lavoro del 2020 Set my Heart on Fire Immediately una più approfondita ricerca musicale. È questa a distinguere Ugly Season dai lavori precedenti, e ciò si traduce anche in una varietà di generi – dalla title-track e dai ritmi raggae alla traccia al pianoforte Scherzo – ma anche di influenze, su tutti il Bowie di Low (con cui sembra condividere dunque anche un destino artistico).
La stessa ricerca si coglie nel lavoro sui testi, che in questa nuova stagione divengono criptici e dal gusto classicheggiante (numerose le parole della tradizione greca classica): ancora una volta niente a che vedere con il Perfume Genius cui eravamo abituati, eccetto per il focus sulle forme del queer e sulle rivendicazioni annesse, che rimangono care all’artista. Un lavoro ardito ed elaborato nel senso più pieno della parola, che merita almeno un ascolto.
Recensione di Laura Colombi.
Every flower in my garden (Lilien Rosarian)
Genere: sound collage, ambient, folktronica

Non si trovano molte informazioni per il web su Lilien Rosarian, ma quello che ci interessa sapere è che fa musica molto interessante, e che questo è il suo secondo lavoro ufficiale. Anche in questo caso un disco ambient che fa ampio uso della tecnica di sound collage, risultando rilassante ed estremamente caotico e rumoroso allo stesso tempo. In certi momenti sembra di sentire una versione di William Basinski meno funerea e cupa, ma bensì rielaborata in chiave bucolica e dolceamara; a volte sembra di sentire una versione caotica della proposta folktronica di Four tet.
La particolarità di questo disco è, come già accennato sopra, di passare da parti caotiche e rumorose, dove suoni elettronici, presi anche da territori come quello del glitch, vi colpiranno da ogni lato; a parti idilliache e calme, che dipingono quei paesaggi di campagna placidi e primaverili che conserviamo nella nostra memoria con quel tocco di malinconia. Basti sentire pezzi come Pathways to someplace passino da una tensione di rumori poco definiti iniziali a un dolce epilogo che stempera la pressione iniziale, con una soave melodia che sarà perfetta da usare come sottofondo per un tramonto di maggio. L’abilità di stressare e rilassare l’orecchio dell’ascoltatore rimarrà immutata dall’inizio alla fine, e rende questo prodotto peculiare e sicuramente degno di un ascolto.
Recensione di Gabriele Benizio Scotti.
Rimorso (Mai Mai Mai)
Genere: folk, noise, ambient

Viaggiare con pathos nel folkore, come radici che spaccano e scavano la terra andando sempre più in profondità. Questo è ciò che si può provare ascoltando Rimorso, la nuova opera di Mai Mai Mai, progetto di Antonio Cutrone che fa incontrare e amalgamare dark noise, folk mediterraneo e ambient. Questo album è il più maturo del musicista, in cui cerca di far vivere un viaggio oscuro le tradizioni passate delle vicine terre mediterranee, in evocativi rituali e potenti miti. L’avventura inizia con il Secondo coro delle lavandaie, prima traccia che racchiude bene tutta l’idea dell’album: un canto dialettale corale, dal gusto tribale, è unito ad una strumentale oscura, corposa, un ambient noise che si carica ancora di più di potenza unendosi con il canto; subito dopo lo spazio si ampia in una profondità verso il vuoto nella traccia Fimmine Fimmine, qui la voce dialettale di Vera di Lecce sembra venire da altre dimensioni, alternative o passate, quasi un rito a qualche divinità blasfema. Nel pezzo Nostalgia la componente dark noise si fa ancora più viva e nuovamente si amalgama con una voce, quella pulita e poderosa di Youmma Saba, come si comunicasse con una creatura risvegliata fatta di ferro e metallo rappresentata da una strumentale noise possente. Si continua il cammino con Sind, in cui la tribalità esplode come non mai, con danze e canti che incontrano un variare di suoni arcaici e elettronici, analogici ed elettronici. Dalla traccia successiva, Mediterranean Gothic, l’album prende una direzione più ambient noise in cui si dimostra tutta la capacità di Mai Mai Mai nel produrre sonorità e stati d’animo, in un caos che si espande sempre più in Il Futuro Perduto e Rimorso. Torna un certo ordine, ma fortunatamente non abbastanza, nel finale con Antiche Memorie, pezzo che conclude quest’opera profondamente inedita e squisitamente nostrana.
Recensione di Luca Pacchiarini.
Bar Mediterraneo (Nu Genea)
Genere: funk, nu disco

I Nu Genea non ne sbagliano una e tornano con un disco fresco ed equilibrato. Capace di dire ancora qualcosa su un tema ormai sdoganato come quello dell’identità mediterranea, molto apprezzabile per la spensieratezza e l’entusiasmo che trasmette. E allora chi se ne frega se c’è chi ricorda che i Nu Genea potevano fare di più: tra vecchio e nuovo – numerosi come di consueto i richiami alla disco music anni 70 – Bar Mediterraneo rimane uno dei lavori più interessanti dell’ultimo periodo tra quelli più ricercati, ma con l’ambizione di rivolgersi a un pubblico ampio.
Recensione di Laura Colombi.