Del: 17 Dicembre 2022 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
Fratelli evasori d’Italia

In effetti, vista la composizione del governo, non c’era da aspettarsi nulla di buono in termini di provvedimenti per la lotta all’evasione fiscale. Il tema non è mai stato al centro delle priorità del centrodestra italiano e nessuno avrebbe scommesso su un’importante presa di posizione seguita da fatti per contrastare concretamente questo endemico problema che attanaglia l’Italia ma, allo stesso modo, possiamo ritenerci quantomeno stupiti da come esso sarà sostanzialmente favorito da alcune scelte fatte dal governo Meloni.

Prima di analizzare questi provvedimenti è utile però fare una serie di premesse. Innanzitutto, quello della diminuzione e del contrasto dell’evasione non è un obiettivo semplice per nessun governo in carica, e spesso questo richiederebbe strumenti, dispositivi e politiche che non sono ancora semplici da implementare. In secondo luogo è importante sottolineare che i dati a disposizione (che risalgono al 2019, poiché il calcolo dell’evasione avviene sempre con qualche anno di ritardo per ragioni tecniche) ci dimostrano che l’evasione fiscale in Italia negli ultimi 5 anni sembra aver assunto una tendenza decrescente.

In particolare, il tax gap, cioè la differenza fra l’ammontare che sarebbe dovuto entrare nelle casse dello stato e quello che è effettivamente entrato, si è ridotto di circa 6,9 miliardi in termini assoluti.

Ma nonostante questa notizia positiva, essa rimane un problema enorme, come enorme è il freno che impone allo sviluppo del paese. Il suo valore, infatti, arriva a sfiorare ancora ogni anno quota 100 miliardi di euro (per l’esattezza 99,2 miliardi nel 2019). Miliardi di euro sottratti dalle casse della collettività. Per intenderci sulla portata del problema può essere utile fare delle ipotesi attorno alla potenziale riduzione e conseguente riscossione di questo ammontare. Se infatti lo stato italiano riuscisse anche solo a recuperare un quarto di questa quota, ovvero circa 25 miliardi di euro, esso avrebbe a disposizione circa la somma di un Next Generation EU ogni 8 anni per finanziare, ad esempio, la transizione ecologica dimenticata dal governo e tante altre possibili misure, come la riduzione immediata del nostro debito pubblico , il finanziamento di circa 3,5 redditi di cittadinanza all’anno e una riduzione importante della pressione fiscale di cui beneficerebbero tutti in maniera considerevole. E non finisce qui, si potrebbero creare dei fondi per risanare quelli che sono i problemi strutturali dell’Italia, dal sistema sanitario nazionale all’istruzione, passando per investimenti in ricerca e edilizia pubblica.

I dati citati in precedenza sono contenuti all’interno della “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale contributiva”, pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze all’inizio del mese di novembre. In questo stesso documento si possono trovare una serie di osservazioni molto utili per comprendere quella che è la situazione reale dell’evasione fiscale italiana, per cosa si caratterizza e com’è distribuita.

Il primo importante dato che si osserva nella relazione è che l’evasione ha una composizione estremamente diseguale all’interno dei vari gruppi e tipologie di imposte che sono di norma evase.

La grande maggioranza (circa il 60% del totale) si compone essenzialmente di due imposte: l’IRPEF di lavoro autonomo e d’impresa, stimato a circa 32 miliardi di euro sottratti, e l’IVA stimata invece circa a 27 miliardi. Tutte le altre imposte hanno un’incidenza di gran lunga minore sul totale e nessuna di esse supera la quota di 8 miliardi. Ciò che si può dedurre è che quindi le due principali fonti di evasione fiscale possono essere ritrovate in un certo tipo di impiego, quello autonomo e imprenditoriale dove per ragioni tecniche è più semplice che si verifichino irregolarità, e nella tassazione indiretta che colpisce il valore aggiunto, cioè le transazioni di denaro per fini commerciali e l’acquisto di beni e servizi.

Se da un lato queste due imposte mantengono un primato in termini assoluti come quantità di denaro non riscosso, sul piano invece della propensione all’evasione, ovvero quell’indice dato dal rapporto fra l’incasso reale e quello potenziale, solamente l’IRPEF di lavoro autonomo e d’impresa mantiene questa singolarità. Esso, infatti, si mantiene ad un livello molto elevato pari al 68,3% di gettito non riscosso sul totale potenziale (in aumento rispetto al 2015), mentre l’IVA si trova al quarto posto con una propensione del 20,3% (in netto calo rispetto al 2015).

Al fine di relativizzare e contestualizzare questi dati emersi il più possibile, può risultare utile effettuare paragoni con gli altri paesi membri dell’Unione europea, e spesso gli studi in materia di evasione fiscale svolgono proprio delle analisi comparate fra stati per ottenere un quadro della situazione che sia il più completo possibile e permetta di portare avanti delle ipotesi sulle differenze emerse. Questi studi però tendenzialmente presentano anche dei limiti poiché, come spesso si fa notare, per indagare il fenomeno dell’evasione fiscale è importante tener conto anche dell’influenza culturale, politica e sociale rispetto alla dinamica in questione, fattori che hanno senza dubbio un effetto significativo.

Proprio nell’ambito di un confronto europeo ciò che emerge sull’Italia è un dato estremamente sconcertante che forse può essere utile a comprendere il peso specifico del problema.

Pochi giorni fa infatti è stato pubblicato il “VAT Gap Report 2022”, ovvero un consueto documento europeo che ricostruisce come risultato finale quella che è la distribuzione e la situazione generale dell’Unione rispetto all’evasione dell’IVA (VAT). Come viene indicato nel documento, l’evasione fiscale non è l’unica causa di mancata riscossione dell’IVA, esistono anche infatti i casi di insolvenza aziendale o bancarotta e casi di cattiva amministrazione, ma possiamo ipotizzare che essa sia sicuramente la prima delle cause. Il risultato è che su un totale di 93 miliardi di euro di IVA non riscossa in tutta l’UE ben 26,2 appartengono all’Italia, ovvero quasi un terzo del totale composto dalla somma di tutte le quote relative ai 27 paesi membri.

È per questa serie di ragioni contenute in dati oggettivi e difficilmente smentibili che i primi provvedimenti del governo Meloni presenti nella manovra di bilancio inerenti a questa materia sono da considerarsi gravi e regressivi.

Nell’ordine il condono fiscale previsto per alcune specifiche cartelle esattoriali, l’abolizione dell’obbligo di pagamento elettronico per ordini inferiori a 40 euro (elemento ancora in corso di trattativa con la Commissione europea) e l’aumento a 5000 euro di tetto all’uso del contante per i pagamenti, che com’è stato già ampiamente dimostrato favorisce ed incentiva l’economia sommersa, sono un insieme di scelte che remano in direzione contraria a ciò che viene suggerito ormai da troppi anni, un laissez-faire politicamente dannoso e fortemente ideologico volto a favorire alcuni a discapito di altri. Combattere l’evasione fiscale non è solamente un mero rispetto delle regole ma anzi, assume le vesti di una lotta di giustizia sociale e di solidarietà, e si denota purtroppo per l’ennesima volta la mancanza di una visione strutturata per farlo, una strategia che tenga conto della sua distribuzione estremamente diseguale fra vari gruppi sociali e della natura asimmetrica che la distingue, nonché dinamica innescata in maggior peso da pochi elementi ben protetti all’interno di un sistema e subita da molti altri privi di anticorpi con cui difendersi dai danni prodotti.

La retorica patriottica di questo governo crolla nel momento in cui si sottovaluta volontariamente e non si riconosce questo fenomeno come un problema che danneggia dalle fondamenta il senso di solidarietà su cui si dovrebbe basare la dialettica democratica.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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