Lo scorso 5 dicembre l’Unione Europea ha imposto l’embargo sul petrolio russo importato via mare. Ad eccezione di Ungheria e Slovacchia, i Paesi europei non potranno acquistare il greggio russo se il suo costo sarà superiore a 60 dollari a barile. Le attuali condizioni geopolitiche legate alla guerra scatenata dall’invasione russa in Ucraina hanno dimostrato di essere rilevanti non solo per il quadro politico europeo e di riflesso nord-americano, ma anche per ciò che gli Stati Uniti d’America hanno sempre considerato il proprio giardino di casa: l’America latina.
In particolar modo, Caracas, capitale venezuelana, sembra ormai essere il teatro di una vita associata molto diversa da quella caotica e in grave recessione economica che si registrava nel territorio prima del 2019, anno in cui il governo socialista della Repubblica Federale di Venezuela, con a capo il presidente eletto Nicolàs Maduro, ha deciso di allentare il controllo sui prezzi e di permettere il commercio in dollari USA.
La guerra in atto sul fronte orientale dell’Europa ha spinto il presidente statunitense Joe Biden a cambiare radicalmente i suoi rapporti con i paesi produttori di petrolio in relazione all’interruzione dei commerci con la Russia di Vladimir Putin.
Dopo molti anni di cattiva gestione, l’industria petrolifera venezuelana avrebbe comunque difficoltà ad apportare un serio miglioramento all’economia globale dell’oro nero. Tuttavia, secondo gli ultimi dati, rimane un Paese in possesso del 20% delle risorse petrolifere accertate. Per gli Stati Uniti non sarebbe un problema dover aspettare la ripresa dell’industria della repubblica bolivariana.
Per questo, il 26 novembre l’amministrazione Biden ha concesso una licenza limitata all’industria petrolifera della Chevron con cui poter estrarre ed esportare greggio venezuelano a beneficio degli USA, a patto che i guadagni vengano utilizzati per colmare l’abisso di debiti accumulato dal Venezuela nei confronti dell’azienda a stelle e strisce e non si registrino utili per la PDVSA, il gigante petrolifero statale venezuelano. In cambio Maduro ha promesso di riprendere i dialoghi con l’opposizione.
L’ accordo che i due paesi stanno cercando di raggiungere è sostanzialmente questo: se il leader socialista Maduro accetta di indire libere elezioni, Biden potrebbe alleggerire di molto, o eliminare definitivamente, le sanzioni imposte al Venezuela sin dall’insediamento del governo socialista inviso all’amministrazione della Casa Bianca.
La decisione che prenderà Maduro dipende molto dalla percezione che avrà del grado di consenso di cui gode nella popolazione. Secondo il Datanàlisis, importante centro di studi statistici e di analisi dell’opinione pubblica, attualmente l’indice di gradimento di Maduro è pari al 26%.
Il rischio è che, in un Venezuela divorato dalle sanzioni USA, dirsi contrari alla permanenza di Maduro alla guida del Paese potrebbe qualificare come “nemici della nazione”, o guidati da un sentimento anti-patriottico, i fautori di questa posizione.
Avere accesso alle convinzioni profonde, ai sentimenti e alle preferenze della popolazione, in un contesto politico non inscrivibile tra quelli propri dei Paesi democratici, può essere molto più difficile di quanto si possa pensare. E in questo il Venezuela non fa eccezione. Il Democracy Index 2018, redatto dalla testata britannica The Economist, ha classificato infatti il Venezuela come paese “autoritario” con un punteggio di 3 su 10, dove il voto massimo indica una democrazia piena. Il report di Varieties of democracy vede il paese rientrare nelle “autocratizing countries”, ossia le nazioni non democratiche che continuano il loro apparentemente incontrovertibile percorso verso l’autocrazia, nel caso del Venezuela da considerarsi autocrazia elettorale.
Il World Report, infine, ha analizzato quali atteggiamenti governativi hanno relegato il Venezuela a paese “non democratico” e fra questi si osserva il forte controllo dei media da parte del governo centrale, una magistratura la cui indipendenza non è garantita, l’impossibilità per organizzazioni straniere di condurre monitoraggi sul rispetto dei diritti umani, gli altissimi tassi di violenza nelle carceri e il continuo abuso di potere da parte della polizia.
In un contesto politico come questo, il verificarsi del fenomeno della dissimulazione delle preferenze a causa dell’effetto distorsivo della desiderabilità sociale è altissimo.
Quest’ultimo fenomeno, il social desiderability bias, fa riferimento alla tendenza degli individui di cui si analizzano le preferenze e gli orientamenti ad ostentare tendenze ritenute “buone” e “socialmente accettabili” e ad occultare invece comportamenti “cattivi” e sottoposti alla minaccia della coercizione fisica.
Per Maduro indire libere elezioni comporta un tasso di rischio abbastanza elevato, ma potrebbe anche giocare a suo favore. Indicendo elezioni anticipate, ad esempio, Maduro potrebbe cogliere impreparata l’opposizione, che rimarrebbe divisa favorendo l’attuale leader venezuelano.
Per tutto il Paese urge prendere una decisione: nonostante il miglioramento delle condizioni economiche della Repubblica federale, ad oggi l’inflazione nel paese è pari al 155% l’anno, la percentuale più alta dell’America latina, e la banca centrale, a corto di fondi, non è più in grado di sostenere il bolìvar, sceso del 43% rispetto al dollaro americano nelle prime quattro settimane di novembre.
Da molto tempo l’opposizione venezuelana chiede elezioni anticipate: sarà il calcolo strategico che Maduro compirà a breve a indicare la strada da seguire e le possibili conseguenze.
Articolo di Riccardo Tornesello