Del: 23 Gennaio 2023 Di: Redazione Commenti: 0

Il 7 dicembre l’attuale ex presidente peruviano, Pedro Castillo, è stato rimosso dal suo incarico dopo aver tentato di sciogliere il Congresso, prima che questi lo potesse mettere sotto accusa con la terza procedura d’impeachment in 16 mesi di governo. La Corte costituzionale peruviana ha però respinto le richieste di Castillo, le quali comprendevano anche l’instaurazione di un governo emergenziale e l’introduzione di un coprifuoco nazionale. Circa tre ore dopo l’annuncio da parte di Castillo circa le sue intenzioni di sciogliere il parlamento e nominare un nuovo governo, atto considerato un autogolpe ovvero un colpo di stato da parte di chi sta al potere, diversi ministri del suo stesso governo si sono dimessi e le forze armate si sono considerate neutrali nei confronti delle parti in causa.

Il Congresso ha votato a favore della decadenza di Castillo dalla carica di presidente, il quale è stato arrestato poco dopo mentre cercava di trovare rifugio politico presso l’ambasciata messicana.

In linea con la costituzione peruviana, al posto di Castillo, la sua vicepresidente Dilma Boluarte ha assunto il ruolo di capo dello stato. Ruolo che detiene tutt’ora. Il governo Boluarte non sembra essere partito sotto i migliori auspici visto che sono già due i ministri che si sono dimessi. Questa crisi è solo l’ultima che dal 2016 ad oggi ha portato il Perù a cambiare oltre sei presidenti. Uno di questi, Manuel Merino, si è dimesso dopo solamente cinque giorni e a seguito di violente proteste, registrando un indice di gradimento di appena il 6%. La figura di Pedro Castillo è quantomeno singolare nella recente e travagliata storia politica peruviana. Si tratta del primo presidente di sinistra in oltre vent’anni, in seguito alla destituzione del presidente-dittatore Alberto Fujimori nel 2000. Fujimori fu condannato dalla Corte Suprema peruviana per un ampio ventaglio di crimini.

Tra questi figurano anche crimini contro l’umanità commessi tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta.

Prima durante il sanguinoso conflitto interno tra il governo peruviano e il movimento maoista Sentiero Luminoso. Successivamente con il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru. Nelle elezioni presidenziali del 2021, che l’hanno visto vittorioso, Castillo ha sconfitto proprio la figlia maggiore di Fujimori, Keiko. Castillo, ex insegnante, ex agricoltore ed ex sindacalista, è riuscito ad arrivare alla carica di presidente facendo leva sul malcontento della popolazione rurale peruviana, marcata da profonde sofferenze e privazioni materiali. Un quarto dei 33 milioni di abitanti del Perù vive in povertà. Secondo le Nazioni Unite, è il paese con il più alto tasso di insicurezza alimentare di tutto il Sud America.

Durante la campagna elettorale Castillo aveva promesso diverse misure per alleviare l’erosione sociale ed economica della società peruviana.

Tra esse la totale nazionalizzazione dell’industria estrattiva, la riscrittura completa della costituzione peruviana e il raddoppio del budget destinato all’educazione. Oggi molti di quelli che lo hanno supportato durante la campagna elettorale del 2021, soprattutto nelle zone rurali andine, sono disillusi nei confronti di Castillo. La causa principale è la mancanza di beni e servizi essenziali, che durante la sua presidenza, è andata acuendosi.

Questo anche a causa della crisi delle materie prime e delle catene di approvvigionamento globali. I rincari di cereali, mangimi animali e fertilizzanti, causati dall’invasione russa dell’Ucraina, hanno colpito duramente il settore agricolo peruviano, in cui è impiegato quasi un terzo della forza lavoro del paese. La tematica dei fertilizzanti è indicativa dell’immobilismo dell’azione politica di Castillo. Infatti il governo non è riuscito ad acquistare fertilizzanti dall’estero. Ben tre offerte da parte di compagnie private erano state cancellate per negligenza e corruzione.

Oltre a queste problematiche, il Perù risente ancora degli effetti della pandemia. Si tratta del paese con il più alto tasso di mortalità pro capite al mondo.

L’ inefficacia del governo di Pedro Castillo è stata acuita dall’ostruzionismo del Congresso, controllato da partiti a lui avversi. Non sono mancati gli scandali e le accuse nei confronti dell’ex presidente. Dall’inizio del suo mandato ha nominato ben cinque gabinetti, cambiando in totale ottanta ministri. Si è circondato di alleati politici, alcuni dei quali sotto accusa o investigazione per crimini quali corruzione ed omicidio. Inoltre, nel giugno del 2022 ha lasciato il partito con cui aveva vinto le elezioni presidenziali del 2021, Perù Libero. Successivamente iniziò a governare come indipendente, dopo che diversi membri avevano sottolineato l’inefficacia delle sue politiche. Castillo è oggetto di oltre sei investigazioni criminali e di svariate accuse di ostruzione della giustizia e corruzione. In particolare, è accusato di essere a capo di una presunta organizzazione criminale. Lo scopo di questa organizzazione, secondo il procuratore generale peruviano, sarebbe quello di monopolizzare e controllare gli appalti statali per ottenere guadagni illeciti.

La situazione peruviana è solo uno dei tanti sintomi di un più generale malessere che interessa le democrazie di tutto il Sud America.

In Perù solamente il 21% della popolazione si dichiara soddisfatto del proprio sistema di governo. Altri paesi con tassi simili sono la Colombia e il Cile, anche loro interessati negli scorsi anni da vaste proteste antigovernative. Il caso più recente della fragilità democratica di questa parte di mondo è l’assalto della capitale brasiliana da parte di migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro, sconfitto alle recenti elezioni da Luiz Inacio Lula da Silva. I fatti avvenuti in Brasile e le proteste in corso in Perù dimostrano la necessità impellente di una rinnovata spinta democratica e di un nuovo e più giusto contratto sociale per l’intera America Latina, capace di evitare l’emergere di regimi autoritari come quello che caratterizza il Venezuela di Nicolas Maduro o l’El Salvador di Nayib Bukele. Autostrade, ferrovie e aeroporti spesso bloccati dai manifestanti, intere città interessate da proteste di massa e una violenza in continua escalation. Il Perù sembra avviato verso una spirale distruttiva d’instabilità fin troppo familiare in Sud America. Invertire la rotta per tentare di sanare le profonde problematiche del paese richiederà anni di riforme, ma è l’unica via per permettere al Perù di avere un futuro.

Articolo di Lorenzo Pellegrini

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