Numerose sono state le trasposizioni di Alice nel paese delle meraviglie, da quelle di inizio Novecento alla famosa versione Disney fino alle più recenti versioni di Tim Burton e James Bobin. Tutte sono accumunate dal clima grottesco, deforme e buffo che caratterizza il romanzo di Lewis Carroll. Ma nessuna delle trasposizioni è riuscita ad arrivare alla stravaganza grottesca dell’Alice di Švankmajer uscito nel 1988, forse la migliore trasposizione del romanzo e anche la meno fedele, conosciuto anche come Qualcosa di Alice o Qualcosa da Alice dal titolo originale Něco z Alenky, primo lungometraggio del suo regista.
Film surrealista cecoslovacco in tecnica mista, ovvero compresenza nelle scene di attori in carne e animazione in stop motion, l’opera è un capolavoro dell’animazione, a suo modo unica.
Più che adattamento cinematografico si potrebbe parlare di rivisitazione del romanzo; infatti, Švankmajer riscrive la storia fin dall’inizio portando una sua versione che si affianca a quella originale, quasi da leggere in parallelo più che sovrapporre. Esemplificativo è l’attacco della pellicola: Alice è in casa e un coniglio impagliato prende vita, si stacca i chiodi che lo fermano al piedistallo e spacca con essi la teca di vetro che lo contiene, esce e da un taglio nel ventre fa fuoriuscire segatura e l’orologio da taschino che gli ricorda l’ora; scappa e Alice, seguendo la scia di segatura, lo rincorre fino ad un comodino isolato in una pianura che la farà entrare nel paese delle meraviglie. Decisamente lontano dalla versione originale, ma tutti i personaggi e gli avvenimenti ci sono e si riconoscono.
Questo paese delle meraviglie non è la landa di natura e colori che normalmente si pensa, ma un insieme di interni che hanno qualcosa di alienantemente familiare, dovuto all’insieme di oggetti più o meno quotidiani che occupano questo mondo, costruiti e in costruzione per creare personaggi e luoghi. Gli esseri che popolano questa pellicola sono infatti profondamente fisici, tattili, ad un perfetto confine tra l’onirico e il concreto e, come un sogno non fa altro che montare pezzi di vita vissuta, qui si uniscono cose con altre cose, materiali e giocattoli che prendono vita grottescamente.
Proprio il sogno è il filo di tutta l’opera, non si comprende se e dove Alice stia sognando, ciò che vediamo va avanti nonostante lei che, anzi, sbircia nelle vite di questo mondo, senza legarsi a niente.
La bambina che interpreta Alice (Kristýna Kohoutová) è l’unico personaggio umano presente, l’unica attrice in carne, bellissima dal viso quasi antipatico che racconta ciò che vive; ogni volta è attraverso le sue parole che sentiamo di un brucaliffo composto da un calzino con una dentiera come bocca, dii pesci parlanti con parrucca e abiti nobiliari, case che sembrano giocattoli fatti di blocchi. I rumori esasperati di cibi, bevande, passi, rendono tutto ancora più solido, irreale nel suo essere iperreale.
Ogni scelta e soluzione del film mostra la grande capacità di Švankmajer; infatti, tutto ciò che si è prima descritto (e altro che si è volutamente non detto) è animato con tale perizia che oggi non risulta invecchiato se non come un buon vino. Geniale la scelta di animare una bambola di porcellana ogni volta che Alice si rimpicciolisce, oppure l’ingesso nel paese delle meraviglie che non è un buco i cui si precipita ma un ascensore lunghissimo. Questo film e il suo regista si inseriscono in un contesto poco conosciuto ma di grande bellezza, che ultimamente sta venendo un po’ riscoperto, ovvero l’animazione di pupazzi cecoslovacca. Švankmajer fu erede e allievo diretto di Jiří Trnka: costruttore di marionette, illustratore e regista di vari meravigliosi cortometraggi d’animazione di pupazzi usando tecnica a passo uno, esempi come The Hand (1965). Animatori che con pochi fondi e poco materiale raccontano in maniera sublime discorsi profondi, con soluzioni artistiche sagaci e abilità tecnica che allibisce (esempio di questo è Dimensions of Dialogue dello stesso Švankmajer).
Per via dei pochi fondi statali che ricevevano da parte dell’Urss, che preferiva finanziare animazione semplice di stampo educativo infantile, questi tipi di progetti erano per lo più autoprodotti, così certo non potevano mirare a realizzarli al meglio, ma godevano di una libertà espressiva e sperimentazione inusuale, spesso con tematiche senza dubbio antagoniste al potere (ancora The Hand è esemplificativo in questo). L’Alice del 1988 è forse la somma di tutta questa corrente artistica sperimentale, il suo regista riuscì grazie ad una produzione che permise un progetto folle, destinato a rimanere nell’ombra ma che, come il suo regista, ha fatto scuola, un genio tra i più grandi animatori del mondo che creò uno dei più grandi film d’animazione di sempre, difficile non innamorarsene quando lo si scopre. Il film si trova integrale su YouTube anche con sottotitoli in italiano.