Il 15 di ogni mese, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.
Jueves, León Cordero (autoprodotto) – recensione di Laura Colombi
Generi: art pop, elettronica
Argentino, classe 2002, León Cordero ha un piano in mente: togliersi di dosso i panni da Justin Bieber delle scorse produzioni per dare libero sfogo alla propria personalità. Una personalità ambivalente, colorata e inquieta, come in Pastel Lunar, confusa come nella traccia d’apertura Hola Como Estas, in cui è facile riconoscersi. Ma l’importanza di questo lavoro è soprattutto legata alla sperimentazione di cui Cordero, compositore e produttore, nonché cantante, dà prova. Breve ma intenso (9 brani, per un totale di 25 minuti), Jueves ci ha piacevolmente stupito: di più, è difficile dire a parole. Un ascolto piacevole, leggero, con spunti interessanti per quanti siano interessati a qualcosa di nuovo dalla scena pop/r&b.
卵 (Tamago), betcover!! (autoprodotto) – recensione di Laura Colombi
Generi: alternative rock/art rock
L’ultimo album della boyband giapponese betcover!! è un ascolto delicato e duro, in cui trovare umore cupo, angoscia, ma anche momenti di tranquillità. Amati dai giovani giapponesi, ma conosciuti nel mondo, la musica dei betcover!! pare esprimere le angosce che nascono dal vivere in una società ambigua. E in effetti l’ambiguità sembra caratterizzare gran parte del loro lavoro, a partire dall’attribuzione di un genere – rock alternativo, sperimentale, forse persino indie? ma allo stesso tempo difficili da incasellare, anche se nel web leggiamo che nei live i pezzi prendono una piega decisamente più aggressiva. Aspettatevi, dunque, chitarre e percussioni a profusione, ma anche tastiere e melodie sognanti. Nota interessante, anche in questo caso, la capacità di saper sperimentare senza appesantire troppo l’ascolto.
Undisclosed Advertising & End Credits, Audry (autoprodotto) – recensione di Gabriele Benizio
Generi: slowcore, rock sperimentale
Se i Duster decidessero di introdurre musica sperimentale nel loro slowcore probabilmente suonerebbero come qualcosa di simile a questo disco. L’album presenta elementi slowcore accoppiati a glitch e musica elettroacustica, una combinazione curiosa, non sempre riuscita e talvolta disomogenea, ma che merita sicuramente una menzione. Analizzando il disco più da vicino si notano come i momenti di musica più sperimentale risultino a volte inseriti in maniera non del tutto fluida, e talvolta sembrano inseriti in maniera non del tutto sensata. Alla fin della fiera la componente che sembra più funzionare è la componente indie più basica con intuizioni interessanti. I brani dalle strutture dilatate sembrano mandare rimandi al post-rock e il loro impianto sembra funzionare nonostante talvolta risultino un po’ pesanti. Tutto sommato una prova interessante e audace, per quanto per commistionare generi così agli antipodi ci sarebbe voluta forse un po’ più di maestria.
Nebolous you, Della Zyr (Longinus) – recensione di Gabriele Benizio
Generi: dream pop, shoegaze, post-rock
Della Zyr riprende in questo ep tutto ciò che sono stati gli anni 90 per quanto concerne lo shoegaze e il dream pop. Pezzi di Cocteau twins, di Slowdive, di My bloody valentine, di Swirlies e chi più ne ha più ne mette. Il risultato ne è un composto fortemente efficace, che non spicca né per originalità e né per innovatività, ma che passa su strade ben rodate e le percorre senza alcun rischio di deragliamenti. Atmosfere eteree e malinconiche, riverbero, voce delicata, chitarre che formano un tappeto dolcemente distorto, insomma i soliti ingredienti per un buon disco dream pop. L’album viene salvato dalla monotonia grazie a qualche influenza più psichedelica e folk, e da strutture un po’ più elaborate rispetto al solito disco shoegaze. Ottima prova dell’artista sudcoreana.
Dreamglow, Asian Glow & Sonhos tomam conta (Longinus) – recensione di Gabriele Benizio
Generi: shoegaze, post-hardcore
Collaborazione tra l’artista sudcoreano e quello brasiliano. Il disco si presente come un punto di contatto fra shoegaze, emo e post-hardcore, generi che abbiamo visto talvolta insieme come negli Hum per esempio. Il disco è un mix di rabbia, malinconia e disperazione. I momenti più shoegaze si alternano più bene alle accellerazioni fragorose e risultano miscelati in un composto solide ed omogeneo. I momenti non si sovrastano quasi mai e la tensione e l’atmosfericità del disco rimane intatta da inizio e fine. Non è un disco perfetto, alcune riproposizioni di stilemi di cui abbiamo la nausea ci sono e il disco comincia a risultare alquanto monotono alla lunga. Tuttavia, è un discreto modo di cominciare il nuovo anno in maniera piuttosto caotica.