Seguendo la traccia del saggio di Fabio Fazio e Flavio Caroli dal titolo Voi siete qui, tendiamo un filo tra la parola “arte” e altri termini di vario genere, nel tentativo di mostrare che l’arte è davvero una realtà iperconnessa. C’è arte ovunque attorno a noi e dentro di noi, anche se molto spesso non ne siamo consapevoli. Ad ogni filo teso, appendiamo un’immagine, rappresentativa del collegamento e ricca di significato.
Segue la seconda delle tre parti in cui sarà diviso questo articolo.
Matematica
La matematica si colloca, nel dialogo con l’arte, al polo opposto rispetto alla fisica, nonostante le due discipline siano profondamente legate tra loro. Matematica è infatti sinonimo di ordine e rigore; ciò che soddisfa a determinate leggi matematiche non può sgarrare, è così come predetto dalle formule. La prospettiva nei dipinti rinascimentali può essere giusta o sbagliata, non ci sono vie di mezzo. Lo stesso Leonardo lascia alcuni errori prospettici nei suoi dipinti più famosi e non c’è modo di giustificarli o sminuirli.
La fisica, invece, nei primi anni del Novecento, diventa sinonimo di caos. Nel 1905 Einstein partorisce la teoria della relatività ristretta, cambiando le concezioni del tempo e dello spazio fino ad allora accettate. Nel 1963, Lorenz pubblica la teoria del caos. Come ricorda Caroli, in molti casi, «caos non è sinonimo di disordine, ma di energia».
La tecnica del «drip painting» di Pollock sembra essere influenzata da queste nuove scoperte: l’artista non sceglie più dove apporre il colore sulla tela, ma lascia che la vernice trovi da sola la sua strada nello spazio-tempo, sprigionando spontaneamente la sua «energia».
Tornando alla matematica, e quindi alla geometria, non si può non citare Paul Cézanne, che sullo studio geometrico delle sue opere ha fondato la sua intera carriera da artista. Lo studio compositivo delle opere di Cézanne è meticoloso e si evolve nel corso degli anni, migliorando sempre di più.
Scegliamo come dipinto rappresentativo del legame tra arte e matematica Giocatori di carte, in una delle ultime versioni. Le braccia dei due uomini sembrano davvero dei cilindri, le mani sono perfettamente racchiuse in due cerchi.
Ossessione
Il termine «ossessione» porta con sé ha una connotazione negativa. L’ossessione riempie ogni angolo di spazio che trova, togliendo il respiro e diventando rapidamente disperazione.
Il primo artista che mi viene in mente in questo senso è Michelangelo, personaggio dal rapporto carnale con le sue opere. Il Buonarroti dedica corpo e anima all’attività artistica, vivendo la produzione artistica davvero come se fosse il parto di un figlio, subordinando tutto alla buona riuscita dei suoi capolavori. Penso all’artista ormai sessantenne, piegato in posizioni scomode per completare la controfacciata della Sistina; ai tratti burberi del suo carattere, quasi a non volersi lasciare «distrarre» dalle interazioni umane; a quel «Perché non parli?», rivolto al suo Mosè, con tanto di martellata sul ginocchio.
L’ossessione si presenta quindi dapprima come qualcosa da arginare, da contenere per evitare che si trasformi in qualcosa fuori controllo. Eppure non è poi così difficile trovare qualcosa di invidiabile nell’ossessione di Michelangelo: quella passione, quella determinazione che lo spingono a non smettere mai, a non fermarsi davanti a nessun incarico, a portare avanti il proprio obbiettivo senza guardare in faccia a nessuno. C’è qualcosa di davvero dirompente ed eccezionale in questa corsa contro il tempo, un lavoro febbrile che porta a risultati leggendari.
Si può parlare di ossessione in tante opere artistiche: la meticolosa cura dei dettagli dei pittori fiamminghi, la fissazione di Kokoschka (uno fra tanti) per la sua amante, a cui dedica più di 450 disegni. L’ossessione di Michelangelo è però qualcosa di più vasto, non è solo una numerosa produzione artistica né un’eccessiva cura di un aspetto dei dipinti. È qualcosa che riguarda il suo intero percorso come artista e come uomo e per questo degno di nota.
Globalizzazione
Questo è un aspetto strabiliante e forse un po’ inaspettato dell’arte: non è difficile trovare dei nessi tra opere lontanissime nello spazio e nel tempo. Artisti che non si sono mai incontrati, che hanno vissuto in aree geografiche e periodi storici diversi, sono in grado di comunicare attraverso l’arte. E’ qualcosa che va oltre la globalizzazione, una specie di macchina spazio-temporale che neanche l’alta tecnologia di oggi è stata ancora in grado di realizzare.
Di globalizzazione in senso stretto si può parlare in relazione all’influenza del giapponismo sui pittori impressionisti per esempio, che furono profondamente ispirati dal movimento ukiyo-e.
Van Gogh e Monet furono grandi collezionisti e studiosi di stampe giapponesi. Ad esempio nel Ramo di mandorlo in fiore di Van Gogh si vede un riferimento esplicito alla natura esile e gentile dei disegni orientali.
Globalizzazione in senso lato diventa appunto comunicazione tra punti lontani dello spazio-tempo. Come detto precedentemente, non possiamo prescindere da ciò che è stato prima di noi, ma possiamo e dobbiamo dialogare con esso, riproponendolo sotto un altro punto di vista, evidenziandone alcuni aspetti, attribuendogli nuovi significati. A tal proposito, la conversazione di Dalì con l’arte classica è esemplare. Dalì prende la Venere di Milo e apre nel suo corpo elegante di scultura classica i cassetti dell’inconscio. Prende l’elefantino di Piazza Minerva del Bernini e ne fa una delle tentazioni di Sant’Antonio. In questo senso, in ambito artistico c’è piena libertà: tutto può parlare con tutto e di tutto, giungendo a (talvolta) sorprendenti risultati.
Libertà
Libertà è un termine gigantesco, che contiene talmente tanti aspetti diversi da rendere necessario un libro per parlare di libertà. Come può essere qualcosa di così ampio contenuto nel perimetro di una tela?
E’ doveroso menzionare l’aspetto politico della libertà, espresso dalla celebre tela di Delacroix.
C’è libertà dal punto di vista compositivo e qui il filo si va ad attorcigliare con quello dell’artigianato: l’artista è libero di scegliere come realizzare l’opera d’arte nel modo più assoluto, da un foglio di carta al suo stesso sangue.
Libertà è vastità del paesaggio, come quello rappresentato nei Pascoli di primavera di Segantini. La mucca in primo piano si gode la meraviglia di quel panorama di cui è unica padrona, sola con il suo vitello. È libertà fisica se vogliamo, che si concretizza nello «spazio libero» attorno all’animale. Da abitante della città, un ambiente pieno di stimoli, concreti e astratti, in cui ogni angolo è riempito con qualcosa, trovo questo paesaggio montano, ricco di niente, la massima espressione di libertà. Immersa nel dipinto, riesco a sentire la freschezza dell’aria, la carezza del sole e un profondo senso di leggerezza.
Guerra
Alla libertà si accosta, purtroppo, la guerra. Che la guerra sia l’opposto della libertà si nota accostando i Pascoli di primavera al picassiano Guernica: non ci sono più colori, solo bianco e nero, non c’è più spazio, solo una grande confusione, non c’è più tranquillità, solo paura e disperazione.
Vorrei parlare però della tela sulla guerra di Henri Rousseau. Qui è infatti messo in evidenza un aspetto molto importante, che dovremmo tenere a mente e che forse sfugge a chi ancora oggi fa la guerra. La personificazione della guerra di Rousseau è una donna selvaggia e impugna un’arma appuntita. Non un fucile, non un carro armato, un semplice pugnale. Perché la guerra è regressione, è primitivismo. È negazione del progresso dell’umanità.
Fonti: Voi siete qui – Discorso sull’arte intorno a noi, F.Fazio, F.Caroli, 2022, Rai Libri