Un’antica credenza nepalese vede il mondo come una sfera: al centro sorge un monte altissimo e intorno ad esso otto montagne e otto mari. Alcune persone sono fatte per salire fino alla cima del monte, altri per vagabondare tra le otto montagne e gli otto mari circostanti. Questi sono anche i destini di Pietro e Bruno.
Pietro è un bambino di una famiglia borghese di Torino, che trascorre le estati con la madre a Grana, un paesino di montagna della Valle d’Aosta. Per brevi periodi li raggiunge anche il padre, ingegnere in una grande fabbrica piemontese e fortemente appassionato di montagna, che quando può porta il figlio a scalare con sé. Bruno è l’ultimo bambino del paese, tutto ciò che conosce sono le montagne, i pascoli, la sua vita da pastore. Il padre lavora come muratore in Svizzera ed è sempre assente.
Entrambi devono fare i conti con un rapporto difficile con il proprio padre.
Pietro è in costante conflitto con un padre che vuole indicargli la strada giusta da seguire, con il quale non riuscirà mai a instaurare un rapporto; Bruno, che una figura paterna non ce l’ha, comincia a trascorrere l’estate scalando con il padre di Pietro e diventa per lui quasi un figlio “scelto”. I due bambini si conoscono, diventano amici, trascorrono gli inverni in attesa dell’estate e l’estate in compagnia della montagna, il terzo componente del loro gruppo. Poi crescono, le vite diverse li allontanano.
I due si ritrovano da adulti, sempre sulla stessa montagna dove tutto è cominciato e a cui tutto torna. Non più bambini, ma forse non ancora uomini. Bruno, “parte uomo, parte animale, parte albero”, non ha mai abbandonato la montagna. Per lui non esiste un’altra vita, un altro modo di esistere. La vita di Pietro, invece, è piena di domande. Gira il mondo, scrive, cerca il suo posto, provando a capire chi è e chi vuole diventare. Attraversano gioie, sofferenza, amori e dubbi, formandosi anche grazie al loro rapporto e soprattutto alla loro amicizia, che sembra resistere a tutto, nonostante si trovi a doversi confrontare con i suoi stessi limiti.
Il loro rapporto, come la montagna, diventa un luogo dove mettono le loro radici e che resta lì ad aspettarli.
Tutto il film è un po’ come l’amicizia di Pietro e Bruno: essenziale e diretto, che alle parole spesso preferisce gli sguardi e alle rumorose manifestazioni di affetto, una silenziosa presenza. Presentato al 75° Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il premio della giuria, la pellicola diretta dai registi belgi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch è tratta dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega nel 2017. A rendere particolarmente autentico e riuscito il rapporto tra Pietro e Bruno sono anche i due attori scelti per interpretarli, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, amici nella vita reale, che avevano già dimostrato di essere un affiatato binomio anche sul set in Non essere cattivo (Claudio Caligari, 2015).