
Alle 5:30 del mattino, ora di Mosca, del 24 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin tiene un discorso alla nazione in cui annuncia l’inizio di una “operazione militare speciale” nel Donbass per difendere le repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Lugansk, nell’est dell’Ucraina. Tra le motivazioni a sostegno dell’intervento militare vi erano anche l’intenzione di demilitarizzare e “denazificare” l’Ucraina, oltre alla percepita minaccia di una continua espansione ad est della NATO in territori considerati “storicamente russi”. Poco dopo il discorso, i primi bombardamenti e l’avanzata di truppe russe in territorio ucraino segnano l’inizio del più grande conflitto armato su territorio europeo dalla Seconda Guerra Mondiale. In questo articolo analizzeremo come si è evoluta la situazione a partire da quel 24 febbraio.
La situazione in Ucraina
Quella che doveva essere una guerra lampo per piegare il governo di Kiev e chiudere, per Mosca, il capitolo Ucraina si è trasformata nel corso dei mesi in una guerra d’attrito. L’iniziale attacco russo prevedeva tre direttrici principali, da nord, est e sud. L’idea iniziale era che l’esercito russo, sulla carta superiore per uomini e mezzi, avrebbe velocemente chiuso in una mossa a tenaglia le forze ucraine, portandole allo sbando e forzandole alla resa in poco tempo. Ciò non è stato. Dopo una sanguinosa battaglia per il controllo di Kiev già ad inizio aprile gli ucraini avevano riconquistato tutti i territori nel nord e nord-est del paese invasi a febbraio.

L’offensiva russa si è quindi riposizionata, concentrandosi solamente sulle direttrici sud ed est dove, pur con immense difficoltà, gli ucraini sono stati costretti a ritirarsi da città strategiche quali Mariupol, fino a ritirarsi completamente sulla riva destra del fiume Dnipro. Durante questo cambiamento di strategia, nel Donbass le forze ucraine stavano fronteggiando un tentativo, poi fallito, di manovra a tenaglia. Questa seconda fase dell’offensiva russa è quella che ha consegnato al mondo immagini quali il massacro di civili ucraini a Bucha, cittadina a nord di Kiev, l’assedio dell’acciaieria Azovstal e della città di Mariupol, oltre all’attacco da parte russa alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande di tutta Europa.
Nel frattempo, già una coalizione di Paesi aveva iniziato ad imporre sanzioni economiche sempre più stringenti sulla Russia per tentare di fiaccarne le capacità belliche, oltre a fornire sempre più armi ed equipaggiamenti all’Ucraina. Durante l’estate non si sono registrati cambiamenti importanti lungo la linea del fronte, a testimonianza che l’intenzione iniziale russa di un’invasione fulminea era ormai fallita. Sempre in estate sono stati raggiunti anche importanti accordi diplomatici per permettere l’ispezione della centrale di Zaporizhzhia e l’esportazione del grano e altre derrate alimentari ucraine, soprattutto verso paesi in via di sviluppo.
Tra settembre e novembre due nuove controffensive ucraine, rinvigorite dall’invio massiccio di armi occidentali, hanno piegato il fronte russo portando alla riconquista di Kherson lungo il fiume Dnipro e di Kharkiv, nel nord-est dell’Ucraina.
In seguito a queste due controffensive l’Ucraina ha riconquistato quasi il 60% del territorio occupato dalla Russia dall’inizio dell’invasione, lasciando a quest’ultima la porzione di territorio che collega la Crimea al Donbass. In risposta al peggioramento della situazione bellica e alla parziale distruzione del vitale ponte di Kerch, l’unico che unisce Russia e Crimea, in ottobre, le élite militari e politiche russe hanno annunciato una mobilitazione parziale per tentare di rimpolpare il fronte russo, oltre ad aver iniziato campagne sempre più massicce di bombardamenti d’infrastrutture energetiche, idriche e di telecomunicazioni.
Tra dicembre e gennaio il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in ben due occasioni distinte che la situazione sul campo era critica e che “l’operazione militare speciale” stava richiedendo molto più tempo di quello previsto. Con l’arrivo dell’inverno non si sono registrate particolari novità dal lato bellico, con la guerra che è diventata sempre meno di manovra e movimento e sempre più di posizione. Al momento la città di Bakhmut, nell’est del paese, è diventata il centro dell’attenzione. L’offensiva che la sta interessando, assieme ai villaggi che la circondano, è stata definita un “tritacarne” per la violenza dei combattimenti.
Con il conflitto entrato nel suo secondo anno di durata è difficile ipotizzare quali scenari si manifesteranno nei prossimi mesi. Se è possibile che l’Ucraina con un colpo di mano riconquisti tutti i territori occupati – alcuni commentatori includono anche la Crimea – ciò sembra comunque essere difficile in vista di quella che si prospetta come una nuova e feroce offensiva russa in primavera.
Quest’offensiva dovrà però tenere necessariamente conto delle ampie perdite materiali russe e della difficoltà di schierare nuove truppe veramente in grado di combattere in maniera efficiente.
Non è inoltre da escludersi una situazione simile a quella attuale, che per certi versi ricalca quella post 2014, con il conflitto che continua a sobbollire nell’est del paese attacco dopo attacco. Secondo le Nazioni Unite il costo dal punto di vista umanitario della guerra è stato finora impressionante. Sono circa ventimila i civili ucraini uccisi dall’inizio dei combattimenti, con oltre il 40% delle abitazioni e il 50% delle infrastrutture vitali danneggiati o distrutti. Si stima inoltre che siano oltre otto milioni i rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina, una cifra che rappresenta circa il 20% dell’intera popolazione del paese.
La maggior parte di essi ha fatto richiesta di asilo presso Paesi europei, con la sola Polonia ad accoglierne oltre un milione e mezzo. La resilienza ucraina, le spaccature interne agli apparati militari e politici di Mosca assieme a un continuo e sempre più massiccio supporto militare da parte dell’Occidente sembrano almeno per il momento giocare a favore dell’Ucraina. Non sono inoltre da dimenticare le centinaia di crimini di guerra e crimini contro l’umanità di cui è stata accusata la Russia. A riguardo la Corte Penale Internazionale ha aperto dei procedimenti contro la Russia. Rimane anche da chiedersi, una volta terminata la guerra, come risollevare un paese allo stremo per la cui ricostruzione si stima saranno necessari oltre 350 miliardi di dollari.
La situazione in Russia
Nonostante la Russia volesse far capitolare velocemente l’Ucraina, i piani iniziali non sono andati secondo le aspettative. Nonostante non si possa paragonare il livello di distruzione e sofferenze provate dall’Ucraina con quello che la Russia sta passando, non si può nemmeno affermare che stia attraversando questo periodo indenne.

Tralasciando l’ovvio colpo subito a livello di reputazione internazionale, la Russia sta pagando il prezzo dell’invasione principalmente dal punto di vista economico. Già nel 2014 era sotto sanzioni per l’annessione della Crimea e il suo coinvolgimento nel Donbass, ma a partire dal febbraio 2022 la Russia è diventata ufficialmente il Paese più sanzionato al mondo. Già una settimana dopo l’inizio dell’invasione, gli asset requisiti o congelati alla Russia e a personalità ad essa collegate ammontavano ad oltre un trilione di dollari. L’economia russa si sta comunque dimostrando più resiliente del previsto, anche grazie ai meccanismi di evasione e tamponamento delle sanzioni posti in essere dopo il 2014.
Il Fondo Monetario Internazionale ha visto al ribasso la contrazione del PIL russo, attualmente stimata intorno al -2,3%, molto meno del -12% di marzo 2022.
Nonostante ciò, l’effetto dei disinvestimenti delle grandi multinazionali estere, seppur solo una su dieci abbiano adottato pienamente questa pratica, assieme all’emigrazione in massa di personale qualificato e altamente istruito minano seriamente la futura stabilità economica della Russia.
Questa poteva far affidamento sulla dipendenza di vari Paesi europei sulle sue risorse naturali, in particolare gas e petrolio, per esercitare un qualche tipo d’influenza. Negli ultimi mesi quest’arma sembra sempre più spuntata visto il crollo rispetto ai picchi di agosto del prezzo del gas naturale e la velocità con cui buona parte d’Europa è stata capace di staccarsi dalla Russia per i propri approvvigionamenti energetici. Si stima che nel 2023 gli introiti provenienti dall’esportazione di petrolio e gas, fondamentali per finanziare una guerra che sta già mettendo in seria crisi i bilanci dello stato russo, diminuiranno del 24%. La crisi economica causata dalla guerra e dalle sanzioni pare quindi non essere immediata e distruttiva, ma prolungata e fortemente erosiva sul medio e lungo periodo. Questo nonostante gli sforzi di riallineare l’economia russa con altri mercati non Occidentali, in particolare quelli asiatici e africani.
L’invasione dell’Ucraina ha inoltre creato una vera e propria spaccatura all’interno della società russa.
Le aperte manifestazioni di dissenso nei confronti della guerra e di Putin sembrano essere diminuite col passare dei mesi; tuttavia, la popolazione sembra essere sempre più scontenta dello stato della situazione, oltre che della incessante e a tratti surreale propaganda di governo. Se non vi è un forte sentimento contro l’invasione dell’Ucraina, per motivi principalmente culturali oltre che sociali e politici, non si può nemmeno affermare che i russi ne siano acriticamente entusiasti. Da quando, a settembre, è stata annunciata la prima parziale mobilitazione, sono oltre settecentomila i russi, per la maggior parte giovani, ad aver lasciato il Paese. Ciò va ad unirsi a una crisi demografica che non fa intravedere un futuro roseo per la Russia post 24 febbraio.
Nonostante gli appelli contro la guerra di dissidenti interni, quali l’ex campione di scacchi Garry Kasparov, alcuni osservatori russi affermano che l’atteggiamento sciovinista, frutto di una narrazione fortemente russocentrica portata avanti dagli zar fino ad oggi, renda difficile qualsiasi tipo di critica forte e decisa dell’attuale guerra in atto. Esemplare è il sondaggio del Levada Center, l’unica organizzazione russa di sondaggi indipendente, secondo il quale a novembre il 54% degli intervistati considerava un successo “l’operazione militare speciale”.
Se per le strade di San Pietroburgo e Mosca la guerra non sembra aver stravolto particolarmente la piccola quotidianità dei cittadini russi, nonostante qualche rebranding causato dalle sanzioni di alcuni famosi marchi occidentali, al Cremlino la situazione appare notevolmente più tesa. Stime suggeriscono che la Russia abbia schierato il 97% delle proprie forze armate, ma gli scarsi successi stanno creando non pochi mal di testa tra le élite politiche e militari del paese.
A gennaio il generale Valery Gerasimov ha preso il posto di Sergey Surovinik come comandante delle forze russe in Ucraina.
Questo cambio è sintomo di una lotta di potere interna tra il Ministero della Difesa Russo e Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo mercenario russo Wagner attivo in diversi paesi, tra cui l’Ucraina. Prigozhin, fedelissimo di Putin, ha sempre criticato le forze armate russe per la loro inefficienza e mancanza di risultati, posizionandosi agli occhi del Presidente come un uomo capace di prendere in mano la situazione grazie ai suoi mercenari e fare ciò che l’esercito russo finora non è stato in grado di fare: conquistare terreno in Ucraina. L’esposizione mediatica e politica delle uscite di Prigozhin contro gli alti comandi russi nonché il suo trascorso lo renderebbero quasi un rivale rispetto al potere finora quasi incontrastato di Vladimir Putin. Nonostante questa recente ondata di popolarità appare improbabile che Prigozhin possa diventare un vero problema per Putin, il quale sembrerebbe lo stia impiegando per mettere pressione ai suoi generali alla luce dei deludenti avvenimenti in Ucraina.
La situazione nel resto del mondo
Nell’attuale mondo interconnesso la guerra in Ucraina non può che avere ripercussioni a livello globale, specialmente di carattere economico. Soprattutto in Europa l’impennata del prezzo del gas naturale e il conseguente aumento del prezzo dell’energia hanno causato e stanno tutt’ora causando non pochi problemi mentre le principali economie del continente cercano di navigare la ripresa post-pandemica e l’inflazione che nell’Eurozona ha sfiorato la doppia cifra.
Un inverno insolitamente caldo ha almeno in parte evitato gli scenari peggiori. A causa delle favorevoli condizioni climatiche, il prezzo del gas naturale è ritornato ai livelli pre-invasione dopo un massimo storico a fine agosto, nonostante costi ancora il triplo di quanto costasse prima che la Russia iniziasse ad ammassare truppe al confine con l’Ucraina. I price cap decisi dall’Unione Europea e dal G7 sul gas e sul petrolio russi sembrano aver mitigato gli aumenti a cui hanno assistito i mercati, sottolineando però anche la dipendenza europea dalla Russia per quello che riguarda le forniture energetiche.
La guerra ha anche interferito pesantemente con le esportazioni di grano, orzo, olio di semi e fertilizzanti dalla Russia e dall’Ucraina, un fatto che ha colpito in maniera sproporzionata principalmente l’Africa, il Medio Oriente e alcuni paesi asiatici che già soffrivano di problemi d’insicurezza alimentare. In Nigeria, uno dei maggiori importatori di grano russo, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 37% in un anno, mentre in alcune parti del paese i prezzi del pane sono più che raddoppiati. Aumenti simili sono stati registrati anche per quello che riguarda il costo dei fertilizzanti, aggiungendo ulteriore stress ai settori agricoli di vari paesi in via di sviluppo. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che circa un trilione di dollari di ricchezza globale sono andati persi a causa degli aumenti causati dalla guerra. In particolar modo l’anno scorso, sempre secondo l’IMF, i prezzi sono aumentati del 7,3% nei paesi più ricchi e di quasi il 10% in quelli più poveri, un aumento di circa il doppio rispetto alle stime iniziali del 5,9%.
Cambiamenti di ampia portata si sono registrati anche sul lato politico, con il panorama internazionale che è andato incontro a un deciso rimescolamento.
La guerra in Ucraina è servita a ricompattare NATO ed Unione Europea, dando uno slancio alle aspirazioni di politica estera dell’Europa. Esemplare è l’allargamento della NATO con la volontà da parte della Svezia e della Finlandia di entrare a farne parte. Ciò segnalerebbe non solo la maggiore espansione della NATO dal 1997, anno d’entrata di vari paesi un tempo appartenenti al Patto di Varsavia, ma anche una maggiore pressione sulla Russia, la quale aveva già intimato che ci sarebbero state “conseguenze” nel caso una simile mossa si fosse materializzata. Attualmente sono solamente due i Paesi che non hanno ancora ratificato l’ingresso dei due vicini scandinavi nell’alleanza atlantica, la Turchia e l’Ungheria.
Oltre ai diverbi con Svezia e Finlandia per questioni legate ai curdi, la Turchia ha cercato di tenere una posizione equilibrista dall’inizio delle attività belliche in Ucraina, anche alla luce della sua posizione precaria dal punto di vista militare ed economico nei confronti della Russia, dalla quale importa per esempio un terzo del gas e quasi l’80% del grano consumato nel paese. L’Ungheria è stata invece criticata anche dai suoi alleati stretti, quali il gruppo di Visegrad, per la sua posizione ambigua circa la Russia. Tra le altre misure in disaccordo con i partner europei, l’Ungheria ha bloccato un prestito dell’Unione Europea di diciotto miliardi di euro destinati all’Ucraina. La vicinanza dell’Ungheria con la Russia non è una novità, ma rischia comunque di alienare seriamente la posizione ungherese all’interno dell’Unione Europea e della NATO.
Alla luce dei fatti in Ucraina l’Alleanza Atlantica è tornata di fondamentale importanza, soprattutto per quei Paesi, quali i Baltici e la Polonia, che più sono esposti sul versante delle relazioni con la Russia. La rinnovata importanza della NATO ha inoltre sottolineato le carenze della politica europea nel campo della difesa, con Francia e Germania che spingono affinché il Vecchio Continente non sia più così dipendente dagli Stati Uniti in ambito militare. In particolar modo la Germania ha subito una vera e propria doccia fredda in seguito all’invasione dell’Ucraina, vedendo crollare decenni di politiche di appeasement volte a tessere una fitta rete di legami economici con la Russia per tentare di disinnescare le sue ambizioni di espansione.
La posizione comune dei paesi europei circa l’invio di maggiori quantità di mezzi ed armamenti non può distogliere dal fatto che negli anni precedenti troppo poco è stato fatto per una politica di difesa europea comune.
In tutto questo Washington sta raccogliendo i frutti derivanti da un impiego esiguo di risorse, attualmente di circa sessanta miliardi di dollari di aiuti militari forniti all’Ucraina a fronte di un budget del Dipartimento della Difesa di oltre ottocento miliardi, per azzoppare le capacità militari ed economiche della Russia, in vista di una più accesa rivalità con la Cina. Washington vuole cogliere la palla al balzo e chiudere i conti in sospeso con Mosca per non dover portare avanti un’aspra rivalità geopolitica su due fronti. Inoltre il riavvicinamento con i partner europei in seguito all’invasione russa, lo si chiami riallacciare i rapporti o codipendenza (per il versante europeo), serve agli Stati Uniti per continuare ad esercitare la loro influenza e per rafforzare i ranghi in vista del già citato confronto con la Cina.
La Russia ha visto anche un mutamento dei rapporti di forza nella sua relazione con la Cina. Sebbene in superficie la relazione tra i due Paesi non abbia subito grossi colpi, la Cina sta iniziando a ridimensionare l’importanza della Russia. Se almeno per il momento la Cina può sembrare una vera e propria ancora di salvezza, come testimoniato dall’aumento del commercio tra i due paesi, nel lungo periodo la loro relazione potrebbe diventare una di dipendenza di Mosca nei confronti di Pechino. Quest’ultima, infatti, non ha esitato ad acquistare gas e petrolio russi con un sostanziale sconto dopo che l’Europa aveva annunciato le sue intenzioni di sganciarsi dalla Russia per i propri approvvigionamenti.
Inoltre, una maggiore apertura del mercato russo a competitori cinesi rischia di mettere ulteriore pressione su un’economia già di per sé a rischio e seriamente limitata per ciò che riguarda la sua capacità di competere ad armi pari. La Russia ha visto inoltre rovinarsi le relazioni con i propri vicini dell’Asia Centrale, dopo che l’Armenia, uno dei sei membri del CSTO (la risposta russa alla NATO), aveva richiesto l’intervento della Russia nel conflitto con l’Azerbaijan. A questa richiesta non ha fatto seguito nessuna azione da parte russa. Inoltre, a settembre altri due membri del CSTO, Kyrgyzstan e Tajikistan erano arrivati alle armi, in un breve conflitto che ha causato oltre mille morti.
Cosa possiamo aspettarci ora?
Dopo un anno di guerra sembra chiaro che la posizione della Russia a livello internazionale sia stata drasticamente ridimensionata, mentre l’Ucraina ha cementato le sue aspirazioni di una maggiore integrazione con il resto d’Europa e dell’Occidente, segnalando la sua intenzione di entrare a far parte di Unione Europea e NATO. Mentre i combattimenti al fronte continuano e si aspetta una ipotetica nuova offensiva russa, il costo della guerra si sta facendo sentire in tutto il mondo, nonostante la situazione non sembri così terribile come avrebbe potuto essere. Non possiamo sapere quanto ancora la guerra andrà avanti o quali saranno gli accordi e gli scenari che ci aspettano nei prossimi mesi, se non addirittura nei prossimi anni. L’aspirazione alla cessazione delle ostilità e a un’Ucraina veramente libera di decidere il proprio posizionamento internazionale sembrano però due punti irrinunciabili, senza i quali non vi possono essere delle solide basi per un vero futuro di pace.
Articolo di Lorenzo Pellegrini