Del: 23 Febbraio 2023 Di: Michele Cacciapuoti Commenti: 0
La rete propagandistica russa che penetra i social

A un anno dal giorno in cui i primi carri armati russi entrarono nel Donbass (era il 22 febbraio 2022, e due giorni dopo sarebbe iniziata l’offensiva su scala nazionale), la guerra in Ucraina risulta uno spartiacque epocale, nonostante la familiarità acquisita nei mesi.

Non appare in discussione la profondità con cui ha penetrato la quotidianità di ognuno, dai notiziari all’economia, fino alla polarizzazione ideologica. Quando una questione così grande ci tocca così intimamente nel nostro piccolo – come accaduto nel 2020 con la pandemia – è pressoché fisiologica la galvanizzazione dell’interesse generale per la politica e per l’informazione, a cui risponde la nascita di nuovi canali informativi sui social network. Alla loro mera crescita numerica, però, non sempre consegue un’adeguata professionalizzazione:

in un’Italia che sempre più si informa dai social, peraltro durante una guerra (la cui prima vittima è sempre la verità), certe disattenzioni possono aprire la strada alla pura propaganda.

Mantenendo il focus sulla disinformazione tramite social, un caso apripista è quello della pagina Instagram @news_dal_globo (circa ventimila follower, nata nel 2019), che nei giorni successivi allo scoppio della guerra pubblicava quotidianamente aggiornamenti e video.

È innanzitutto evidente che buona parte di quei contenuti derivasse da altri canali senza venire rielaborata, bensì presa di peso, copia-e-incollata o mal ritagliata: il 6 marzo, ad esempio, la pagina riportava l’arresto di alcuni manifestanti pacifisti «a Manezhnaya Square, Mosca», con ogni probabilità compiendo o riprendendo una parziale traduzione dall’inglese; l’immagine peraltro reca ben visibile il watermark di un’altra pagina Instagram, @guerra_totale, sul cui canale Telegram è ancora presente un video con identica descrizione, fonte diretta o indiretta del primo.

Analogamente, il 12 marzo parlava di un attacco nella «regione di Volyn e all’aeroporto vicino a Ivan Frank», che in italiano sono però la regione della Volinia e l’aeroporto della città Ivano-Frankivs’k: entrambi gli errori sono compatibili con la traduzione automatica da una lingua come l’inglese. Una traduzione non necessariamente operata dalla pagina Instagram, che plausibilmente si trova a valle di una serie di passaggi di mano: ben più esemplificativo di questi continui filtraggi e rifiltraggi è un video del 6 marzo, che reca ben tre watermark diversi. Uno è il profilo TikTok di un apparente combattente ceceno, l’altra è una pagina Instagram e l’ultimo è di nuovo @guerra_totale, sul cui canale Telegram troviamo lo stesso video.

Questa è solo la punta dell’iceberg: in moltissimi casi alle spalle di queste catene ci sono canali russi, come denuncia lo stesso spelling dei toponimi (Chernobaevka invece dell’ucraino Chornobaivka, Krivoy Rog invece di Kryvyj Rih, Nikolaev invece di Mykolaïv).

Già il 5 marzo la pagina scriveva, alla russa, di un attacco ucraino alla «diga attraverso il Seversky Donets […] nella regione di Kharkov», menzionando il villaggio di «Old Saltov» (curioso mash-up inglese e russo, in luogo dell’ucraino Staryi Saltiv).

In questo caso, a ulteriore dimostrazione dell’opera di collage che è stata intrapresa concorrono peculiarità sintattiche e d’interpunzione, così come la ripetizione del toponimo con uno spelling diverso («Seversky Donet») e la menzione di un «ponte APU», errore automatico di Google Translate nella traduzione di ВСУ, acronimo russo delle forze armate ucraine. Come se non bastasse, compare il watermark di Yediotnews, un canale Telegram in ebraico che posta lo stesso video ma senza i toponimi: dunque ebraico, russo e inglese, questi i passaggi probabilmente affrontati dal video originale prima di finire su @news_dal_globo.

Il 14 marzo postava il video di un attacco ucraino ad opera della «brigata intitolata al principe Konstantin Ostrozhsky», variante russa di Kostyantin Ostroz’kij. Eppure sul video è presente uno stemmino con scritto «Dei Gratia», il simbolo della brigata stessa: perché una fonte russa dovrebbe apporlo? O viceversa, perché la brigata ucraina dovrebbe scrivere il proprio nome alla russa? Il video originale è infatti reperibile come post sulla loro pagina Facebook ufficiale: solo dopo, evidentemente, è passato attraverso un canale russo.

Il punto, si capisce, non è un vizio di forma (che si sia usato lo spelling russo invece di quello ucraino giusto e patriottico), ma concerne l’attendibilità delle fonti.

E non perché un canale russo sia a priori, tout-court mendace: esistono fonti estere in lingua russa, o fonti russe dissidenti, e persino le fonti filogovernative possono essere validamente ricondivise. Tutto sta in un’adeguata contestualizzazione, che dia al lettore gli strumenti per valutare ciò che legge, mentre queste pagine si limitano ad un repost acritico che, presentando tali contenuti in modo assoluto e senza cornice, conferisce loro autorevolezza.

Tanto che i risultati possono essere ben peggiori: l’8 marzo, ad esempio, la pagina riportava il watermark di TASS, testata di proprietà dello Stato russo e di controversa attendibilità; il 12 marzo recava invece il watermark della dibattuta testata russa Mash.

Non solo: il 6 marzo un’altra pagina (che ha confermato alcune sue fonti e che lasciamo anonima) ha condiviso la notizia secondo cui il governo statunitense avrebbe permesso di aggirare le sue stesse sanzioni, permettendo di acquistare petrolio russo tramite banche estere. La notizia è falsa (e insidiosa, perché targetizza atlantisti e non) e al tempo si trovava copia-e-incollata solo da account Twitter più o meno cospirazionisti (alcuni oggi sospesi), tramite cui è stato possibile risalire a un grosso canale Telegram da oltre quattrocentomila iscritti, Intel Slava Z.

Se non bastasse la Z nel nome a evidenziarne il bias, Intel Slava stesso si definiva interessato alla «Terza Guerra Mondiale […] da un prospettiva russa» sul sito complottista WikiSpooks, dove a fine 2021 profetizzava uno scontro «senza compromessi» con l’Occidente. Su Telegram condivide diverse notizie false o indimostrate, come quella sulle sanzioni o il ritrovamento di un computer NATO presso i neonazisti ucraini, o ancora l’ammissione statunitense dell’uso di armi biologiche in Ucraina. Tutte notizie pedissequamente tradotte dalla pagina di Instagram in questione, incluse le emoji e il watermark di Ria Novosti, agenzia di stampa statale russa bandita da Twitter.

Così, benché ufficialmente messe al bando, le fonti della propaganda russa trovano dei ripetitori permeando fin nelle nostre home, sotto l’innocua forma di storie su Instagram.

Intel Slava Z infatti ha poi condiviso notizie di Russia Today (altra testata statale russa, bandita dall’UE insieme a Sputnik), di Readovka (canale Telegram russo responsabile, col sopracitato Mash, della fake news sui bielorussi uccisi dagli ucraini a Bologna) e di Sladkov (controverso giornalista russo), oltre alla foto di automobili a suo dire saccheggiate da criminali ucraini, ma più probabilmente bersagliate dal fuoco russo, come traspare dal post Facebook di un ricercatore ucraino e da alcuni tweet.

Testate, alcune di queste, arrivate anche su pagine Instagram italiane come @crisi.ucraina.news. Più recentemente, ha ricondiviso i contenuti del canale Telegram di Aleksandr Jaremčuk, corrispondente della testata russa RIA FAN, ma anche apparenti video ufficiali delle forze armate impiegate dalla Russia, come le formazioni separatiste Kaskad e Sparta o la stessa compagnia mercenaria Wagner. Fra le sue fonti figurano anche canali che assistono o finanziano direttamente l’esercito russo, come Dambiev, Voin DV, RVvoenkor e il comandante Lisitsyn.

La conclusione non è che queste pagine abbiano scientemente condiviso le réclame russe: di recente @guerra_totale si è esposta contro la propaganda putiniana, così come @crisi.ucraina.news.

Piuttosto, questi canali a monte si sono disinteressati di verifiche o disclaimer, quale che fosse la loro fonte, anche ucraina: il 16 marzo veniva condiviso acriticamente un video ufficiale del battaglione ucraino Azov. Siffatta informazione è, in fin dei conti, come un megafono incustodito al centro di una piazza.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.

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