Premettendo che nessuno si aspetta attivismo fatto bene dal Festival di Sanremo – che ha ben altri fini ed è esplicitamente ancora ideato e gestito in prevalenza da uomini – quando una donna come Chiara Ferragni ha l’occasione di portare un messaggio importante, le orecchie si drizzano. Sebbene il suo ruolo fosse quello di madrina rassicurante, addetta alla celebrazione del paese senza coscienza critica come da copione, Ferragni ha lasciato intendere in più occasioni che avrebbe sfruttato l’opportunità per portare avanti messaggi di attivismo e sostegno alle donne.
Impegnata da anni nella lotta al patriarcato (per così dire), Ferragni ha usato le sue piattaforme per occuparsi di far luce sui problemi delle donne dal gender pay gap alla violenza ostetrica. Ogni volta non si può negare che abbia contribuito a rendere conosciute cause femministe alle masse, ma allo stesso tempo è sempre stata accusata di peccare del cosiddetto attivismo performativo, ovvero di volersi impegnare nella causa solo quanto basta per farsi vedere. L’occasione, dunque, di lanciare per la prima volta un messaggio utile nel palco più importante in Italia – che è un po’ la piattaforma più importante per il belpaese – era il momento giusto per mostrare quanto di vero di fosse dietro la facciata di femminista da sponsorizzazione.
Maestra della comunicazione e del marketing tanto da aver tenuto un corso ad Harvard, Ferragni deve essere già consapevole che accostare il vestito col seno disegnato al discorso sull’essere donna in Italia priverà di senso e profondità entrambe le cose.
Eppure, lo fa lo stesso, perché è sempre meglio far parlare che far parlare nel modo giusto.
Mostrare il seno nudo al cenone di Natale con la famiglia, esattamente come nell’ora dedicata al monologo sul femminismo, è un gesto performativo: non è come mostrarlo nella vita di tutti i giorni o continuare a mostrarlo in selfie allo specchio che Instagram sistematicamente butta giù. Se anche la maggior parte del pubblico non ci vede una differenza – ma solo l’occasione per polarizzarsi sulla dicotomia troia/sposa – quelli che invece sono in grado di coglierne la semantica non possono che storcere il naso. E quindi, il messaggio qual era? E a chi è arrivato?
I valorosi che il monologo l’hanno persino ascoltato – visto che una breve ricerca ecologica tra i gruppi Whatsapp conferma che il focus era ben altro – non possono fare a meno di esserne delusi. Ferragni ha, come già espresso da molti, portato sul palco di Sanremo la versione dialettica di un selfie. All’interno di una lettera scritta a sé stessa bambina, Ferragni ha inserito le stesse figure retoriche che si sperava di aver lasciato negli anni Ottanta, o perlomeno nell’obbrobrioso discorso di Barbara Palombelli del 2021.
Le donne ricche arriveranno mai a capire che la loro esperienza non è un’esperienza condivisibile? Riusciremo mai a comprendere il significato del privilegio e come usarlo nel modo più utile?
Quanti discorsi in cui si cerca di risultare esattamente come tutte le altre donne (tranne per i milioni in banca) dobbiamo sorbirci prima di capire che l’esperienza di ognuna è diversa e va bene così?
Avere l’occasione di autocelebrarsi e farlo quando si è una delle donne più potenti e influenti del mondo è cosa buona e giusta, ma a cercare di rendersi esempio di una vita che non si potrebbe comprendere nemmeno provandoci si risulta solo scadenti, deludenti. Di poca classe e di poco gusto. L’esperienza di Ferragni è quella di una validissima scalata verso il successo, che partiva da un piedistallo di figlia di un dentista e di una addetta alle vendite in showroom.
Basta con questo volersi rappresentare come donna nova quando non c’è niente di male nell’ammettere che ci si è potuti permettere di “godersi la salita lenta delle montagne russe” perché non c’era il rischio di ritrovarsi senza appoggi e senza stabilità. Basta continuare a dire alle donne che bisogna crederci e sconfiggere le insicurezze e le paure perché la verità è che le donne che oggi vogliono lavorare nell’ambiente di Ferragni questo lo fanno già. Scegliere un’università diversa da giurisprudenza, medicina, economia e ingegneria è in questo paese già una scelta che comporta un futuro incerto; scegliere di lavorare nell’industria creativa e ancora di più voler creare il proprio progetto comporta già la consapevolezza di dover lottare ogni giorno contro un sistema che non ha un soffitto basso, ha un soffitto a rasoterra. Le donne che nella loro vita compiono queste scelte spesso non hanno il privilegio di “godersi il viaggio” perché si ritrovano a dover accettare paghe infami, a venire trattate come fallite da amici e famiglia, a non potersi permettere affitti, non poter pensare a un futuro prossimo come madre, spesso a dover fare più lavori – uno che permetta di arrivare a fine mese, uno che permetta di “continuare a sognare”.
In un paese dove fare la scelta di Ferragni comporta una vita così, il problema delle donne non è sconfiggere l’insicurezza e la paura: è sconfiggere un sistema che non crede in loro, che non le vede come risorse, che non valorizza gli ambienti al difuori di quelli che gli permettono di compilare il bilancio annuale e rimanere uno stato all’apparenza rispettabile.
E allora siamo stufe di sentirci dire di credere in noi stesse, perché se abbiamo scelto questa vita vuol dire che in noi stesse ci crediamo già. Crediamo già di aver qualcosa da offrire, qualcosa da dire, il problema è che non ci sono le posizioni, non ci sono le assistenze, non ci sono gli investitori.
Nessuno si aspettava un discorso di denuncia, soprattutto dopo il discorso di Benigni, ma una donna intelligente come Ferragni che sale sul palco dell’Ariston per parlare di sessismo unicamente riferendosi ai commenti su Instagram e insicurezze che accomunano tutte nel 2023 è semplicemente inaccettabile.
Bastava prendere un ghostwriter, fanno notare in molti, ma anche questo comporta una riflessione preliminare che da Ferragni non c’è mai stata e ancora una volta manca: non c’è mai stata l’ammissione di non poter rappresentare le donne, non c’è mai stata la capacità di prendere il proprio privilegio e farsi da parte.
E ancora una volta, questo dimostra che l’intelligenza è un privilegio di pochi e l’empatia di ancora meno persone.
A volerci proprio mettere la faccia e a voler proprio dare consigli alle donne, sarebbe bastato per esempio consigliare di continuare ad impegnarsi anche quando il mondo va contro di noi, perché le poche che ce la faranno oggi facciano da mentore alle prossime, che saranno di più. A voler proprio parlare di gestione dei periodi duri, si poteva avere l’accortezza di dire che a volte anche dover rinunciare a un sogno perché altrimenti non è possibile andare avanti non significa aver ceduto all’insicurezza.
Il femminismo va spesso di pari passo con la lotta di classe, ma per il femminismo liberale che Ferragni rappresenta – quello in cui si pensa che possa essere realizzabile un capitalismo sociale in cui le disuguaglianze sono basate solo sulla meritocrazia e l’ambizione dei singoli – basterebbe avere una coscienza di classe; essere in grado di riconoscere il proprio privilegio e renderlo il mezzo per dare visibilità alle giuste cause, nel modo giusto, alle persone giuste.
In vista dell’8 marzo, tra meno di un mese, facciamo di più e facciamo meglio.